Stanley Kubrick. Oltre l’infinito

GLI ANNI SESSANTA. I grandi capolavori, tra guerre atomiche e odissee

SECONDA PARTE

Con Orizzonti di gloria, Kubrick aveva all’attivo quattro lungometraggi, ma il suo talento di regista non gli aveva fatto guadagnare nulla. Il suo compenso, infatti, era legato agli utili e nessuno dei suoi film era stato un successo al botteghino. Ma ben presto si aprirono nuove occasioni lavorative.

1. Stanley Kubrick e Marlon Brando

Poco dopo l’uscita di Paths of Glory, tuttavia, Harris e Kubrick ricevettero una telefonata da Marlon Brando. L’attore era in forte difficoltà. La Paramount aveva dato ampio mandato alla sua società, la Pennebaker Inc., per sviluppare progetti, ma Brando aveva solo collezionato vacanze e conti faraonici in hotel, bordelli e ristoranti di lusso, spesso accompagnato dall’amico ex tossicodipendente Carlo Fiore, che aveva sviluppato il suo gusto per le donne dall’aspetto esotico. Il matrimonio di Brando con l’attrice di origine indiana Anna Kashfi (Darjeeling, India, 30 settembre 1934 – Washington, 16 agosto 2015) evidentemente era del tutto trascurabile.

Nel 1957 la Paramount si era stancata del comportamento di Brando e l’IRS, il fisco americano, era divenuto sospettoso sulle sue spese. Per calmare le acque l’attore annunciò che la Pennebaker Inc. aveva in cantiere tre film, nessuno di essi interpretati da Brando: Shake Hands with the Devil (Il fronte della violenza) con James Cagney, The Naked Edge (Il dubbio) thriller che fu poi l’ultima pellicola dell’anticomunista Gary Cooper, entrambi diretti da Michael Anderson (già autore de Il giro del mondo in 80 giorni) e Paris Blues che Brando sognava di recitare al fianco di Marilyn Monroe, ma che fu interpretato da Paul Newman, Joanne Woodward e Sidney Poitier. Tuttavia la Pennebaker Inc. aveva bisogno di altri soggetti.

2. Marlon Brando in Fronte del porto (1954) di Elia Kazan

Harris e Kubrick avevano un accordo con la Bryna di Kirk Douglas, ma questi era impegnato nelle riprese de The Vikings (I vichinghi) per la regia di Richard Fleischer, e così i due poterono avviare questa nuova collaborazione e, ignari di tutte le problematiche, accettarono con entusiasmo. Furono anzi onorati di poter lavorare al fianco del grande Marlon Brando, che era rimasto affascinato da Rapina a mano armata. Passare da New York a San Francisco non fu banale, ma assai stimolante. La prima idea fu quella di realizzare un film sul pugilato che approfondisse il personaggio di Terry Malloy interpretato da Brando nel celeberrimo On the waterfront (Fronte del porto), ma Brando rifiutò dicendo che avrebbe preferito qualcosa di più sensibile. In realtà l’attore non aveva alcuna idea a riguardo e i successivi incontri divennero semplici chiacchierate.

Nel frattempo Harris e Kubrick furono contattati da Jim Thompson. Negli anni della collaborazione per Rapina a mano armata, i due avevano commissionato a Thompson un romanzo breve dal titolo “Lunatic at Large” (“Un pazzo in libertà”) che raccontava la storia di un soldato americano e di una donna psicopatica con tendenze omicide, ma il soggetto non piacque agli amici e fu subito accantonato (lo scritto, a lungo considerato perduto, fu ritrovato nel 1992). Nel 1958 fu, invece, lo scrittore a presentare un progetto ai due, si trattava della trasposizione cinematografica del suo romanzo “Getaway!” che era stata rifiutata da diversi studios. Anche Kubrick rifiutò. Il soggetto di Thompson, tuttavia, venne portato due volte sul grande schermo, nel 1972 per la regia di Sam Peckinpah con Steve McQueen e Ali MacGraw, e nel 1994 con Alec Baldwin e Kim Basinger diretti da Roger Donaldson.

3. I giovani leoni (1958) diretto da Edward Dmytryk

Harris e Kubrick presero, invece, in considerazione The German Lieutenant un lavoro sulla Seconda guerra mondiale scritta dal regista con Richard Adams. Crudo come Orizzonti di gloria, ma visto dalla parte dei tedeschi. Brando aveva recitato un ruolo simile in The Young Lions (I giovani leoni, 1958) e il progetto suscitò scarso entusiasmo. Stessa sorte anche per The Last Parallel sulla Guerra di Corea e per una serie comica televisiva interpretata da Ernie Kovacs. I rapporti col divo si raffreddarono.

Kubrick si concentrò così sul poliziesco “I Stole 16 Million Dollars”, un adattamento delle memorie di Herbert Emerson Wilson, l’archetipo del ladro gentiluomo. La United Artist e la Bryna decisero di sviluppare il progetto che venne seguito prima da Lionel White, poi da Jim Thompson. Il titolo provvisorio fu The Theft (Il furto). Ma il film non interessava a Douglas e così non se ne fece nulla, anche perché la sceneggiatura era ormai di proprietà della Bryna.

Nel maggio del 1958, a sorpresa, Brando contattò nuovamente Kubrick. Gli chiese, questa volta, un incontro senza Harris. Voleva fare un western per la Paramount. Due anni prima l’attore aveva opzionato un romanzo dello scrittore di frontiera Luois L’Amour, intitolato “To Tame a Land” (“Domare una terra”) e aveva assunto Niven Bush, già autore di Duel in the Sun (Duello al sole, 1946), affinché scrivesse la sceneggiatura. Ben presto Bush si rese conto che Brando non aveva letto il libro, ma era solo rimasto affascinato dal titolo. Dopo tre titoli provvisori (Guns Up, Ride Comachero e A Burst of Vermillion) e 500000 dollari spesi dalla Paramount, il progetto fu accantonato.

4. la figura di Billy the Kid alla base del progetto di Brando

La “major” riprese l’idea di realizzare un western nel 1957 dopo l’uscita di “The Authentic Death of Hendry Jones” (“La vera morte di Hendry Jones”) scritto da Charles Neider, un romanziere nato da Odessa, grande estimatore del vecchio West, che era rimasto affascinato, per temi e ambientazioni, da “The Authentic Life of Billy the Kid” (“La vera storia di Billy the Kid”), scritto Pat Garrett compagno d’avventura di Billy the Kid e poi sceriffo. La sceneggiatura del nuovo progetto venne affidata a Sam Peckinpah, allora un oscuro regista e sceneggiatore televisivo.

Brando, saputo di questo nuovo progetto, volle incontrare Peckimpah e decise di ingaggiarlo per realizzare un film capace di tenere insieme sia “To Tame a Land” sia “The Authentic Death of Hendry Jones”. Per la regia chiamò Kubrick che, in accordo con Harris, accettò. Tuttavia per il regista di Orizzonti di Gloria, la sceneggiatura era “tremenda”. Ingaggiò così Calder Willingham per ripensare e riscrivere la storia di The Authentic Death of Hendry Jones. Il 12 maggio del 1958 Sam Peckinpah venne licenziato. Seguì una serie interminabile di riunioni in casa di Marlon Brando. La moglie Anna Kashfi mostrava sempre più segni di insofferenza e, come se non bastasse, Kubrick non era abituato a realizzare film di gruppo. Nonostante tutto la lavorazione di The Authentic Death of Hendry Jones andò avanti per tutta l’estate del 1958.

Sempre nel 1958 Stanley Kubrick sposò Christiane Harlan (Braunschweig, 10 maggio 1932). La donna aveva avuto una figlia, Katharina (Friburgo, 25 dicembre 1953), dal precedente matrimonio con l’attore e doppiatore tedesco Werner Bruhns (Amburgo, 10 ottobre 1928 – Amburgo, 16 ottobre 1977). Bruhns, morto suicida poco dopo il suo quarantanovesimo compleanno, fu la voce tedesca dell’attore George Peppard e soprattutto l’eccentrico ed omosessuale zio Ottavio in Novecento di Bernardo Bertolucci. Stanley, che adottò la figlia di Bruhns, ebbe con Christiane due bambine: Anya (6 aprile 1959 – 7 luglio 2009) e Vivian (Los Angeles, 5 agosto 1960).

5. la prima edizione di Lolita

Mentre il lavoro su The Authentic Death of Hendry Jones proseguiva a singhiozzo, Kubrick e Harris misero gli occhi su un altro romanzo, “Lolita” di Vladimir Nabokov. Pubblicato a Parigi nel 1955 in due volumi dalla casa editrice Olympia Press, che aveva in catalogo anche le opere del Marchede De Sade, il capolavoro dello scrittore russo raccontava la storia di Humbert Humbert, un professore europeo dai modi gentili, che perde la testa per Lolita, una ragazzina di dodici anni. Un libro scandalo che nell’agosto del 1958 venne pubblicato negli USA.

Willingham fu il primo del gruppo a leggere il romanzo e lo suggerì a Kubrick e Harris. I due si precipitarono da Irving Lazar, l’agente di Nabokov negli Stati Uniti. Lazar era l’agente delle “stelle”, tra i clienti seguiti negli anni da citare Cary Grant, Ernest Hemingway, Madonna e perfino l’ex Presidente USA Richard Nixon, ma fu un altro assistito, Humphrey Bogart, ad affibbiargli il soprannome di “Swifty” (“lesto”) per indicare in una sola parola scaltrezza e velocità. Lazar fissò i diritti di “Lolita” in 150000 dollari, pagabili in due rate.

