Revisionismo e uso politico della storia

La Camera dei Deputati ha approvato la legge che condanna il “negazionismo”: un provvedimento atteso e che dovrà essere applicato. Non si risolve, però, per via legislativa il tema...

La Camera dei Deputati ha approvato la legge che condanna il “negazionismo”: un provvedimento atteso e che dovrà essere applicato.

Non si risolve, però, per via legislativa il tema che pone Alberto Melloni oggi scrivendo sulle pagine culturali di Repubblica un testo cui è stato assegnato il titolo: “La memoria e la storia di fronte al male”.

Un titolo fortemente esemplificativo del dilemma che, provvedimento legislativo o non provvedimento legislativo, rimane comunque davanti al nostro modo d’essere nella modernità.

Scrive a un certo punto Alberto Melloni: “ Quel tipo di conoscenza del passato moderno che noi chiamiamo “storia” è figlia di una tradizione millenaria di esplorazione del passato, ma non meno della secolarizzazione della “teodicea”. Dalla metà del secolo XVIII anziché chiedere conto a Dio del mondo in un processo a cui Leibniz diede quel nome (teodicea), abbiamo imparato a chiedercene conto, in un processo fra noi umani di cui la “storia” è parte”.

In altri tempi si sarebbe detto che sottoporre a revisione la storia rappresenta il compito stesso degli studiosi, essendo la storiografia nient’altro che una costante riscrittura della storia.

Perchè, dunque sarebbe necessario schierarsi contro il “revisionismo”fino al punto da promuovere una legge che accerti quando e come il revisionismo sconfina nel negazionismo?

Tutto è legato alla storia europea degli anni centrali ‘900 e alla tragedia della seconda guerra mondiale. Perchè sotto il termine “revisionismo” si è delineato, nel corso degli ultimi decenni in Italia e nel mondo, un “uso politico della storia” che ha poco aveva che fare con la ricerca storiografica.

Un “uso politico” dalle molteplici diramazioni, ma che, soprattutto nella distorta ricostruzione della nostra storia nazionale, presenta alcune opinioni ossessivamente ripetute.

Per restare al “caso italiano” l’idea che il Risorgimento sia stato una guerra di annessione e non un movimento di rinascita per l’unità  nazionale; la concezione del fascismo come tentativo autoritario bonario, distinto dal totalitarismo nazista e volto all’edificazione di una patria che non sarebbe esistita prima; l’ipotesi della morte definitiva della patria sancita dall’8 Settembre e la conseguente rivalutazione dei combattenti di Salò come autentici patrioti. Tesi politiche avanzate, al di là del rigore dell’autentica indagine storica nel tentativo di raffigurare gli avversari come i difensori di una “vulgata resistenziale”, di “verità di regime”.

Il rischio quello di distruggere i fondamenti stessi della nostra storia repubblicana e qui è intervenuta la legge.

Ma il terreno è molto vasto e comprende lo studio dell’origine delle grandi tragedie ben oltre anche lo stesso Olocausto, se pensiamo al rumore fatto in questi giorni dalla discussione sviluppatasi in Germania sul genocidio armeno.

Tanti sarebbero gli esempi da fare, in questo senso, guardando i cinque continenti: si pensi se fosse possibile compilare una storia organica dei genocidi africani oppure ricordare come la lezione del secondo conflitto mondiale si è dimostrata inutile in tutto il perverso svilupparsi dei conflitti balcanici degli anni’90.

L’anti – umanità che non si supererà mai pensando che il diritto possa esaustivamente provvedere a bandire i vari Nolte e compari.

La tecnicalità giuridica e importante e va riconosciuta come tale: fattore fondamentale d’equilibrio nella convivenza civile.

Addirittura però abbiamo visto che non è stata sufficiente Norimberga per restituire la memoria dei fatti alla Storia con la S maiuscola e che anche Abu Ghraib e Guantanamo posso rivelarsi i luoghi di un orrore alla rovescia, per la logica del giusto e dello sbagliato di stampo occidentale.

Non deve essere allora abbandonata la strada faticosa, complessa, imperfetta del riconoscimento di valori posti oltre all’idea dello sfruttamento di tutte le risorse, compresa quella della vita umana, per soddisfare la logica del dominio, della sopraffazione dal singolo all’intero popolo.

La legge non risolve mai l’interrogativo di fondo, quello della giustificazione del male rispetto alla natura umana.

La legge non risolve mai il tema dell’elaborazione di una teodicea dei tempi della memoria infinita, delle immagini continue che i mezzi di comunicazione di massa, internet, le librerie elettroniche ricolme di infiniti scaffali a ogni momento di propongono.

Neppure serve, senza esagerare in pessimismo, il tribunale dell’Aja.

Non si risolvono con le condanne dei singoli (inclusi i più efferati autori di delitti) i dilemmi di fondo che impediscono di saldare la coscienza individuale con quella collettiva e chiudono la porta al pronunciamento di un giudizio storico che eternamente per l’incalzare della costruzione di una “memoria virtuale” può essere messo in discussione.

Il serpe continua a strisciare tra noi, in questa modernità fatta di apparenza in un gioco di ombre cinesi che sembra proiettare sul muro del mondo soltanto l’immaginario del “nostro” giusto e del “loro” sbagliato

In realtà il mondo digitale, nel quale la ricerca non è riservata soltanto a chi sa muoversi negli archivi polverosi e ci propone ogni giorno una sfaccettatura diversa di verità parziali, chiede una nuova razionalità che ancora non abbiamo trovato rifiutando di affidarci semplicemente alla constatazione della “banalità del male” nell’eterna rincorsa tra richiamo della coscienza e ricerca della verità.

FRANCO ASTENGO

redazionale

 

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