Il corpo straziato del Sudan

Entrare a Khartoum è come entrare in un incubo a occhi aperti. Gambe di piombo e polmoni che bruciano, in questo pezzo di terra dimenticato da Dio, in cui...

Entrare a Khartoum è come entrare in un incubo a occhi aperti. Gambe di piombo e polmoni che bruciano, in questo pezzo di terra dimenticato da Dio, in cui le famiglie sopravvivono con poco più di 3 dollari al giorno e le persiane di colori spaiati fanno vivere le strade di polvere.

La morte segue chiunque passo passo. Ogni sparo, ogni esplosione, ti riporta alla realtà. Giorno e notte, senza tregua. I corpi straziati e la facilità con cui le persone scivolano nella morte chiudono una partita senza misericordia. Il resto non esiste, il resto non conta, il resto non c’è.

Si è aperta la terza settimana di feroci combattimenti tra l’esercito sudanese (Sudanese Armed Forces, Saf) guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, leader de facto del Paese e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces, comandato dall’ex generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemeti”. Insieme, presero il potere con un colpo di stato nel 2021, ribaltando una fragile transizione al governo civile che era stata avviata dopo l’allontanamento, nel 2019, del sovrano Omar al-Bashir. Le tensioni sono sorte durante i negoziati per integrare le Rapid Support Forces nell’esercito governativo come parte del piano di ripristino del governo civile. Dunque, quale sarebbe stata la nuova gerarchia?

Attualmente i combattimenti sono concentrati nella capitale, Khartoum, ma si registrano scontri in tutto il Paese, incluse le città settentrionali di Merowe e Port Sudan, le città orientali di Kassala, Gadarif, Kosti e Damazin, le città del Darfur di El Fasher, Kabkabiya e Nyala.

Il bilancio delle vittime, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, ha tragicamente superato le 500 persone, tra cui 190 bambini, insieme a almeno 4.600 feriti e 330.000 sfollati interni riversati nelle aree di Wad Madani, Gadarif, Kassala e Port Sudan.

I bombardamenti in strada consumano il centro di Khartoum, nonostante la tregua sia stata ufficialmente prorogata di una settimana. Scontri armati particolarmente intensi continuano nelle aree intorno alle principali infrastrutture governative e militari nel centro della città. Duri gli scontri anche nelle zone commerciali settentrionali di Omdurman e Al-Khartoum Bahri.

Il Paese è entrato in uno stato di terrore permanente, gli attacchi aerei e gli scontri a fuoco colpiscono interi quartieri residenziali. Nella periferia sud di Khartoum manca l’elettricità da quattro giorni.

La violenza non risparmia l’assistenza sanitaria che è a rischio di collasso a causa di una grave carenza di forniture mediche, acqua, carburante e elettricità. Il 60% delle strutture ospedaliere di Khartoum sono chiuse. La pressione sugli ospedali ancora parzialmente funzionanti è intensa. E la chiusura delle frontiere impedisce la consegna di forniture sanitarie. Oltre alla mancanza di accesso all’assistenza di emergenza, le malattie croniche diventano incurabili. E si apre anche lo scenario delle temibili epidemie di colera e febbre dengue.

Il deterioramento della situazione in Sudan arriva in un momento in cui circa 15,8 milioni di persone nel Paese – un terzo della popolazione – dipendono da aiuti umanitari. Era già evidente una grave carenza di personale medico – quattro medici ogni 10mila civili – e grandi differenze tra i servizi disponibili per gli abitanti delle città e i residenti nelle aree rurali.

Mentre il fumo nero dei bombardamenti sale sulla capitale, la maggior parte dei civili resta intrappolata nelle proprie abitazioni senza accesso a cibo, acqua potabile, medicine o carburante. Solo in pochi quartieri, quelli situati nella periferia nord della capitale, è rimasto aperto qualche mercato.

A mezzogiorno, l’ora in cui l’intensità dei combattimenti sembra ridursi un po’, lunghe file per comprare il pane appaiono e scompaiono come fantasmi. E sembra un momento di pace e normalità in un mondo impazzito. Molti prodotti, come latte, uova, frutta e verdura, sono scomparsi dagli scaffali da settimane.

I combattimenti hanno spinto migliaia di civili a fuggire nei Paesi vicini, Repubblica Centrafricana, Ciad, Egitto, Etiopia, Libia e Sud Sudan, spesso tra comunità già vulnerabili. Finora i movimenti transfrontalieri più significativi sono stati verso Ciad e Sud Sudan. Almeno 52mila civili sudanesi sono entrati in Egitto dall’inizio del conflitto, 42mila in Ciad e 14mila in Sud Sudan, secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati.

I viaggi sono disordinati e molto costosi. I biglietti degli autobus costano più di cinque volte rispetto al periodo precedente al conflitto. La gente compra «un biglietto per ovunque». E nei posti di blocco i controlli sono irruenti e violenti. Membri armati appartenenti a entrambe le fazioni in lotta salgono sugli autobus e controllano ogni passeggero, bambini compresi.

La situazione ai valichi di frontiera rimane caotica. Decine di autobus che viaggiano in convogli di notte, tra veicoli bruciati e strade martoriate, rimangono bloccati per giorni. L’Unhcr esorta i Paesi confinanti con il Sudan di consentire un accesso «non discriminatorio» ai loro territori.

FEDERICA IEZZI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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