Finalmente Giuliano Amato ha vuotato il sacco, o meglio, quel poco che sapeva sulle responsabilità di chi il 27 giugno 1980 fece precipitare nel Tirreno un DC9 dell’Itavia con 81 passeggeri a bordo in volo da Bologna verso Palermo. Va detto che Amato – ogni volta che era stato al governo – aveva cercato di fare luce sui misteri di Ustica.

E ora, dopo 43 anni di depistaggi da parte italiana, francese e americana, chiede pubblicamente a Macron un gesto di scuse. Ma perché lo chiede in particolare al presidente francese? Di certo perché la Francia risulta la più indiziata almeno per un motivo ben chiaro all’epoca: la pervicace determinazione di Parigi di far fuori Gheddafi fisicamente, dal momento che non era facile eliminarlo politicamente.

Per capire meglio occorre tornare agli anni del dominio neo-coloniale francese nell’Africa francofona. Dal 1978 il Ciad, vasto Paese confinante con la Libia, era dilaniato da una guerra civile tra il nord, fomentato dalla Libia, e il sud, sostenuto dalla Francia. Le aspirazioni di Gheddafi al panafricanismo davano parecchio fastidio a Parigi. E – detto en passant – non è un caso che proprio i Paesi dell’Africa subsahariana francofona siano soggetti tuttora a continui colpi di Stato.

Ma c’è di più. Gli apparati di sicurezza della Francia brillano tanto per arroganza quanto per faciloneria. Sempre in nome della grandeur e della “ragion di Stato”. Bastano due esempi. Il 10 luglio 1985, su ordine del ministro della Difesa Hernu, un colonnello dei “servizi” piazzò una bomba sul Rainbow Warrior, l’imbarcazione di Greenpeace attraccata nel porto neozelandese di Auckland, in attesa di salpare per Mururoa a protestare per la ripresa degli esperimenti nucleari francesi. L’attentatore non si peritò di controllare che nessuno si trovasse a bordo quella sera; così morì l’innocente attivista portoghese Pereira.

Altro esempio. Nel 2002 Ingrid Betancourt, senatrice franco-colombiana, venne rapita dalle Farc e a lungo tenuta in ostaggio nell’Amazzonia, finché non intervenne un aereo dei “servizi” francesi: atterrò in territorio brasiliano senza riferire alle autorità locali lo scopo della missione. Fallì clamorosamente nel tentativo di liberare la Betancourt e provocò un grave incidente diplomatico con il Brasile.

Tornando ai misteri di Ustica, mi resta un ricordo personale. Nei primi anni Novanta volavo spesso per lavoro a Bruxelles. Una sera incontrai in aereo Rosario Priore e Giovanni Salvi: erano diretti alla sede della Nato, a Evere, fiduciosi di trovare là indizi e informazioni preziose all’indagine in corso.

Li rincontrai la sera dopo sull’aereo di ritorno: erano abbacchiati. Mi dissero di essere stati accolti con squisita cortesia, ma al momento in cui avevano posto le domande chiave era calata una cortina di gelido silenzio. A questo punto viene da chiedersi: se neppure la Nato ha avuto il coraggio di rompere l’omertosa complicità di fronte a una tragedia immane come quella di Ustica, quale trasparenza possiamo aspettarci in futuro da un’organizzazione militare sempre più poderosa e ampliata a 32 membri?

GIUSEPPE CASSINI
ex ambasciatore

da il manifesto.it

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