Grazie ai soldi guadagnati con Rapina a mano armata e la vendita dei diritti della stessa pellicola alla United Artists, Harris e Kubrick riuscirono ad ottenere i diritti di “Lolita” che nel frattempo era balzato al quarto posto tra i best sellers del “New York Times” (superò poi le 50 milioni di copie vendute). Ma l’ostacolo più grande rimaneva quello della Legion of Decenty’s Production Code Authority, l’ufficio di “autocensura” di Hollywood. Harris e Kubrick rassicurarono il Presidente della “Legione”, Geoffrey Shurlock, che la pellicola non avrebbe parlato della relazione sessuale. Kubrick affermò che la nuova pellicola sarebbe stata in linea con gli interessi politici e sociali dei precedenti lavori. Non il sesso al centro del film, ma la storia di un emarginato che lotta, a suo modo, contro l’ordine sociale costituito.

6. Anna Kashfi lasciò Marlon Brando durante la lavorazione del film titolato One-Eyed Jacks

Durante le trattative per “Lolita”, Kubrick continuò a discutere con Brando di The Authentic Death of Hendry Jones. Quando si stancavano di discutere, i due giocavano a domino o a poker. Fu proprio durante una pausa che la sceneggiatura cambiò titolo. Il Jack (Fante) delle carte era raffigurato di profilo e mostrava un solo occhio, nell’espressione comune, soprattutto dei giocatori del sud, “One-Eyed Jacks”, ovvero mostrare una faccia, ma nasconderne un’altra. Come il protagonista del film.

Il matrimonio di Kubrick era appena iniziato, mentre quello di Brando stava per finire. Nel settembre del 1958 Anna Kashfi lasciò l’attore portandosi via il loro figlio Christian (Los Angeles, 11 maggio 1958 – Los Angeles, 26 gennaio 2008), ma questo non fermò la lavorazione dell’ex The Authentic Death of Hendry Jones ora ribattezzato One-Eyed Jacks. Del romanzo di Neider non rimaneva più nulla, anche il nome del protagonista venne cambiato da Hendry Jones a Rio Kid e con lui il suo profilo psicologico. Imprigionato per cinque anni a seguito del tradimento del suo amico Dad Longworth, che lo aveva abbandonato nelle mani della polizia messicana, Rio giura di vendicarsi. Scopre che il vecchio amico è divenuto lo sceriffo e decide di attuare la sua vendetta. Prima seduce la figlia, poi, dopo aver imparato a sparare con la sinistra, poiché Dad gli aveva maciullato la destra, lo uccide in un duello.

Le riprese vennero annunciate per il dicembre del 1958, ma i sei mesi di discussioni avevano logorato i rapporti tra Kubrick, Willingham, Brando e Frank Rosenberg il produttore che seguì dall’inizio il progetto. Willingham fu il primo ad essere licenziato e sostituito da Guy Trosper, che aveva il solo merito di aver tratto un modesto musical dalla strepitosa “Jailhouse Rock” di Elvis Presley (uscito in Italia col titolo Il delinquente del rock and roll).

7. Marlon Brando alla regia de I due volti della vendetta

La posizione di Kubrick all’interno del gruppo di lavoro si fece più debole. Riuscì a far ingaggiare per il film alcuni dei “suoi” attori, Elisha Cook Jr, Timothy Carey, ma sul resto del cast fu una sconfitta totale. Per la parte della figlia di Longworth venne imposta l’attrice messicana Pina Pellicer nome d’arte di Josefina Yolanda Pellicer López de Llergo (Città del Messico, 3 aprile 1934 – Città del Messico, 4 dicembre 1964) una ragazza bella e fragile che morì suicida a trent’anni. Per il ruolo di Longworth, Kubrick suggerì Spencer Tracy, ma Brando gli preferì Karl Malden, già al suo fianco in Fronte del porto, che all’oscuro del regista era già stato scritturato e percepiva già uno stipendio.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Le testimonianze differiscono, ma una cosa è certa, una sera a casa di Brando, era la metà di novembre del 1958, ci fu la rottura definitiva e Kubrick lasciò il film. Dopo il rifiuto di Elia Kazan, Sidney Lumet e altri registi, la pellicola venne diretta dallo stesso Marlon Brando.

One-Eyed Jacks, in Italia titolato I due volti della vendetta, è un western affascinante (uno dei pochi in cui si vede l’oceano) grazie anche alla fotografia di Charles Lang Jr, in cui tornano alcuni temi cari a Brando dal rapporto edipico (i due protagonisti si chiamano Dad e Kid) al fascismo masochista per la violenza (per gli “eccessi” delle scene in cui il protagonista Rio viene umiliato e mutilato, per questo il film uscì solo nel 1961); dal tema della vendetta all’interesse per la cultura orientale (il protagonista impara ad usare la mano sinistra in un villaggio di pescatori cinesi). Il film venne ridotto da 282 minuti agli attuali 141.

8. I due volti della vendetta (1961)

La Paramount investì ben 6 milioni di dollari per One-Eyed Jacks, ma il film fu un autentico fiasco. Le perdite economiche posero fine alle ambizioni registiche di Brando che firmò con I due volti della vendetta la sua prima e unica regia. Ne Peckinpah, ne Kubrick figurarono nei titoli.

Stanley Kubrick non rimase a lungo senza lavoro. Il 27 gennaio del 1959 Kirk Douglas aveva iniziato a girare nella Valle della Morte, Spartacus con la regia di Anthony Mann. Sei giorni dopo Mann venne licenziato e Kubrick, che ancora non aveva pronta la sceneggiatura per Lolita, accettò di sostituirlo.

Il cinema americano stava cambiando. Nella seconda metà degli anni cinquanta per un regista, un attore o un produttore, la prova cruciale era la realizzazione di un film epico. La stagione si era aperta nel 1953 con The Robe (La tunica) una pellicola assai modesta che aveva l’unico merito di essere stata la prima della storia girata in CinemaScope. Questo nuovo sistema di ripresa, con le sue immagini “avvolgenti” e col sonoro stereofonico, aveva attirato nuovi spettatori al cinema. I cineasti, consci della lotta contro la televisione, si scatenarono quindi alla ricerca di ambientazioni pittoresche e “esotiche” da far risaltare al meglio sullo schermo. Location che avevano costi ridotti rispetto alle ricostruzioni in studio.

In quest’ottica venne realizzato I vichingi con Kirk Douglas, girato tra Croazia, Francia, Germania e Norvegia. Il film ottenne un successo strepitoso, incassando oltre 15 milioni di dollari, e convinse l’attore a concentrarsi su soggetti epici. Commissionò due sceneggiature una su Montezuma, l’altra su Spartacus con una predilezione per quest’ultimo. Douglas, infatti, era stato preso in considerazione per il ruolo del protagonista in Ben Hur (poi andato a Charlton Heston) e voleva prendersi una sorta di rivincita.

9. Howard Fast

L’idea di un film su Spartacus (Spartaco) nacque dal romanzo omonimo di Howard Fast (New York, 11 novembre 1914 – Greenwich, 12 marzo 2003) uno scrittore comunista, Premio Stalin per la Pace nel 1953, che nei suoi lavori parlava senza mezzi termini di lotta di classe (da segnalare anche il romanzo “Sacco e Vanzetti”). Il suo “Spartacus” era una versione romanzata delle gesta dello schiavo che capeggiò la rivolta contro Roma nel 73 a.C.

Douglas presentò il progetto alla United Artists, ma gli venne risposto che era già in cantiere un film sulla storia di Spartaco con Yul Brinner e Anthony Quinn diretta da Martin Ritt e intitolata I gladiatori. Douglas non si fermò. Forte del suo “peso” convinse la Universal ad investire sul film una tale somma di denaro che “convinse” la United Artists ad abbandonare il suo progetto. Non pago l’attore pretese che la comunicazione della “resa cinematografica” gli fosse comunicata da Yul Brinner. Vergognosamente la ottenne.

Douglas, tuttavia, non aveva ancora una sceneggiatura. Venne pertanto scritturato Dalton Trumbo, il più celebre dei cosiddetti “Hollywood Ten”. Nelle sue memorie l’attore scrisse che fu lui a decidere di contattarlo per riabilitarlo dopo l’assurda stagione del maccartismo. Nella realtà la Bryna sfruttava senza scrupoli gli autori accusati di essere comunisti e aveva messo a libro paga, a tariffe bassissime, diversi nomi che figuravano nella “lista nera”: Ring Lardner Jr, Paul Jarrico, John Haward Lawson, Mitch Lindermann e appunto Trumbo. Fu la stagione dei “prestanome”, ben raccontata in The Front diretto da Martin Ritt con Zero Mostel e un giovane Woody Allen.

10. Dalton Trumbo

Trumbo, benché avesse vinto sotto pseudonimo due Oscar per Vacanze romane (1953) e La più grande corrida (1956), non fu mai la prima scelta per Douglas e fu proposto solo come “cavia” per sondare le reazioni del pubblico americano alla “vista”, dopo anni, di un comunista nei crediti di un film. La scelta, tuttavia, non fu fatta per Spartacus, Douglas non voleva rischiare un boicottaggio per una pellicola da 12 milioni di dollari, ma per un adattamento a basso costo del romanzo “The Brave Cowboy” di Edward Abbey. Trumbo arrivò per caso a Spartacus, solo dopo l’indisponibilità di altri sceneggiatori non inclusi nella “lista nera”, e ancora sotto falso nome, quello di Sam Jackson.

La scrittura della sceneggiatura non fu semplice anche perché, nella “migliore” tradizione, il comunista Fast non sopportava il comunista Trumbo. Il primo accusava il secondo di essere un comunista da salotto, il secondo accusava il primo di essere un fanatico. Douglas con fatica li convinse, ma fu sempre più difficile per lui nascondere il lavoro di Trumbo. Walter Winchell, un giornalista specializzato in accuse di comunismo e scandali sessuali (aveva attaccato anche la ballerina Joséphine Baker e l’aviatore Charles Lindbergh), pubblicò nella sua rubrica la notizia che Trumbo stava lavorando a Spartacus. La Bryna corse ai ripari con una smentita, ma fu sempre più difficile nascondere che Sam Jackson era in realtà Dalton Trumbo.

Il soggetto metteva a confronto due visioni contrastanti dell’umanità: da una parte Spartaco lo schiavo immigrato e analfabeta, dall’altra Crasso il generale romano raffinato e ambizioso. Per la regia i produttori scelsero Anthony Mann (San Diego, 30 giugno 1906 – Berlino, 29 aprile 1967), specializzato in western e noir che ben presto entrò in conflitto con Douglas. Il regista preferiva una recitazione appena accennata, inconciliabile con quella sovraccarica dell’attore. Non solo, secondo il protagonista di Orizzonti di gloria, Mann era troppo ben disposto nei confronti delle star britanniche presenti nel film da Laurence Olivier (Dorking, 22 maggio 1907 – Steyning, 11 luglio 1989) che interpretava Crasso a Charles Laughton (Scarborough, 1 luglio 1899 – Hollywood, 15 dicembre 1962) scelto per interpretare Gracco il principale avversario di Crasso nel Senato romano. Come se non bastasse i due attori litigavano tra loro con Laughton irritato per le paghe, quella di Olivier era di 250000 dollari, la sua di appena 41000 dollari, incredibilmente vicina a quella dell’esordiente Sabina Bethmann ferma a 35000.

11. gli attori, con Anthony Mann, sul set di Spartacus

Ma chi dava maggior fastidio a Douglas era Peter Ustinov (Londra, 16 aprile 1921 – Genolier, 28 marzo 2004) che interpretava Lentulo Batiato, che compra Spartaco dalle miniere di sale e lo addestra a gladiatore. Ustinov, autore teatrale, romanziere, mimo, derideva Douglas per i suoi eccessi (ad esempio raccontò che alla prima lettura della sceneggiatura mentre i tre attori inglesi erano vestiti casual, Douglas si presentò col costume di Spartaco!) e si ingraziò in breve tempo il regista Mann, che accolse alcune variazioni al suo personaggio. Non solo i tre inglesi iniziavano a fare squadra contro lo strapotere di Douglas che aveva ingaggiato gli altri attori facendo credere a ciascuno di loro di essere il fulcro del film.

A pochi giorni dall’inizio delle riprese Olivier era già furente perché nella sceneggiatura di Trumbo il suo ruolo era ridimensionato a vantaggio di Laughton/Gracco. Lo scrittore provò una mediazione, ma fu una volta di più Ustinov a riscrivere e riarrangiare alcuni dialoghi, rendendo Douglas ancor più furioso. Le critiche di Mann al suo stile di recitazione portarono alla rottura definitiva e al cambio di regista.

Kubrick, benché non considerasse Spartacus un suo film (tutt’ora in numerose rassegne o collezioni di DVD non viene inserito), accettò per liberare la Harris-Kubrick dall’accordo con la Bryna di Douglas. L’attore era pronto a rinunciare all’accordo (cinque film di cui almeno due con egli protagonista) solo se i due amici avessero concesso una percentuale sui film che Stanley avrebbe realizzato in futuro. Douglas sapeva di Lolita, ma pensava che quel film non avrebbe mai visto la luce, così rinunciò ai futuri incassi, per avere Kubrick dietro la macchina da presa di Spartacus. La paga del regista venne fissata in 150000 dollari. Affare fatto.

12. Vladimir Nabokov

Mentre Kubrick era impegnato nella nuova pellicola, Harris si dedicò al vecchio progetto “I Stole 16 Million Dollars”. Nel maggio del 1959 ingaggiò nuovamente Thompson che scrisse la sceneggiatura e la consegnò il primo giugno. Kubrick suggerì alcuni cambiamenti, ma lo scrittore fu colto da infarto. I due amici continuarono, tuttavia, a garantirgli uno stipendio, ma “I Stole 16 Million Dollars” fu accantonato definitivamente anche perché considerato troppo simile a Rapina a mano armata. Harris si concentrò anche su Lolita. Chiese a Nabokov, arrivato con la moglie a Los Angeles, di scrivere la sceneggiatura, ma al suo rifiuto contattò il solito Willingham.

Kubrick venne presentato al cast di Spartacus sul set della scuola dei gladiatori. Parallelamente Trumbo per alleggerire la trama, popolata solo di uomini di mezza età, inserì nella sceneggiatura la figura di Antonino, un giovane schiavo che diventa amico e confidente di Spartaco. Il ruolo fu affidato al rubacuori del momento, Tony Curtis, nome d’arte di Bernard Schwartz (New York, 3 giugno 1925 – Henderson, 29 settembre 2010) che, per via di un vecchio contratto, doveva ancora recitare un film per la Universal.

Il principale ruolo femminile, quello di Varinia la moglie del protagonista, venne affidato, dopo il rifiuto di Ingrid Bergman, Jeanne Moreau, Elsa Martinelli, alla debuttante Sabine Bethmann (Tilsit, 25 ottobre 1931). L’attrice tedesca fu la prima “vittima” di Kubrick che la sostituì nonostante avesse già gli abiti fatti su misura e fosse stata inserita nelle foto pubblicitarie con gli altri protagonisti del film. Venne sostituita da Jean Simmons (Crouch Hill, 31 gennaio 1929 – Santa Monica, 22 gennaio 2010) che era già stata contattata per la parte. Un simile licenziamento fece capire a Douglas che Kubrick non era tutt’altro umile sottoposto.

13. Laurence Olivier e John Gavin, attore e poi ambasciatore in Messico durante la presidenza Regan

Il resto del cast fu arricchito da buoni caratteristi: Charles McGraw (Des Moines, 10 maggio 1914 – Studio City, 30 luglio 1980), attore nel Group Theatre insieme a John Garfield, recitò la parte di Marcello il supervisore della scuola dei gladiatori; John Gavin (Los Angeles, 8 aprile 1931 – Beverly Hills, 9 febbraio 2018) fu un legnoso Giulio Cesare, pochi mesi prima aveva recitato in Psyco diretto da Hitchcock. Nel giugno del 1981 Gavin fu nominato dall’ex collega Ronald Regan, ambasciatore USA in Messico; John Ireland (Vancouver, 30 gennaio 1914 – Santa Barbara, 21 marzo 1992) e Harold J. Stone (New York City, 3 marzo 1913 – Woodland Hills, 18 novembre 2005), attori con decine di titoli alle spalle, divennero due gladiatori. Una menzione, infine, per Woody Strode (Los Angeles, 25 luglio 1914 – Glendora, 31 dicembre 1994) il mastodontico attore afroamericano che diede il volto a Draba, il cui duello con Spartaco rimane una delle scene più belle del film.

Ma il tutto non convinceva ancora Kubrick. “Non è una buona storia” continuava a ripetere anche perché da una parte Douglas, appassionato sionista, vedeva nella pellicola una variazione del messaggio “Lasciate che il mio popolo sia libero”, dall’altra Trumbo voleva praticamente fare di Spartacus un film di propaganda socialista. Descrisse come qualcosa di epico una rivolta che durò pochi anni dal 73 a.C. al 71 a.C., dipinse Spartaco come lo stinco di santo che non era e fece intendere che grazie al protagonista la schiavitù era stata abolita, mentre purtroppo continua ancora ai giorni nostri. Kubrick intervenne e lasciò la sua impronta spostando il centro dei film sulla rivolta e non su Roma.

14. i crediti del film Exodus

Nonostante le denunce di Winchell la Bryna continuò a negare il coinvolgimento di Trumbo, ma il problema si risolse da se. Nel gennaio del 1960 il regista Otto Preminger annunciò, sperando di trarne qualche pubblicità, che lo sceneggiatore comunista aveva lavorato ad Exodus e che il suo nome sarebbe comparso nei titoli. Trumbo lasciò per sempre il suo pseudonimo e venne finalmente riabilitato. Quanto uscì Spartacus la sterile polemica anticomunista era ormai marginale.

Ormai Kubrick aveva preso il comando e decise di fare di Spartacus il film più realistico tra tutti quelli epici, nonché il degno successore di Orizzonti di gloria. Per rendere più reale il tutto, ingaggiò il celebre truccatore Bud Westmore (New Orleans, 13 gennaio 1918 – Los Angeles, 24 giugno 1973) che, con persone deformi e interiora di animali, rese più vere le scene di guerra.

Sul set, tuttavia, il clima continuava ad essere tutt’altro che sereno e i ritardi delle riprese irritarono non poco Olivier, in costante lotta con Laughton. Come se non bastasse Jean Simmons fu costretta ad un intervento chirurgico e Tony Curtis si lacerò il tendine d’Achille giocando a tennis con Douglas che, a sua volta, venne colpito da un virus che lo costrinse a letto per dieci giorni.

Tra tutti il personaggio più controverso era quello di Crasso, principalmente a causa di una scena in cui Antonino gli insapona la schiena nella sua vasca da bagno e, con un’ardita metafora tra lumache e ostriche, confessa allo schiavo la propria bisessualità. Olivier era bisessuale per davvero e, dopo aver divorziato da Vivian Leigh, la protagonista di Via col vento, aveva avuto una lunga relazione con l’attore comico Danny Kaye terminata dopo il matrimonio dell’attore inglese con l’attrice Joan Plowright.

15. la scena, tagliata e poi reinserita, in cui Crasso dichiara ad Antonino la propria bisessualità

Verso la fine del 1959 la troupe si spostò in Spagna per girare le scene di battaglia, assenti nella sceneggiatura di Trumbo. Il resto del film, benché Douglas volesse girare a Cinecittà, fu realizzato interamente negli Stati Uniti.

Kubrick trovò anche il tempo di leggere la sceneggiatura che Willingham aveva realizzato per Lolita. Alla fine del film Humbert e la ragazza di sposavano. Un finale detestato dal regista che provò nuovamente a coinvolgere Nabokov. Nel febbraio del 1960 lo scrittore russo accettò di scrivere la sceneggiatura tratta dal suo romanzo, ma fu chiaro a tutti che Lolita non sarebbe stato filmato integralmente. Hollywood avrebbe accettato delle adolescenti sensuali solo decenni dopo, per la precisione Jodie Foster in Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese e Brooke Schiels in Pretty Baby (1978).

Iniziò una fitta rete di incontri tra regista e scrittore che definirono la sceneggiatura e scelsero attori e attrici. Nabokov, infatti, aveva una sorta di diritto di veto su tutti quelli che avrebbero recitato nel film.

Per interpretare il professor Humbert, Harris e Kubrick pensarono subito all’attore James Mason (Huddersfield, 15 maggio 1909 – Losanna, 27 luglio 1984), già preso in considerazione per il precedente Orizzonti di gloria, ma l’attore britannico era impegnato in un musical a Broadway. Il regista pensò allora a Peter Ustinov, ma lo scartò subito. Quindi fu la volta di Laurence Olivier, David Niven, Marlon Brando ed Errol Flynn, ma i loro agenti li sconsigliarono di interpretare una parte così controversa. La situazione si stava complicando fino a quando i due non ricevettero una telefonata “C’è ancora quella parte per caso?”. Era James Mason che aveva cambiato idea e si era liberato.

16. la sedicenne Sue Lyon venne scelta per interpretare Lolita

La ricerca di Lolita non fu meno complessa. La prima scelta di Kubrick ricadde sull’attrice Tuesday Weld, ma Nabokov la scartò. Nel romanzo la protagonista aveva 12 anni, nel film salì a 14, ma venne scelta una sedicenne bionda di nome Sue Lyon (Davenport, 10 luglio 1946) che aveva già recitato in televisione e nella pubblicità. Il regista la incontrò, la fotografò e mostrò l’immagine, insieme ad altre, a Nabokov. Lo scrittore fece scorrere le foto, si fermò, puntò l’indice sulla foto della Lyon e disse “Non c’è dubbio: è lei”. Contratto firmato.

Per interpretare la madre, Charlotte Haze, venne scelta per posta l’attrice Shelley Winters (East St. Louis, 18 agosto 1920 – Los Angeles, 14 gennaio 2006) che in quelle settimane stava seguendo la campagna elettorale di John Fitzgerald Kennedy.

Il cast era quasi definito, ma Harris e Kubrick dovevano trovare una casa di produzione. La Warner Bros si fece avanti, ma imponendo troppi vincoli e i due rifiutarono. Si appoggiarono così alla Associated Artist che offrì loro un milione di dollari. Decisero infine di girare il film in Inghilterra, dove la Associated Artist operava col nome di Seven Arts, per accedere ai fondi dell’Eady Plan, una legge che consentiva ai produttori stranieri di dedurre le spese se l’80% dei dipendenti fossero stati cittadini britannici. Uno era già parte del progetto, ovvero James Mason, ma per avere ancora maggiori chances sarebbe servito un altro protagonista. Tra i ruoli principali l’unico ancora scoperto era quello di Clare Quilty, il commediografo che seduce Lolita, che venne affidato ad un allora appena emergente Peter Sellers.

17. Kubrick e Douglas sul set di Spartacus

In quel denso 1960 Kubrick iniziò anche il lavoro di post produzione di Spartacus. Le musiche, compresa l’ouverture e l’intermezzo, vennero affidata a Alex North che non aveva mai composto per un film epico (e che in futuro lo avrebbe fatto solo per Cleopatra). Poiché poco si sapeva della musica romana, il compositore sperimentò strumenti esotici e si ispirò alle note di Prokofiev utilizzate nell’Aleksandr Nevskij di Ėjzenštejn.

Ancor più delicata la fase di montaggio vista anche la quantità di materiale girato. Un lavoro fatto da Kubrick, prima con l’aiuto di Irvin Lerner, poi insieme a Robert Lawrence, che mise a dura prova la devozione del regista all’arte del montaggio. Dopo i primi mesi di lavoro la lunghezza del film era di 196 minuti, ma le scene troppo “reali” con i mutilati e gli ammiccamenti sessuali, vennero aspramente criticate. Così come quella della morte di Gracco e l’ultima sequenza: per la censura era inaccettabile un esplicito riferimento a suicidio e eutanasia. Il regista giunse così ad una versione da 184 minuti (molte scene tagliate andarono perdute, quelle salvate vennero rimontate nel 1994 per l’edizione “Director’s cut”. Altre figurano negli “extra” delle più recenti edizioni DVD).

Il 1960 fu anche l’anno delle Olimpiadi a Roma e Douglas prese in considerazione l’idea di tenere l’anteprima nei Bagni di Caracalla alla chiusura dei Giochi, ma la Universal decise di pianificare una sontuosa campagna promozionale che si concluse il 6 ottobre al Columbia Theatre di New York dove si tenne l’anteprima. Dal giorno successivo Spartacus venne distribuito in tutti gli Stati Uniti.

18. Spartacus (1960)

Spartaco (Kirk Douglas), schiavo della Tracia, viene comprato da Lentulo Batiato (Ustinov) che lo porta nella sua scuola di gladiatori a Capua. Li conosce e si innamora della giovane schiava Varinia (Jean Simmons) e si scontra con l’istruttore Marcello (Charles McGraw). Quando la formazione di Spartaco è quasi conclusa, giunge alla scuola il generale romano Marco Licinio Crasso (Laurence Olivier) accompagnato dal suo protetto Marco Publio Glabro (John Dall) e dalle rispettive compagne. Crasso, come regalo di matrimonio dell’amico, esige uno spettacolo di combattimento a morte. Spartaco viene scelto per affrontare il guerriero etiope Draba (Woody Strode). Il gigante d’ebano lo sconfigge, ma si rifiuta di ucciderlo per poi scagliarsi contro la tribuna imperiale dove viene ucciso da Crasso. La rivolta degli schiavi non tarda ad arrivare. Spartaco uccide Marcello ed evade con i suoi compagni. Inizia così ad addestrare gli schiavi fino a farne un forte esercito che ottiene una prima importante vittoria sull’esercito romano condotto da Glabro. Con lui Varinia, che aspetta un bambino, e Antonino (Tony Curtis) un tempo schiavo personale di Crasso. L’esercito dei ribelli decide così di lasciare l’Italia e per questo Spartaco ingaggia il pirata Tigrane Levantino (Herbert Lom) affinché gli fornisca delle navi. Nel frattempo a Roma la lotta di potere che si sviluppa nel Senato vede prevalere Crasso nonostante l’opposizione di Sempronio Gracco (Charles Laughton) il capo dei plebei e del giovane Giulio Cesare (John Gavin), che presto tradirà l’amico per schierarsi col nuovo capo. Spartaco, arrivato con la sua armata sulla costa, scopre che i pirati hanno fatto il doppio gioco e che non gli daranno alcuna nave. Senza possibilità di ritirata, l’esercito dei sessantamila schiavi viene accerchiato da tre armate romane condotte da Crasso. Gli schiavi sono battuti e sterminati, i pochi sopravvissuti, tra cui Antonino e Crasso, vengono condotti a Roma per essere crocifissi. Crasso cerca invano Spartaco, di cui non ricorda il volto, ma riconosce Varinia che tra le braccia stringe il figlio nato sul campo di battaglia. La porta a casa sua, ma non riesce a sedurla. Sospetta la vera identità di Spartaco e ordina così un combattimento a morte con Antonino che soccombe (ben più tremenda la morte per crocifissione che i due amici volevano non lasciare all’altro). Il capo degli schiavi viene crocifisso, mentre Varinia, liberata grazie all’intervento di Gracco e Lentulo Batiato e avviata a nuova vita, gli mostra il figlio. Nato libero, cittadino romano.

19. Ustinov e Laughton in una scena del film

Senza dubbio il migliore di tutti i kolossal hollywoodiani, in Spartacus c’è talento visivo nelle scene di massa e i personaggi sono studiati nei dettagli e non improvvisati. Il film incassò 14,6 milioni di dollari e, benché ne fosse costato 12, fu un successo se paragonato ai film concorrenti (Gli ammutinati del Bounty, My Fair Lady, Cleopatra) che chiusero tutti in perdita. A sorpresa, rompendo la consuetudine che vedeva i presidenti vedere i film in proiezioni private alla Casa Bianca, John F. Kennedy si recò, non annunciato, il un cinema di Washington per vedere Spartacus, un gesto a sostegno della Universal che, se si escludono le scene in Spagna, aveva realizzato il film interamente negli USA. Due piccole curiosità. Le sequenze iniziali sono le uniche girate da Mann, nella scena rieditata in cui Crasso esplicita la sua bisessualità, Olivier venne doppiato dall’attore Anthony Hopkins.

La pellicola ottenne sei nomination agli Oscar aggiudicandosi quello per il Miglior attore non protagonista a Peter Ustinov, quello per la Migliore fotografia a Russell Metty, quello per la Miglior scenografia a Alexander Golitzen, Eric Orbom, Russell A. Gausman e Julia Heron e quello per Migliori costumi a Valles e Bill Thomas. Nominati, ma senza successo, anche Robert Lawrence per il montaggio e Alex North per la musica.

Peter Sellers nei panni di Clare Quilty

A Hollywood Kubrick realizzò solo due film, Rapina a mano armata e appunto Spartacus, ma tanto gli bastò per non volerne più sapere di quel metodo di lavoro, delle continue ingerenze, delle richieste dei produttori, delle star bizzose. Quello che cercava era, non tanto l’arte, quanto la libertà espressiva. Lolita divenne così il suo primo film da regista “libero”.

Il film venne realizzato in Gran Bretagna in un “clima” un po’ freddo. Tra i cineasti inglesi il solo Joseph Losey, regista comunista, espresse parole lusinghiere sottolineando che Kubrick era l’unico regista della nuova generazione di cui rispettasse l’opera.

Scelti attori e attrici, trovati i finanziamenti e le location, Lolita venne girato in appena 88 giorni. L’adattamento puntò su una serie di modifiche rispetto al romanzo, non solo per tenere a bada la censura. Rispetto al testo originale, infatti, il vero motore della storia è rappresentato Clare Quilty, interpretato magistralmente da Sellers cui Kubrick lasciò grande spazio di improvvisazione (facendo infuriare gli altri attori).

21. Lolita (1962)

Kubrick, discutendo con Nabokov, scelse così di far partire il film dalla fine ovvero dall’assassinio di Quilty così da incuriosire lo spettatore sui motivi di tale gesto. Humbert Humbert (James Mason) entra nella casa del commediografo e sceneggiatore Clare Quilty (Peter Sellers), che si presenta dicendo “Io sono Spartaco” (un chiaro riferimento al film precedente di Kubrick), e lo uccide. Un lungo flashback ripercorre la storia dei quattro anni precedenti. Humbert è un professore di letteratura francese che affitta una stanza nel New Hampshire da Charlotte Haze (Shelley Winters), una goffa e snob vedova la cui figlia Dolores Haze detta Lolita (Sue Lyon) lo attrae irresistibilmente. Pur di stare vicino alla ragazzina, che è ben conscia del suo fascino, sposa la madre, ma Charlotte viene a sapere la verità leggendo il diario di Humbert, in stato di shock è vittima di un incidente stradale e muore. Patrigno e figlia si trasferiscono così nell’Ohio dove il professore inizia ad insegnare in una scuola privata. La ragazza frequenta, tuttavia, un altro uomo un commediografo di nome Clare Quilty. Infastidito e preoccupato, Humbert inizia così con Lolita un viaggio attraverso gli Stati Uniti, ma dopo un ricovero in ospedale la ragazza scompare. Anni dopo il professore riceve una lettera di Lolita. È incinta, si è sposata con un giovane artigiano Dick Schiller (Gary Cockrell) e ha bisogno di soldi. Humbert corre a trovarla e lei gli confessa di aver sempre frequentato Quilty, anche prima di incontrare lui, e che fu proprio l’uomo a seguirli e a farla scappare dall’ospedale. La ragazza rifiuta di partire col patrigno, lui le da ugualmente dei soldi e corre in auto ad uccidere Quilty. Una scritta finale informa che Humbert è morto in prigione a seguito di una crisi cardiaca.

22. Humbert e Lolita

L’autodistruzione di un intellettuale in cui Nakokov, nonostante qualche scontro con Kubrick (immaginatevi due geni simili insieme al lavoro!!!), riuscì nella difficile impresa di adattare un suo stesso romanzo e per questo venne nominato all’Oscar del 1963 per la Miglior sceneggiatura non originale. Kubrick, da parte sua, riuscì a far risultare bene la misura della satira e deformazione grottesca.

La MGM il 14 febbraio del 1962, non casualmente nel giorno di San Valentino, annunciò l’acquisizione dei diritti di Lolita dalla Seven Arts. I problemi con la censura erano stati risolti, il film di Kubrick uscì nella sale americane il 13 giugno del 1962 e venne presentato al Festival di Venezia, tra i titoli più attesi, insieme a Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini.

Dal romanzo di Nabokov venne anche tratto il film Lolita (1997) di Adrian Lyne con Jeremy Irons (Humbert Humbert), Melanie Griffith (Charlotte Haze), Frank Langella (Clare Quilty) e Dominique Swain (Lolita), ma la migliore trasposizione cinematografica rimane quella di Kubrick. La Lyon con il lecca lecca fece epoca, anche se il film non riuscì a restituire fino in fondo la sensualità delle pagine di Nabokov.

Kubrick continuava ad isolarsi dal resto del mondo. Aveva inoltre sempre meno voglia di guidare e aveva limitato, fino a cancellarli, i voli in aereo. La moglie Christiane e le figlie Anya e Vivian erano la sua vita. Ma il regista non era comunque sereno, era ossessionato da una paura, quella di una guerra nucleare. Le sue paure erano più che legittime: nel 1960 Kruscev disertò il vertice di Parigi rivelando lo spionaggio degli U2 statunitensi sull’Unione Sovietica, nel 1961 ci fu la Baia dei porci e il Muro di Berlino, nel 1962 la crisi missilistica cubana. Kubrick aveva ormai letto maniacalmente oltre settanta libri sulla strategia nucleare. “Per sopravvivenza”, continuava a ripetere. Ma le ossessioni possono anche essere portate sul grande schermo.

23. Peter George autore del libro “Two Hours do Doom”

L’idea di fare un film sulla guerra nucleare gli fu suggerita da Alastair Buchan, Direttore dell’Institute of Strategics Studies (Istituto di Studi Stategici) di Londra. Su suo consiglio, già nel 1958, aveva letto il romanzo “Two Hours do Doom” di Peter Bryant, pseudonimo di Peter George, ex tenente della Royal Air Force (RAF) e membro attivo della Campagna per il Disarmo Nucleare. Il racconto descriveva uno scenario inquietante quanto verosimile. Quinten, un generale degli USA, in preda ad una forte depressione, lancia quaranta bombardieri atomici B52 verso gli obiettivi sovietici. Nella stanza della guerra il Presidente degli Stati Uniti prima prende in considerazione il piano del suo Generale, poi raggiunge un accordo con i “russi”: se una città sovietica verrà bombardata loro potranno bombardare Atlantic City nel New Jersey. Un soggetto cinematograficamente interessante, “Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato”.

Kubrick scoprì dall’agente di George che i diritti del romanzo erano già stati opzionati nel 1959, ma da quella acquisizione non venne sviluppato alcun film. Il solito grande Harris li riuscì ad ottenere per 3500 dollari. Cineasta e scrittore, entrambi ossessionati ma in qualche modo affascinati dalla minaccia nucleare, iniziarono a scrivere la sceneggiatura. L’idea di partenza non fu dissimile da quella scritta da James Agee per Charlie Chaplin, ma poi iniziarono a cogliere un lato buffo della vicenda. Cosa sarebbe successo se nella stanza della guerra, in preda alla fame, i militari avessero ordinato delle pizze? Suggestivo, ma il progetto faceva fatica a decollare e le incertezze sulla sceneggiatura rischiarono di far saltare il film.

La paura nucleare era anche un affare editoriale. Le librerie pullulavano di romanzi a tema, lo stesso “Two Hours do Doom” venne ristampato e pubblicato col titolo “Red allert” (“Allarme rosso”), ma soprattutto erano in lavorazione o già in distribuzione diverse pellicole incentrate su drammi nucleari o post nucleari. A preoccupare Kubrick era soprattutto On the Beach (L’ultima spiaggia, 1959) di Stanley Kramer con un ricco cast che comprendeva Gregory Peck, Anthony Perkins, Fred Astaire e Ava Gardner. Fortunatamente il regista era ormai troppo coinvolto per fermarsi, fissò l’inizio delle riprese per l’ottobre del 1962 a Shepperton, piccola cittadina sulla riva sinistra del Tamigi e iniziò a mettere insieme il cast.

