L’opera si gusta a tavola

57/ma Biennale d'arte di Venezia. Un'intervista con la curatrice della mostra internazionale in Laguna Christine Macel. «C'è bisogno di un nuovo umanesimo per combattere crisi e conflitti, ma anche di mangiare in compagnia degli artisti!»

L’arte nel suo farsi, che svela i meccanismi della sua stessa produzione. A viso aperto, senza infingimenti,  mettendo in piazza  dubbi, vizi e virtù (e lasciando in dote ai posteri archivi, libri, storie e drammaturgie, come ha voluto sottolineare il presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, spingendo su «quel che resta» della mostra). Infine, la possibilità che l’esperienza estetica riporti in vita un senso di comunità andato smarrito: è un po’ questo il senso della rassegna curata dalla parigina Christine Macel (1969), già in Laguna con il padiglione francese di Anri Sala nel 2013 e prima ancora, nel 2007 con quello belga (Eric Duyckaerts). Attivissima in patria al Pompidou con le sue «prospettive contemporanee», Macel da qualche tempo si è spostata a Venezia per allestire la sua Viva Arte Viva, che aprirà i battenti per il pubblico dal 13 maggio (per chiudere il 26 novembre).

Dopo le ultime Biennali – il percorso esoterico di Gioni e quello politicissimo di Enwezor – lei si appella a un nuovo Umanesimo. Cosa intende con questa parola, in un’epoca in cui si vive sui social network e la condivisione avviene soprattutto online?
Non ho annunciato l’avvento di un nuovo Umanesimo, ma ho posto un interrogativo riguardo al suo essere a rischio di sparizione. Ho sostenuto la necessità di ripensare un modello di nuovo umanesimo, in un mondo in crisi e pieno di conflitti. Ho sentito alzarsi molte voci contro l’Esprit des lumières, critiche sempre troppo semplicistiche. Credo, al contrario che, anche se abbiamo assistito alla fine di alcune ideologie e alla «perdita della sfera pubblica», come diceva Hannah Arendt, abbiamo il dovere – in particolare attraverso l’arte – di reinventare il mondo. Se l’intelligenza spinge verso il pessimismo, io tenderei invece a scegliere «l’ottimismo della volontà». Antonio Gramsci, in carcere a Roma, aveva annotato nei suoi quaderni questa frase dello scrittore francese Romain Rolland: oggi è diventata il mio motto. L’Umanesimo pone fiducia in ciò che è umano, nel sapere, nella cultura, e avere speranza è già – come affermava il critico d’arte John Berger – una forma di energia. Non è un caso che proprio l’arte abbia avuto un ruolo fondamentale nella storia dell’Umanesimo. Resta protagonista in questa «difesa», nel movimento di reinvenzione che s’inoltra verso la trasformazione. Ernesto Neto, che ha realizzato un’opera con gli indiani dell’Amazzonia Huni Kuin, è convinto che non sia più tempo di fare rivoluzioni, ma di favorire le trasformazioni…

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ARIANNA DI GENOVA

da il manifesto.it

foto: screenshot dal video “Viva arte viva”

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Arte e mostre

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