La foresta boreale non è usa e getta

Una campagna di Greenpeace contro la multinazionale dei fazzoletti e della carta igienica Essity, che minaccia la biodiversità del pianeta

Tempo, Lotus, Plenty, Velvet, Tena, Tork, Colhhogar, Edet, Libresse, Cushelle, Zewa, Libero. Questi marchi campeggiano sulla copertina nel rapporto How Europe’s Tissue Giant is Wiping out the Boreal. Ma non ne sono certo gli sponsor. Anzi.

La ricerca di Greenpeace, infatti, spiega che gli onnipresenti fazzoletti, carta igienica, asciugatutto e tovaglioli di carta, un mercato in netta espansione in Europa, contribuiscono a distruggere aree importanti della foresta boreale. Forse la maggioranza degli italiani, che consumano 9 chilogrammi pro capite all’anno (dati 2016) di cosiddetto tissue, non sa che la polpa di cellulosa necessaria a produrre questi usa e getta proviene dalla Grande foresta del Nord, l’ecosistema forestale boreale presente in Svezia, Finlandia e Russia: un terzo delle foreste rimaste sulla Terra, eppure protetto solo al 3%.

«Non possiamo permettere che foreste ad Alto Valore di Conservazione (Hcv), incluse le foreste vergini, vengano rase al suolo per produrre prodotti monouso», dice Martina Borghi, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia.
Grande è la minaccia per il clima, in questa distruzione boreale: «Le vaste torbiere e il permafrost che caratterizzano la Grande foresta del Nord ne fanno il principale deposito di carbonio tra gli ecosistemi terrestri del nostro Pianeta; è indispensabile nella lotta contro i cambiamenti climatici» continua Martina Borghi.

Un’altra vittima degli usa e getta di cellulosa è la biodiversità, che scompare a causa del degrado dei suoi habitat. Gli esseri umani stanno portando le specie viventi all’estinzione con una velocità 1.000volte superiore a quella naturale. E poi nella distruzione delle aree Hcv e dei paesaggi forestali intatti (Ifl) si violano spesso anche i diritti umani di popolazioni indigene locali, come i Sami che vivono nella regione boreale. Le antiche foreste garantiscono l’accesso delle loro renne ai licheni, di vitale importanza nel periodo invernale. Ma le compagnie tagliano la foresta naturale e ripiantano una varietà di conifera (il Pinus contorta) a rapida crescita che impedisce la crescita dei licheni e rende difficile lo stesso passaggio delle renne.

Leggiamo nel rapporto di Greenpeace che perfino in Svezia, ampie porzioni delle antiche foreste un paese per altri versi molto avanzato sul piano ambientale, protegge formalmente solo il 4,7% della propria foresta produttiva e l’intensa pressione da parte delle industrie del legname e della carta minaccia le foreste più vecchie. In Svezia come in Russia e in Finlandia, spiega il rapporto dell’organizzazione ambientalista, «uno dei principali attori della distruzione della foresta boreale è Essity, un gigante del tissue, di cui è il secondo produttore al mondo e primo in Europa». Essity è proprietaria dei marchi più diffusi in Europa. Non per niente attivisti di Greenpeace Italia hanno protestato tempo fa presso il quartier generale esibendo uno striscione con la scritta «La foresta vale più di un fazzoletto».

Essity nasce nel 2017 quando lo Sca Group svedese si divide in Sca (prodotti forestali) ed Essity (specializzata nel tissue e prodotti per l’igiene). Il rapporto di Greenpeace mostra come Essity acquisti da Sca molta polpa di cellulosa derivante proprio da aree di foresta boreale ad Alto valore di conservazione, incluse le foreste vergini. Come se non bastasse, la filiale cinese di Essity compra polpa di cellulosa da una compagnia indonesiana, Asia Pacific Resources International Ldt (April), coinvolta nella deforestazione e nella distruzione delle foreste torbiere a Sumatra e Kalimantan.

La campagna di Greenpeace mirata a Essity e ai noti marchi ha sortito qualche effetto? Spiega Borghi: «Stiamo ancora negoziando. Gli attori coinvolti devono non solo migliorare la gestione forestale ma eliminare dalla propria filiera i fornitori coinvolti nella distruzione di aree importanti della “corona verde” del nostro pianeta. Quindi niente approvvigionamenti da foreste naturali né da piantagioni nei territori Sami. Sappiamo che la compagnia ha chiesto a Sca di non creare altre monocolture di pino contorto nei territori Sami. Ma aspettiamo azioni concrete». A Essity è richiesto di attingere a foreste che non immagazzinino nel suolo grandi quantità di carbonio e non presentino grande biodiversità; foreste a sud del Circolo polare, dove le condizioni ambientali sono meno fragili e la crescita degli alberi meno lenta.

Nella sua Dichiarazione sulla certificazione forestale e linee guida per le compagnie e i consumatori, del 2018, Greenpeace raccomanda agli acquirenti di legno, polpa di legno e cellulosa, in primo luogo di minimizzare l’uso di fibra vergine. Quando quest’ultimo è assolutamente necessario, occorre fare molta attenzione al luogo di origine, alle specie utilizzate, alla protezione delle Hcv e Ifl e al riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni. A questo scopo, il sistema di certificazione Fsc (Forest Stewardship Council), dicono a Greenpeace, «può essere uno strumento utile per orientarsi ma occorre fare attenzione. La sua carta dei principi è di grande valore, ma in alcuni paesi per varie ragioni è disattesa». In ogni caso, solo il 41% del consumo di polpa vergine di Sca nel 2016 era certificato Fsc.

Quale il ruolo dei consumatori. Poi? Intanto, in omaggio a un principio guida universale – riduci, riusa, ricicla – Greenpeace nella suindicata Dichiarazione «ricorda a individui e comunità che occorre ridurre in modo drastico il consumo di prodotti a base di cellulosa, se davvero vogliamo proteggere le foreste che rimangono». Insomma, i prodotti più amici dell’ambiente sono quelli che non finiscono in pattumiera. Spiega Martina Borghi: «Siamo contro gli usa e getta di ogni tipo, anche le bioplastiche. Quando è possibile, è meglio utilizzare prodotti durevoli come tovaglioli e canovacci di stoffa, invece dei monouso. Quanto ai prodotti inevitabili, si pensi alla carta igienica, proponiamo di ricorrere a quelli che al 100% sono fatti con carta riciclata post-consumo (cioè materiale cartaceo recuperato e rigenerato) oppure pre-consumo ovvero con scarti di produzione. Il tutto senza uso di cloro come sbiancante, per evitare l’inquinamento delle acque».

Meno tovagliolini e asciugatutto insomma, a favore delle alternative durevoli. O quanto meno, usarli più volte anziché gettarli al primo uso con noncuranza.

MARINELLA CORREGGIA

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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