24. Hayden nella parte del generale che scatena l’attacco atomico

Per la parte del generale squilibrato che ordinava l’attacco nucleare, contattò, dopo il successo di Rapina a mano armata, Sterling Hayden. Per il ruolo del pilota del B52 Kubrick ipotizzò a John Wayne, ma l’attore da ottuso uomo di destra quale era, rifiutò. Per il capo dell’aeronautica americana il regista pensò, dopo aver visto una sua rappresentazione al Central Park de “Il mercante di Venezia”, a George C. Scott (Wise, 18 ottobre 1927 – Westlake Village, 22 settembre 1999). Nello stesso spettacolo il regista notò anche un attore un giovane attore di colore che volle per interpretare uno degli uomini dell’equipaggio del bombardiere atomico, il suo nome era James Earl Jones (Arkabutla, 17 gennaio 1931).

L’esperienza di Spartacus e Lolita, la definitiva rescissione del contratto con la Bryna di Kirk Douglas (avvenuta nell’autunno del 1961) e l’ormai raggiunta sicurezza economica, portarono Harris e Kubrick alla separazione. Harris continuò a lavorare nel mondo del cinema sia come sceneggiatore che come regista, da ricordare The Bedford Incident (Stato d’allarme, 1965) e Cop (Indagine ad alto rischio, 1988).

Ma la chiusura della Harris-Kubrick Productions ebbe come conseguenza la perdita del contatto con la Seven Arts. La Columbia si dimostrò interessata al film, ma solo con importanti restrizioni nel budget e con l’imposizione di un attore. La casa di produzione era convinta che il successo di Lolita dipendesse esclusivamente da Peter Sellers, la cui popolarità era esplosa con The Pink Panther (La pantera rosa, 1963) di Blake Edwards, e chiese non solo il coinvolgimento dell’attore nel nuovo film, ma anche che interpretasse più ruoli. Kubrick, ormai stabilitosi a Londra, convinse Sellers, che tra moglie e amante, non passava un gran periodo. Il problema più grande rimaneva comunque quello della sceneggiatura.

25. Terry Southern

Provvidenziale fu, dal dicembre 1962, l’apporto dello scrittore Terry Southern (Alvarado, 1 maggio 1924 – New York, 29 ottobre 1995) il cui primo romanzo “The Magic Christian” (“Guy il grande”) era piaciuto sia a Peter Sellers sia a Stanley Kubrick. Ad affascinare il regista era stato soprattutto lo humour anarchico del libro che raccontava gli scherzi di un eccentrico miliardario. Il contributo dello scrittore fu decisivo, dalla svolta comica e grottesca data alla trama, al titolo. Non più “Two Hours do Doom”, non più “Red Allert”, ma Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba) che scimmiottava alcuni lunghi titoli adottati da Hollywood in quegli anni.

Col nuovo taglio dato alla sceneggiatura cambiarono anche i nomi dei protagonisti rispetto al libro. Il generale Quinten diventò Jack D. Ripper (che suona come Jack lo squartatore), il suo aiutante divenne Lionel Mandrake. Il capo dell’aeronautica passò da Franklin a “Buck” Turgidson (dollaro turgido). Turgidson era la caricatura di Curtis LeMay, guerrafondaio masticatore di sigari a capo del comando strategico dell’aviazione negli anni ’50. Nel 1962 aveva suggerito a Kennedy di invadere Cuba e durante la Guerra del Vietnam sentenziò che il paese asiatico sarebbe stato da rimandare all’età della pietra a suon di bombe. Tornando ai protagonisti del film, il Presidente statunitense venne chiamato Merkin Muffley (un gergale riferimento al sesso femminile) che si contrappone al virile ambasciatore sovietico Alexei De Sadesky. Un colonnello divenne “Bat” Guano (escrementi di pipistrello) e il pilota del bombardiere T.J. “King” Kong.

26. il dottor Stranamore, figura non prevista nel libro

Non presente nel romanzo la figura del consigliere tedesco del Presidente USA che diede il nome al film, Strangelove da noi Stranamore. Molti lo lessero come un’esplicita parodia di Henry Kissinger, ma nel 1962 il futuro consigliere di Nixon era conosciuto solo come teorico di Harvard. Più probabile che Kubrick e Southern si ispirarono ad un personaggio interpretato da Walter Matthau nel film Fail-Safe (A prova di errore), quello del professor Groeteschele, un tedesco che mette al corrente degli scenari nucleari il capo di stato maggiore. Per definire il personaggio Kubrick si ispirò al professor Rotwang, lo scienziato pazzo di Metropolis, uno dei capolavori di Fritz Lang, interpretato dal futuro nazista Rudolf Klein-Rogge. Kubrick bloccò il protagonista su una sedia a rotelle e aggiunse il braccio artificiale con il guanto nero che ragiona per conto suo e fa, appunto, il saluto nazista.

A Sellers vennero inizialmente affidati quattro ruoli: quello del colonnello Lionel Mandrake, quello del Presidente Merkin Muffley, quello del dottor Stranamore e quello del pilota del B52, ma Sellers si ruppe una gamba e il ruolo finì per essere interpretato da Slim Pickens (Kingsburg, 29 giugno 1919 – Modesto, 8 dicembre 1983) che aveva già recitato in One-Eyed Jacks. La parte dell’ambasciatore sovietico andò, invece, all’inglese Peter Bull (Londra, 21 marzo 1912 – Londra, 20 maggio 1984), caratterista specializzato in figure autoritarie e tarchiate. Per l’unico ruolo femminile del film, quello di miss Scott la segretaria di Turgidson, Kubrick pensò a Adrienne Corri, una sottile ragazza coi capelli rossi che aveva già lavorato con Renoir e Fellini, ma al suo rifiuto, ripiegò su Tracy Reed (Londra, 21 settembre 1942 – West Cork, 2 maggio 2012) figlia del regista Carlo Reed. Il cast venne completato da Keenan Wynn (New York City, 27 luglio 1916 – Los Angeles, 14 ottobre 1986) che divenne il colonnello “Bat” Guano.

27. George C. Scott

Per la scenografia venne coinvolto Ken Adam (Berlino, 5 febbraio 1921 – Londra, 10 marzo 2016). Di origini ebree era scappato nel 1934 dalla Germania nazista, quindi aveva prestato servizio nella Royal Air Force ed, infine, era divenuto un bravo scenografo. Sue quelle realizzate per Around the World in Eighty Days (Il giro del mondo in 80 giorni, 1956) di Michael Anderson e, soprattutto, quelle di Dr. No (Agente 007 – Licenza di uccidere, 1962) diretto da Terence Young, il primo 007 della serie. Proprio al bunker-laboratorio del malvagio scienziato del film, Adam si ispirò per la War Room, la sala della guerra di Stranamore.

Le riprese terminarono il 23 aprile del 1963 e l’uscita del film, dopo la consueta e delicata fase di post produzione, venne programmata dalla Columbia per il dicembre del 1963, al fine di far si che Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb potesse essere in corsa per le nominatio agli Oscar. Dopo alcune proiezioni a New York il film venne momentaneamente ritirato come forma di rispetto per l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy avvenuto il 22 novembre. Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba uscì definitivamente nelle sale americane il 30 gennaio del 1964 (in Italia il 17 aprile).

28. Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964)

Convinto dell’esistenza di un complotto comunista per conquistare il mondo libero, il generale Jack D. Ripper (Sterling Hayden), comandante della base militare di Burpelson, ordina un attacco di bombardieri atomici B52 contro l’Unione Sovietica. È il solo a conoscere il codice segreto di disinnesco e taglia tutte le comunicazioni con la sua base. Quando viene a sapere la notizia il Presidente USA Merkin Muffley (Peter Sellers) cerca di rimediare convocando l’ambasciatore sovietico Alexei De Sadesky (Peter Bull) nella sala della guerra del Pentagono e, contro il parere del suo Capo di Stato maggiore il generale “Buck” Turgidson (George C. Scott) che preconizza una guerra atomica limitata, ordina al colonnello “Bat” Guano (Keenan Wynn) di attaccare la base di Burpelson. Ripper piuttosto che divenire prigioniero si suicida, ma il colonnello Lionel Mandrake (Peter Sellers) trova il codice segreto che può richiamare i bombardieri. Il pilota T.J. “King” Kong (Slim Pickens), tuttavia, non obbedisce all’ordine e continua la missione. Nella sala della guerra, intanto, il Presidente Muffley viene informato via telefono dal Presidente russo Dimitri Kissov (da antologia la telefonata tra i due presidenti) che anche un solo attacco sul suolo sovietico scatenerebbe “l’ordigno fine del mondo”. Sempre più preoccupato il presidente statunitense si rivolge al suo tetro consigliere il dottor Strangelove (Stranamore in italiano, sempre interpretato da Peter Sellers), un ex nazista ora al servizio degli Stati Uniti (“Un tedesco è sempre un tedesco” sentenzia Turgidson), che prevede che l’umanità possa sopravvivere solo se alcune persone ben selezionate resteranno cento anni dentro dei rifugia antiatomici. Ma è troppo tardi. Kong riesce a sganciare la bomba, che cavalca nella sua discesa a terra. Comincia la fine del mondo. Nella sala della guerra Strangelove riesce ad alzarsi in piedi esclamando “Mein Führer! I can walk!” (Mein Führer! Io cammino!) mentre le esplosioni atomiche avvolgono morbidamente lo schermo accompagnate dalle note di “Will meet again” di Vera Lynn.

29. Peter Selles nei panni del Presidente USA

Un lucido atto d’accusa contro la follia atomica e il militarismo portato avanti con sarcasmo e ironia che irritò il governo statunitense. “La catastrofe che incombe sull’umanità è vissuta come un lungo, insistito rapporto erotico […] senza che lo sberleffo nasconda l’attacco ai miti cardini del potere, quali la scienza, l’efficientismo, la sacralità della proprietà privata, la logica distruttiva del sistema” (Mereghetti).

Kubrick girò un altro finale del film. Memore della “gag delle pizze” pensata ad inizio lavorazione, filmò generali, presidente e ambasciatore che si prendono a torte in faccia nella War Room, come in una comica degna si Mack Sennett. Ma la tagliò preferendogli l’esclamazione di Stranamore. Uno dei più grandi finali nella storia del cinema. Indimenticabile come le note di “Will meet again” portata al successo da Vera Lynn (Londra, 20 marzo 1917). Tra le più famose canzoni negli anni della Seconda guerra mondiale non era una canzone pacifista, ma un messaggio di speranza rivolto ai soldati che andavano a combattere lasciando amori e famiglie. Un messaggio di speranza, “Non so dove, non so quando, ma ci incontreremo di nuovo in un giorno di sole”, che ben si addiceva all’olocausto nucleare.

Il dottor Stranamore venne nominato a quattro Oscar, film, regia, attore protagonista (Sellers) e sceneggiatura non originale (Kubrick, George e Southern), ma non se aggiudicò nemmeno uno. L’ambita statuetta venne vinta, anni dopo, da George C. Scott per l’interpretazione di Patton nell’omonimo film diretto da Franklin J. Schaffner. Un premio che l’attore non ritirò poiché considerava l’Academy Award, un'”inutile esposizione di carne umana fine a se stessa”. Un Oscar lo vinse anche un altro attore del film. Nel 2012, infatti, “Per la sua eredità di coerenti eccellenze e una versatilità non comune” ricevette il premio onorario James Earl Jones, che debuttò in Stranamore, e divenne, dopo decine di film, la voce di Darth Vader (Dart Fener) nella serie Star Wars.

30. James Earl Jones, futura voce di Darth Vader in Star Wars

Nel febbraio del 1964 Kubrick si trovava a New York per i primi passaggi statunitensi de Il dottor Stranamore. Un giorno era a pranzo presso il ristorante Trader Vic’s all’Hotel Plaza insieme a Roger Caras, uomo della Columbia impegnato nella pubblicizzazione del film. Caras chiese al regista se aveva progetti futuri e Kubrick rispose “l’ipotesi degli extraterrestri mi affascina”.

In realtà la fantascienza affascinava il cineasta dagli anni cinquanta, così come stava affascinando il cinema. Nel 1956 uscì Forbidden Planet (Il pianeta proibito) diretto da Fred M. Wilcox, già autore di Lassie Come Home (Torna a casa Lassie!, 1943), che fu il primo film di fantascienza moderno prodotto da una “major”, la MGM. Due anni prima in Giappone era nato il mito di Godzilla diretto da Ishiro Honda e nella terra del sol levante si era sviluppata un autentico filone di pellicole, tutte a colori, tutte in Cinemascope, di avventure tra spazio, mostri e alieni. Nel 1956, negli Stati Uniti, uscì Satellite in the Sky (La terra esplode) di Paul Dickson in cui una bomba sperimentale viene applicata ad una nave spaziale. L’anno successivo la BBC trasmise Quantermass and the Pit una sei di sei film ideati da Nigel Kneale.

Ma Kubrick per il suo film, si ispirò anche ad un western, genere che non aveva mai amato, per la precisione a How the West Was Won (La conquista del West, 1962). La pellicola, prodotta dalla MGM, raccontava in quattro episodi diretti da quattro diversi registi (tra cui il grande John Ford), la storia dell’espansione americana verso l’ovest. A a Kubrick non interessava la trama, ma come era stato realizzato ovvero in Cinerama, il più grande formato cinematografico allora conosciuto, con tre telecamere affiancate una all’altra e proiettato da tre proiettori. Ormai le sale volevano quel genere di film e grazie a questa “voglia”, Kubrick strappò un accordo alla MGM. Le prime notizie trapelate alla stampa assicuravano, infatti, che il nuovo film di Kubrick, che aveva come titolo provvisorio How the Solar System was Won (La conquista del sistema solare), ovviamente una citazione del film western, sarebbe stato girato in Cinerama.

Corso cinema

31. Arthur C. Clarke e Stanley Kubrick

Kubrick metodico e maniacale come sempre aveva già deciso di fare il film e si era impegnato a leggere almeno un libro dei migliori scrittori del settore. Ma nel già citato pranzo, Caras gli suggerì di non leggere tutto, ma di concentrarsi solo sul migliore, che secondo l’uomo della Columbia era Arthur C. Clarke. Lo scrittore ormai viveva da anni a Ceylon nello Sri Lanka insieme al compagno Mike Wilson. Dopo pranzo Caras inviò un cablogramma a Clarke: “Stanley Kubrick Dottor Stranamore Orizzonti di gloria ecc interessato a fare film su extraterrestri stop interessato a te stop sei interessato punto interrogativo pensava tu fossi un eremita stop”. Clarke, che non aveva visto Stranamore, ma era rimasto impressionato da Lolita, rispose positivamente. Era tra l’altro previsto un suo viaggio a New York. Se Caras avesse suggerito Asimov o Bradbury chissà che film avremmo visto.

Il 23 febbraio del 1965 una nuova indiscrezione sui giornali annunciava che Kubrick e MGM aveva raggiunto un accordo per girare Journey Beyond Stars (Viaggio oltre le stelle) e citava “un romanzo di Arthur C. Clarke” non ancora pubblicato. Il trafiletto sottolineava, inoltre, che “Journey si svolgerà nell’anno 2001 e sarà la storia del sistema solare e della scoperta di un’intelligenza extraterrestre”. Nei tre anni che seguirono Kubrick fece di tutto per nascondere i suoi intenti e per trasformare quel viaggio in un’odissea. Nell’aprile del 1965 assunse così definitivamente il nome di 2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio).

Kubrick opzionò per 10000 dollari sei racconti di Clarke e inizialmente pensò di trarre ispirazione da “Childhood’s End” (“Le guide del tramonto” o “Angelo custode”) un romanzo di Clarke edito nel 1953, ma fu lo stesso scrittore a suggerirgli piccolo racconto di poche pagine intitolato “The Sentinel”, un opuscolo scritto per la BBC nel 1948 e rimasto in un cassetto per diciassette anni. “The Sentinel” (“La sentinella”) era ambientato nel 1996 e descriveva una spedizione sulla Luna che trova, nel Mare Crisium (noto anche come Mare delle Crisi), una pietra a forma di piramide innaturalmente levigata e luccicante. In quelle poche pagine, 8 per la precisione, Clarke spiegò che la piramide era una sorta di “messaggio” lasciato sul suolo lunare da una civiltà extraterrestre e super progredita che viene distrutta dagli insipienti umani. Insomma la storia di un “segnale” (gli altri racconti opzionati da Kubrick erano: “Breaking Strain”, “Out of the Cradle”, “Endlessly Orbiting…” e “Who’s There?, Into che Comet e Before Eden”). Kubrick e Clarke si misero al lavoro e svilupparono contemporaneamente sia la sceneggiatura del film, sia un nuovo romanzo che, negli anni successivi, fece la fortuna dello scrittore.

Interessato alla tecnologia, che in quegli anni progrediva a ritmi vertiginosi (tecnologia computerizzata, design delle tute spaziali, missilistica e criogenia), il regista passò il resto del 1965 a raccogliere e ordinare materiali. Non solo. Quando il 14 giugno del 1965 la sonda Mariner IV inviò sulla terra le immagini per l’epoca straordinarie di Marte, Kubrick chiese ai Lloyds di Londra di assicurare il film contro l’eventualità che, prima dell’uscita, i marziani fossero stati davvero scoperti. Genialmente paranoico.

32. Keir Dullea nel film David e Lisa

L’idea originaria di Kubrick e Clarke era quella di aprire il film con un prologo di 10 minuti (girato in bianco e nero, e in 35 millimetri) durante il quale alcuni scienziati venivano intervistati sulla possibilità che esistesse la vita su altri pianeti. Nei tre anni di lavorazione il regista giunse tuttavia alla conclusione di non spiegare nulla e di lasciare allo spettatore le conclusioni.

