La “legalità democratica” e il braccio di ferro tra Madrid e Barcellona

E’ curiosa la nota giornalistica secondo la quale l’Unione europea non dovrebbe intervenire nemmeno nel dibattito che riguarda lo scontro tra Spagna e Catalogna. Si dice, per l’appunto, che...
Barcellona

E’ curiosa la nota giornalistica secondo la quale l’Unione europea non dovrebbe intervenire nemmeno nel dibattito che riguarda lo scontro tra Spagna e Catalogna.
Si dice, per l’appunto, che la UE non è mai entrata a gamba tesa o anche molto più semplicemente flessa nelle questioni interne ai singoli Stati.
Si dice, altresì, che, proprio siccome viene spesso accusata di intervenire troppo nelle vicende economiche dei suoi membri, è bene che questa volta resti in disparte.
Intanto il Parlamento di Strasburgo ha elaborato un ordine del giorno, approvandolo a larga maggioranza, in cui si deplora l’uso della forza da parte di Madrid ma in cui anche si afferma una netta condanna per il processo indipendentista catalano. Tutto, dunque, dovrebbe rientrare nella cosiddetta “legalità democratica”.
Stamane una giornalista televisiva ha obiettato: “Su questo terreno, allora nemmeno i fatti risorgimentali che hanno condotto al disfacimento degli staterelli italiani, avrebbero mai avuto luogo a procedere nel senso unitario.”.
Un processo inverso, ovviamente: nel corso dell’800 abbiamo vissuto tutta una serie di guerre proclamate ora da singoli stati della nostra Penisola, ora da popoli interi che hanno mosso comunque da un unico scopo: cacciare i poteri insediatisi con il Congresso di Vienna e provare a sostituirli con forme di governo che puntassero alla realizzazione dell’unità politica e sociale italiana.
Se avesse dovuto seguire il rispetto legalitario, Carlo Alberto non avrebbe passato il Ticino e non avrebbe colto come alibi le Cinque giornate di Milano per avanzare poi fino quasi a Venezia.
Se avesse dovuto seguire il rispetto legalitario, il popolo romano con a capo Ciceruacchio non avrebbe dovuto sollevarsi contro Pio IX, uccidere Pellegrino Rossi e instaurare la Repubblica guidata dal triumvirato Mazzini – Saffi – Armellini.
E così via dicendo, dalla Sicilia di Ruggiero Settimo alla Repubblica toscana di Montanelli per terminare quel 1849 con la caduta dell’esperimento di Daniele Manin a Venezia.
Siamo, dunque, davanti non al rispetto della Costituzione o della legalità, ma a volontà di popolo: quando grandi masse di persone si muovo e chiedono, come nel caso della Catalogna, di potersi esprimere col voto, uno Stato veramente democratico, seppure in netto contrasto con questa azione, lascia i cittadini esprimersi e poi prova a dialogare con loro, con i rappresentanti che si sono dati.
Uno Stato democratico non invia la Guardia Civil a reprimere nel sangue quel voto, non fa attraccare le navi con a bordo migliaia di poliziotti nel porto di Barcellona come minaccia visibile di quel che può accadere.
Non vi era nessun problema di sicurezza pubblica in Catalogna, tra i catalani: magari anche aspro dibattito, ma tutte le manifestazioni si sono svolte nel pieno rispetto della legalità catalana, quindi anche di quella spagnola nel senso lato del termine, del civismo.
E’ ovvio che il referendum contrasta con la Costituzione del Regno di Felipe VI. Ed è altrettanto ovvio che proprio un re dovrebbe mediare, in quanto garante dell’unità della nazione, e non accodarsi e supportare il pugno di ferro di Mariano Rajoy. Invece gli errori si sommano e l’esasperazione aumenta.
Così, è evidente che la risposta da Barcellona si fa più rigida, decisa, forte e sposta sull’asse dell’indipendentismo anche quei catalani come Ada Colau, la sindaca della futura capitale della probabile futura Repubblica, da critica verso il referendum a possibile sostenitrice dei prossimi atti in essere.
Ecco, mi sembra che la lezione che ci viene dalla vicenda spagnolo-catalana è proprio questa: come comportarsi nel caso in cui in uno Stato nazionale si verifichi un processo di richiesta popolare (si badi bene: popolare, non partitica o di vertice) di più autonomia rispetto ai poteri dello Stato centrale.
Nel caso della Catalogna, con uno Statuto regionale svuotato della sua essenza in questi anni cancellando le riforme di Zapatero, le premesse per una separazione dalla Spagna ci sono tutte: sarà molto difficile poter controvertire il cammino in corso. Troppi errori ormai separano Barcellona da Madrid e viceversa.
E se Rajoy è stato capace di far manganellare gente inerme che voleva solo votare, ci si può solo augurare che si sia accorto dell’effetto boomerang che tutto ciò ha avuto e che si astenga, insieme al rigidissimo Felipe VI, dal far intervenire l’esercito ed essere vissuto così come un vero e proprio “occupante”, uno straniero che viene a colonizzare un nuovo paese. A quel punto, potrà vincere nel medio periodo con la forza, ma la destabilizzazione spagnola sarà una fase lunghissima e, si sa, sui lunghi tempi chi vince è veramente molto complicato poterlo affermare.

MARCO SFERINI

5 ottobre 2017

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli