Vent’anni, un déjà vu e tanta ipocrisia

Per chi ha vissuto come me la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi nell’ormai lontano 1993-94, dopo la primigenia dichiarazione di voto per Gianfranco Fini sindaco di Roma (che...

Per chi ha vissuto come me la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi nell’ormai lontano 1993-94, dopo la primigenia dichiarazione di voto per Gianfranco Fini sindaco di Roma (che già allora al futuro leader di An non portò per nulla bene…), la visione del messaggio che annuncia la rinascita di Forza Italia e archivia l’esperienza del Popolo della Libertà è quasi un déjà vu.
L’ambientazione, i toni da televenditore ora alti, ora pacati, l’incitamento patetico alla salvezza di una Patria in pericolo per colpa della generica “sinistra” con cui Berlusconi da sempre identifica tutti i post-comunisti ma mai i comunisti veri e propri, poche battute sulla crisi economica con una retromarcia rispetto alle sue ottimistiche previsioni snocciolate fino a pochi mesi fa… Insomma, un replay di un quadretto mediatico che farà parlare per giorni e giorni perché influenzerà nel bene o nel male i voti della Commissione senatoriale che deve giudicare sulla decadenza del Cavaliere nero di Arcore dal Senato medesimo e, certamente, peserà sul successivo voto che Palazzo Madama dovrà dare.
Non condivido la reazione sardonica e ridanciana del movimente grillino, anzi di Grillo medesimo. Se vuole essere una minimizzazione del messaggio contenuto nell’insieme fenomenico e contenutistico del videomessaggio mandato da Berlusconi alle tv e ad Internet, è un errore di valutazione, anzi di sottovalutazione.
Quanti voti possano spostare le parole del Cavaliere è difficile da dire: così è altrettanto difficile potersi pronunciare su quaanta mobilitazione possa creare su un piano di acquisizione di nuova militanza politica, quanti uomini politici stessi potranno essere indotti a cambiare casacca, a fare il salto della quaglia e a tradire o a garantire maggiore fedeltà verso il Capo indiscusso dell’impero Fininvest – Mediaset.
Ma di sicuro la mossa di Berlusconi arriva, questa sì, ad orologeria calcolata: è forse la prima mossa dopo tanto tempo che il Cavaliere mette sulla sua via e sulla via della politica italiana per cercare di guadagnare un terreno ormai perduto, una posizione indifendibile, una trincea ormai scavalcata dal nemico.
Quel nemico, nella generale ipocrisia del suo discorso (perché di mera ipocrisia pelosa si tratta e di niente altro), è come sempre la magistratura, la giustizia, la sinistra. Tutte avversità che ostacolerebbero le sorti di una nazione destinata con la nuova Forza Italia ad una età dell’oro.
Ora, un discorso così può far breccia in due casi: in una mente così vuota da recepire una camera d’aria di sfacciattaggine e bugie così abbondanti da riempire ogni parte del cranio vacuo o, nel secondo caso, nei confronti di chi è apertamente consapevole dello sfondo del dipinto berlusconiano, falso come la tela su cui è dipinto, ma sa che quell’individuo, condannato dai tribunali della Repubblica dopo tre gradi di giudizio, e in tutti e tre i gradi, per corruzione ed evasione fiscale, è ancora lì per svolgere un doppio ruolo: proteggere sé stesso da guai peggiori con la legge e, per questo, mettere ancora una volta in campo una pantomima di redenzione nazionale che comunque ha bisogno del consenso e che ottenerlo deve fare politica, deve adoperarsi su un crinale programmatico e quindi tutelare determinati interessi.
La tragedia del berlusconismo – opera tutta italiana – è essenzialmente questa: si salvi uno mediante una messa in scena politica che, per essere tale, deve essere politica e quindi deve creare quel consenso che supporti la causa tutta privata e personale del dominus di Arcore.
Potere, consenso. Consenso e potere. Sembrerà assurdo ai posteri, ma per vent’anni attorno ad un solo uomo e alla cerchia dei suoi avvocati e professionisti della menzogna, si è creata una “classe dirigente” che ha radunato il peggio dei vecchi partiti: dalla Democrazia Cristiana al Partito Socialista Italiano, dai liberali ai repubblicani passando anche per qualche radicale più o meno giovane e per il neofascismo ora ostentato e ora pentito di Daniela Santanché o di Francesco Storace.
La tendenziosità del discorso di Berlusconi è il minimo che il discorso potesse contenere: non c’è parola che non sia legata alla esclusiva vita imprenditoriale e poi politica di una anomalia italiana che siede in Senato e che non ha nessuna immoralità degna di essere classificata come elemento costruttivo di un positivo ribellismo.
Berlusconi è, purtroppo, moralissimo: cristianamente e cattolicamente sarebbe il peggior esempio per il popolo di Francesco, ma nel videomessaggio fa appello ai sacri “valori cristiani” e alla altrettanto caratteristica sacrale della “famiglia”.
Basterebbe questo per classificare il personaggio dopo vent’anni di conoscenza più o meno diretta. Ma evidentemente la borghesia italiana ha ancora bisogno di un ciarlatano di queste dimensioni per potersi difendere da una instabilità dei mercati che influenza l’Italia e la mette a dura prova sul banco del mercato internazionale.
Claudio Lolli cantava…: “Piccola vecchia borghesia sai mentire con cortesia con cinismo e vigliaccheria hai fatto dell’ipocrisia la tua formula di poesia.”. Proprio quello che Berlusconi ha dato in pasto queste ore al suo sperato nuovo ampio consenso elettorale.

MARCO SFERINI

19 settembre 2013

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