A dare la notizia è stato il New York Times, quotidiano della città dove Donald Trump è nato e cresciuto, ma anche uno dei giornali che il tycoon da quando è entrato in politica percepisce come un suo nemico personale: dopo anni di indagini il gran giurì si è espresso, e ha incriminato l’ex presidente che ora è accusato di aver commesso 34 reati, che riguardano la falsificazione di documenti aziendali.

La storia gira intorno a i 130.000 dollari pagati durante la campagna elettorale del 2016 per comprare il silenzio di Stormy Daniels, la pornostar con cui Trump avrebbe avuto una relazione nel 2006: i dettagli delle accuse non sono ancora noti, in quanto devono rimanere sotto sigillo fino a quando Trump non verrà chiamato in giudizio, cosa che dovrebbe avvenire già martedì prossimo.

La procedura dello stato di New York, a cui Trump dovrà sottostare, prevede che quel giorno si consegni e venga arrestato, che gli vengano letti i suoi diritti, prese le impronte digitali e scattate le foto segnaletiche. Poi si dovrà presentare in aula e dichiararsi colpevole o innocente, e toccherà al giudice decidere se dovrà essere rilasciato su cauzione o senza.

Le speculazioni su quali siano i capi di accusa per Trump sono molti, ed è probabile che tutto il caso si sia allargato nel corso delle indagini, arrivando ad includere anche un’altra vicenda simile: quella riguardante il pagamento di Karen McDougal, ex modella di Playboy che pure afferma di avere avuto una relazione con Trump.

Sempre secondo il New York Times, nonostante lui stesso, 10 giorni fa, avesse annunciato che sarebbe stato «arrestato» a New York lo scorso martedì, Trump e i suoi collaboratori sono stati «colti alla sprovvista» dalla notizia. Fino al giorno prima il tycoon ironizzava sulla possibilità di pretendere delle manette in oro, e il suo consigliere Boris Epshteyn aveva persino detto che si trattava solo di voci, e alla fine non sarebbe stato incriminato.

La sorpresa e lo sdegno di Trump sono stati evidenti per chi segue Truth Social, dove ha pubblicato e condiviso più di 45 «verità». «Questi delinquenti e mostri della sinistra radicale hanno appena accusato il 45° presidente degli Stati uniti, e di gran lunga il principale candidato repubblicano».

Il seguito è tutto in maiuscolo: «Questo è un attacco al nostro paese come non si è mai visto prima. È anche un continuo attacco alle nostre elezioni un tempo libere ed eque. Gli Usa sono ora una nazione del terzo mondo, una nazione in grave declino. È così triste!». Trump sostiene poi che a New York non potrà avere «un processo giusto» in quanto i suoi nemici «hanno emanato questa accusa falsa, corrotta e vergognosa solo perché sto con il popolo americano».

In realtà il gran giurì è una giuria formata da 23 cittadini estratti a sorte, che decidono se le prove raccolte dalla procura sono sufficienti per portare una persona a processo. A decidere dell’incriminazione di Trump non è stato il procuratore distrettuale Alvin Bragg: serviva la maggioranza dei voti di questa giuria. Una “quisquilia” irrilevante non solo per Trump ma per tutto il Gop, che si è ricompattato attorno a un candidato che sembrava volere abbandonare.

Il suo ex vice Mike Pence ha dichiarato che accusare Trump è un «disservizio al Paese» che non farà che dividere ulteriormente i cittadini. Il presidente della Camera Kevin McCarthy ha twittato che «la Camera dei rappresentanti terrà conto di Alvin Bragg e del suo abuso di potere senza precedenti». Il deputato gop Steve Scalise ha definito l’accusa «uno degli esempi più chiari di democratici estremisti che usano come arma il governo per attaccare i loro oppositori politici».

Da parte loro i democratici si sono trincerati dietro un muro di silenzio, primo fra tutti il presidente Joe Biden, che durante il solito incontro con i giornalisti alla domanda sulla possibilità che l’accusa divida il Paese ha risposto di non avere commenti, e quando l’inviato del Wall Street Journal lo ha incalzato, ha detto esplicitamente: «No. Non parlerò dell’incriminazione di Trump».

MARINA CATUCCI

da il manifesto.it

Foto di Sora Shimazaki