Luis Ospina e Carlos Mayolo. La rivoluzione cinematografica in Colombia

L'ironia feroce nei film di denuncia del Grupo de Cali
Luis Ospina e Carlos Mayolo
Luis Ospina e Carlos Mayolo

Dal 30 luglio al 13 agosto del 1971 si tennero a Cali, uno dei più grandi centri della Colombia, i VI Giochi panamericani. La stella fu il giamaicano Don Quarrie, ma a lasciare il segno fu soprattutto la distanza tra quell’evento, che ridisegnò la città, e la popolazione, sempre più povera, che a quell’evento non poteva nemmeno partecipare. In quel clima un gruppo di artisti, fotografi, musicisti si unì per rivoluzionare l’arte in Colombia. Nacque il Grupo de Cali guidato dallo scrittore Andrés Caicedo e dai registi Luis Ospina e Carlos Mayolo.

1. Luis Ospina e Carlos Mayolo

Luis Alfonso Ospina Garcés nacque a Cali il 14 giugno del 1949. Il padre, che vendeva piscine, era un cineamatore, una rarità nella Colombia dell’epoca, e possedeva una ricca collezione di film, prevalentemente hollywoodiani. I preferiti del piccolo Luis erano i peplum e i western. Attore preferito Kirk Douglas. Animato dalla voglia di fare cinema Ospina nel 1966 andò a studiare negli Stati Uniti, prima a Boston, poi, pur dichiarando al padre che avrebbe fatto architettura, all’University of Southern California (USC) ed infine, dopo una manifestazione contro l’allora governatore e futuro presidente USA Ronald Regan, all’UCLA. Tra gli allievi in quegli anni George Lucas e John Milius, ma Ospina pensava ad un cinema diverso, lontano da quegli stili.

Così, dopo essersi diplomato nel 1968 ed aver realizzato un primo lungometraggio Acto de fe, tratto da Sartre (opera supervisionata da Penelope Spheeris, poi regista di Wayne’s World, Fuori di testa), Luis Ospina tornò a Cali nel 1971. Voleva che si sviluppasse il cinema colombiano.

La settima arte era arrivata in Colombia nel 1905 grazie a Félix Mesguich, emissario dei Lumière, per poi svilupparsi tra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso, da segnalare El drama del 15 de octubre (1915), il primo lungometraggio del Paese, diretto da Francesco e Donato Di Domenico, autori di chiare origini italiane come spesso accadde agli albori del cinema sudamericano. Negli anni Sessanta da ricordare alcuni drammi sociali realizzati da José María Arzuaga, spagnolo emigrato a Bogotà, Raíces de piedra (1961) e Pasado el meridiano (1967) e da Carlos Álvarez Asalto (1968) e ¿Qué es la democracia? (1971).

A Cali, città che ebbe un ruolo centrale nel cinema colombiano, Ospina ritrovò il suo vecchio vicino di casa Carlos Mayolo, nato nella stessa città il 10 settembre 1945, che aveva studiato a Bogotà e a Cali, e si era avvicinato al Partido Comunista Colombiano diventandone un militante. Da quel partito nel 1964 erano nate le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, note al mondo come FARC, ma a Majolo e Ospina interessava di più rivoluzionare il cinema.

2. il Grupo de Cali

Iniziarono così a frequentare il Cineclub diretto da Andrès Caicedo (Cali, 29 settembre 1951), tutt’ora tra i più amati scrittori colombiani, fondarono la rivista cinematografica “Ojo al cine” per valorizzare la storia del cinema colombiano che proprio a Cali aveva solide radici, e diedero vita alla comunità artistica Ciudad Solar, dove vivevano dividendo le proprie vite quasi tutti i membri di un collettivo artistico sempre più numeroso, animato anche da Sandro Romero Rey, Ramiro Arbeláez, Hernando Guerrero. Arte, dolore, libertà, senso del collettivo, amore libero e una promessa: non sposarsi mai e non avere figli, per continuare ad essere liberi e non ricattabili. Era il Grupo de Cali.

Il Grupo dal punto di vista artistico voleva mostrare la realtà, non quella patinata dei film hollywoodiani o delle telenovela, ma quella cruda della Colombia negli anni ’70. Così nelle settimane dei giochi panamericani Ospina e Mayolo pensarono di raccontare la distanza tra l’evento sportivo e i poveri della città, tra il dispiegamento di forze per difendere la kermesse e i bambini che giocano in mezzo a scritte che inneggiano al Partido Comunista Colombiano. Nacque Oiga, vea! (1972), traducibile con Ehi, vedi!, un invito a guardare la realtà.

3. Oiga, vea! (1971)

Una critica al sistema che i due giovani registi continuarono, tra gli altri, anche nei successivi El bombardeo de Washington (1972) realizzato da Ospina con immagini di repertorio che mette in scena un finto attacco alla capitale USA e Chile no se rinde carajo! (1975) opera di Mayolo sulla dittatura di Pinochet. Poi di nuovo insieme per Cali: da un film (1973) e Asunción (1975), ma l’apice artistico i due lo raggiunsero nel 1978 con quello che può essere considerato il primo mockumentary della storia: Agarrando pueblo noto anche come Los Vampiros de la Miseria.