Data la “fragilità” della storia del film, non erano previsti personaggi forti o interpretazioni memorabili, molti attori rifiutarono la parte perché per loro non c’era nulla da fare. Ad accettare furono Keir Dullea (Cleveland, 30 maggio 1936), divenuto famoso interpretanti il ruolo di un ragazzo problematico paziente in una struttura psichiatrica, ne film David and Lisa (David e Lisa, 1962) diretto da Frank Perry; Gary Lockwood, nome d’arte di John Gary Yurosek (Los Angeles, 21 febbraio 1937), che aveva iniziato la sua carriera come controfigura di Anthony Perkins, per poi interpretare ruoli secondari in diversi film. Kubrick selezionò il resto del cast a Londra, inclusi Robert Beatty (Hamilton, 19 ottobre 1909 – Londra, 3 marzo 1992), Ed Bishop (New York, 11 giugno 1932 – Londra, 8 giugno 2005) e William Sylvester (Oakland, 31 gennaio 1922 – Sacramento, 25 gennaio 1995).

Ma il personaggio più “umano” che affiorava dalla sceneggiatura era quello di una “macchina”, il computer di bordo HAL 9000, che inizialmente doveva chiamarsi Athena, la dea della saggezza. Clarke e Kubrick scelsero, tuttavia, di rinominarlo utilizzando le iniziali che compongono i due metodi di conoscenza e comunicazione: Heuristic (euristico) e ALgotithmic (algoritmico). Ma il nome HAL fu anche “omaggio”, non sappiamo quanto voluto, all’IBM, in quanto le lettere dell’alfabeto che seguono quelle che compongono il nome del computer sono appunto la I, la B e la M.

33. HAL 9000

La ricerca della voce di HAL fu più complessa rispetto alla scelta degli attori. Il primo ad esser contattato fu l’inglese Nigel Davenport, quindi venne “provata” la voce di Martin Balsam, fresco di Oscar per l’interpretazione in Thousand Clowns (L’incredibile Murray: l’uomo che disse no) ed infine scelta quella definitiva di Douglas Rain (Winnipeg, 13 marzo 1928 – St. Marys, 11 novembre 2018). Nella versione italiana, la voce di HAL 9000 fu, invece, quella fredda e asettica del palermitano Gianfranco Bellini (Palermo, 10 luglio 1924 – Roma, 9 agosto 2006).

Le riprese iniziarono il 29 dicembre del 1965 e, salvo la prima scena, tutto venne girato in studio tra modellini e le scenografie realizzate da Ernie Archer, Harry Lange e Tony Master. Il set venne allestito a Borehamwood, cittadina del Regno Unito. L’ambientazione più suggestiva del film, nonché una delle più ammirate nella storia del cinema, era quella specie di tamburo che rappresentava gli alloggi dell’equipaggio, con un interno di 12 metri e due metri di ampiezza.

Unici gli effetti speciali, ovviamente non digitali, curati da Douglas Trumbull (Los Angeles, 8 aprile 1942) che in seguito realizzò anche quelli di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), Star Trek (1979) e Blade Runner (1982).

34. la danza delle astronavi

Nel maggio del 1966, Kubrick aveva concluso la maggior parte delle scene con gli attori e iniziò il lungo e meticoloso lavoro di post produzione. Un ruolo centrale lo ricoprì la musica. Una colonna sonora venne commissionata ad Alex North, già autore delle musiche di Spartacus, ma fu presto scartata deludendo il compositore. In una prima proiezione privata, Kubrick utilizzò le musiche di Mendelssohn e Vaughan Williams, ma poi la scelta si indirizzò, pare su parere della moglie Christiane, su altri brani della musica classica e in particolare su una nuova registrazione del valzer di “Sul bel Danubio blu” di Richard Strauss figlio e su “Così parlò Zarathustra” di Richard Strauss padre, in quegli anni utilizzata dalla BBC per una serie sulla prima guerra mondiale. Kubrick scelse inoltre alcuni brani del contemporaneo György Ligeti (“Atmospheres”, “Lux Aeterna”, “Adventures” e “Kyrie dal Requiem”) e il “Gayane” di Aram Kachaturian che accompagnò il lungo viaggio tra le stelle.

Il 3 aprile del 1968 si tenne, in un’unica sala, il Loew’s Capitol di Manatthan, la prima di 2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio), che due giorni più tardi venne proiettato anche a Los Angeles (in Italia il film uscì il 12 dicembre). Il resto è storia e non solo del cinema.

35. 2001: Odissea nello spazio (1968)

Nel prologo, intitolato “L’alba dell’uomo”, un ominide chiamato Moonwatcher (Daniel Richter, poi fotografo ufficiale di John Lennon e Yoko Ono), forse influenzato da un misterioso monolite, scopre che un osso può essere usato come arma di offesa per sottomettere i più deboli. L’osso lanciato in aria dalla scimmia, si trasforma in astronave e segna il passaggio da un passato lontanissimo ad un futuro in cui le astronavi danzano nel cosmo al ritmo de “Sul bel Danubio blu”. La storia dell’uomo sintetizzata in un gesto di morte. Quattro milioni di anni dopo, nel 2001, il dottor Heywood R. Floyd (William Sylvester) raggiunge la Luna per capire cosa si nasconda dietro un immenso monolite nero, scoperto vicino alla base di Clavius. Diciotto mesi dopo, un’astronave, guidata dal sofisticato computer HAL 9000, parte alla volta di Giove con a bordo due astronauti, David Bowman (Keir Dullea) e Frank Poole (Gary Lockwood) e tre scienziati ibernati. Ma durante il viaggio il computer si ribella agli ordini e causa la morte dei tre scienziati e di Pole. Bowman, in una sequenza memorabile, riesce a disattivarlo, ma è risucchiato in un’altra dimensione spaziotemporale che lo farà arrivare in una stanza settecentesca dove, invecchiatissimo, rivede il monolite nero e rinasce sotto forma di un feto che “galleggia” sopra la Terra.

L’opera più ambiziosa di Kubrick, la prima pellicola dai tempi di Intolerance (1916) di David W. Griffith ad essere sia una superproduzione sia un film sperimentale. “Il centro […] è il legame che unisce l’Uomo e il Tempo allo Spazio e i suoi rapporti con la tecnologia e l’utilizzo della scienza” (Mereghetti). Una straordinaria esperienza visiva che penetra con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio piuttosto che nell’intelletto. Straordinaria ancor più se si considera che 2001 uscì un anno prima dello sbarco dell’uomo sulla Luna.

36. La storia dell’uomo sintetizzata in un gesto di morte

La critica e il pubblico si divisero. Il “Los Angeles Times” definì il finale “deliberatamente oscurantista”, il “New York Times” sentenziò che 2001: Odissea nello spazio era “una via di mezzo tra l’ipnotico e il noioso”, ma la pellicola, montata dal regista insieme a Ray Lovejoy, fece centro. Nonostante il tono contenuto della pubblicità stabilì il record di incassi per il Capitol di Manatthan e venne riscoperto . Andrew Sarris del “Village Voice” affermò che voleva rivedere il film dopo aver fumato dell'”ottima erba”. Divenne di moda andare a vedere 2001 “cannati”. Perfino lo scrittore Michael Herr, che in futuro collaborò sia con Coppola sia con Kubrick, ricordò di aver visto il film avvolto da un odore pungente di “spinelli”, parte del quale era il suo. Lo stesso regista affermò di aver pensato al “viaggio” di Bowman dopo aver fatto uso di LSD. Così, in pieno ’68, il film divenne un simbolo di lotta e divenne il più visto della stagione nel nord America.

Costato circa 12 milioni di dollari, 2001: Odissea nello spazio incassò nel primo anno di uscita 25 milioni negli USA e 40 nel resto del mondo, raggiungendo negli anni successivi la considerevole cifra di 56 milioni negli Stati Uniti e 190 milioni negli altri Paesi. Dato che fa del film di Kubrick il terzo successo di sempre della MGM dopo Via col vento e il Dottor Zivago.

37. Kubrick, con 2001, reinventò un genere

Ma nonostante il progressivo interesse di pubblico e critica, 2001: A Space Odyssey venne, di fatto, ignorato dall’Academy. Ottenne, infatti, solo quattro candidature all’Oscar, regia, sceneggiatura originale, scenografia ed affetti speciali, ma si aggiudicò solo quest’ultima. Hollywood e innovazione non potevano, e non possono, essere nella stessa frase.

Il film, tornato nelle sale nel 2018 in occasione del cinquantennale, segnò una “frattura” nel cinema di Stanley Kubrick. L’autore, fino ad allora, aveva trattato, seppur con grande originalità e raffinata intelligenza, dei generi cinematografici codificati o una fusione tra essi: Paura e desiderio e Orizzonti di gloria erano film di guerra con una forte psicologia, Il bacio dell’assassino e Rapina a mano armata rientravano nel genere noir, Spartacus era un kolossal storico virato a sinistra, Lolita e Il dottor Stranamore film drammatici, attraversati da un sottile humour nero. Con 2001: Odissea nello spazio il regista reinventò un genere cinematografico. Fu solo la prima volta.

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LA TERZA PARTE

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Stanley Kubrick. La biografia” di John Baxter – Lindau
“Tutti i film di Stanley Kubrick” di Paul Duncan – Lindau
“Kubrick” di Michel Ciment – Rizzoli
“Invito al cinema di Kubrick” di Ruggero Eugeni – Mursia
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

Immagini tratte da: immagine in evidenza da it.wikimedia.org e Screenshot del film Orizzonti di gloria, foto 1, 3, 4 da pinterest.com, foto 2 da ru.wikimedia.org, foto 5 da it.wikimedia.org, foto 6, 7 Screenshot del film Day of th Fight, foto 8 Screenshot del film Fliyng Padre,

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