Per girare un film sulla miseria latinoamericana, intitolato El futuro para quien?, un gruppo di cineasti (guidati da Mayolo nei panni del regista) non si fa scrupoli pur di mettere in scena la povertà, esasperandone gli aspetti più tristi e umilianti (il questuante invitato a muovere di più la “ciotola”, i bambini pagati per buttarsi nella fontana e per litigare), fino a quando un uomo interrompe le riprese di una finta famiglia povera di fronte alla sua baracca. Con i soldi dategli dai registi si pulisce il deretano, ma alla fine si fa intervistare.

4. Agarrando pueblo (1978)

Un “film anarchico”, come lo definì lo stesso Ospina, che affrontò la povertà con toni sarcastici e grotteschi, ma Ospina e Mayolo si scagliarono soprattutto contro quella che definivano “porno miseria”, la spettacolarizzazione della povertà (quanta ne vediamo anche oggi?), in ogni ambito politico, sociale, culturale. Per questo il film, un piccolo capolavoro in cui si alternano il bianco e nero per il “falso documentario” e il colore per il “vero documentario”, venne attaccato dalla sinistra latinoamericana dell’epoca.

Agarrando pueblo vinse premi nei festival di Bogotà, Lille, Bilbao, Oberhausen. In Colombia non si era mai visto nulla di simile prima e non si vide più dopo, ma pur rimanendo amici le strade di Ospina e Mayolo tornarono a separarsi anche perché, mantenendo fede alla sua riflessione secondo cui “vivere più di 25 anni è una pazzia”, Andrés Caicedo si era tolto la vita il 4 marzo del 1977 ingerendo un grosso quantitativo di barbiturici.

E poi c’era la guerra della droga che in quegli anni attraversò e scosse la Colombia. Il “cartello di Cali” guidato dai fratelli Rodríguez contro il “cartello di Medellin” capeggiato da Pablo Escobar. Una guerra senza confini (ne pagò le conseguenze anche il calciatore Andrés Escobar, ucciso dopo aver fatto un autogol ai Mondiali del 1994), con i silenzi dei governi, il narcotraffico, gli interessi USA e la lotta delle FARC.

5. Carlos Mayolo

Mayolo continuò a fare cinema e opere sperimentali per la televisione che, in un Paese che vedeva solo telenovela, non era affatto semplice e scontato. Tra i titoli, da ricordare, Carne de tu carne (1983) e La mansión de Araucaima (1986) che lanciarono il genere “gotico tropicale”. Recitò anche diretto da Werner Herzog nel film Cobra Verde al fianco di Klaus Kinski. Mayolo, che ebbe una vita di eccessi e problemi di dipendenza dalla cocaina, si spense a Bogotà il 3 febbraio 2007.

Più prolifico Ospina che realizzò, tra gli altri, Pura Sagre (1982), suo primo film di finzione, un horror con elementi di critica alla società colombiana; Andrés Caicedo: unos pocos buenos amigos (1986) dedicato all’amico scrittore morto suicida, Adiós a Cali (1990) sull’impatto del narcotraffico nella sua città; Arte-sano cuadra a cuadra (1988), Cámara ardiente (1991).

6. Luis Ospina

In anni più recenti filmò Un tigre de papel (2007) nuovo “finto documentario” sulla storia di un artista e, soprattutto, Todo comenzó por el fin (2017), iniziato quando al regista venne diagnosticato un tumore gastrointestinale. Ospina, partendo appunto dalla fine, raccontò in oltre tre ore e mezza di film, la storia folle, magnifica, visionaria, rivoluzionaria del Grupo de Cali. Il cineasta colombiano si spense a Bogotà il 27 settembre del 2019.

Luis Ospina e Carlos Mayolo con le loro opere sono da inserire a pieno titolo nel cosiddetto “Terzo cinema”, ma con una differenza rispetto a Solanas, Gleyzer, Sanjines, e in misura minore a Rocha e Jodorowsky, l’uso del grottesco e l’ironia. Come titolò “Il Manifesto”, pressoché unico giornale italiano a parlare dei due cineasti colombiani, Ospina e Myolo portarono sullo schermo la magnifica allegria della rivoluzione.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia

“Il Manifesto”. “La magnifica allegria della rivoluzione” di Matteo Boscarol
“Il Manifesto”. “Luis Ospina, quando due amici hanno rivoluzionato il cinema in Colombia” di Silvia Nugara
“Towards a Third Cinema” di Charu Nivedita – Zero Degree Publishing
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET

Immagini tratte da: immagine in evidenza  foto 1, 4 da it.wikipedia.com; foto 2, 7 Screenshot del film riportato in didascalia; foto 3 da piterest.com, foto 5 da de.wikipedia.com; foto 6, 8 da joodsmonument.nl.
Le immagini sono di proprietà dei legittimi proprietari e sono riportate in questo articolo solo a titolo illustrativo.

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