Il chiarimento dell’ambasciatore Usa

«Non mi sono espresso per il Sì», dice Phillips ricevendo il comitato del No. Il diplomatico Usa: gli imprenditori stranieri chiedono stabilità, ma anche giustizia veloce e meno burocrazia

«Le mie sono state solo considerazioni ovvie, che la stampa ha amplificato ed esagerato». Ha accolto così i suoi ospiti, ieri mattina alle dieci, l’ambasciatore degli Stati uniti in Italia John Phillips. In un salotto di villa Taverna, davanti a caffè espressi o americani, si sono accomodati per due ore il rappresentante del governo di Washington che aveva fatto scalpore fa con quella frase sul referendum – «se vince il No gli investimenti stranieri farebbero un passo indietro» – e una mezza dozzina di rappresentanti dei comitati del No, invitati a un’incontro riparatore.

È stata l’ambasciata americana a diramare gli inviti. Qualcuno, come i professori Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, ha dovuto declinare. A villa Taverna c’erano così il presidente del comitato del No Alessandro Pace e altri tre giuristi di questo comitato: Massimo Villone, Felice Besostri e Pietro Adami. Con loro anche il professor Guido Calvi, presidente del neonato comitato del centrosinistra per il No, quello voluto da Massimo D’Alema. E c’erano anche l’ex europarlamentare di Forza Italia Giuseppe Gargani, che presiede un comitato di centrodestra per il No, e l’ex presidente della Corte costituzionale Antonio Baldassarre che ha firmato uno degli appelli per il No.

«Il mio dovere istituzionale è favorire gli investimenti americani in Italia – ha spiegato l’ambasciatore Phillips ai suoi ospiti, dopo aver ripercorso le origini italiane della sua famiglia – e per questa ragione ascolto gli imprenditori. Le loro preoccupazioni principali per l’Italia riguardano la instabilità politica, la scarsa efficienza della pubblica amministrazione e la lentezza della giustizia civile». Gli esponenti del No hanno risposto spiegando che due di queste tre preoccupazioni – la giustizia e la pubblica amministrazione – non sono neanche lontanamente affrontate dalla riforma costituzionale Renzi-Boschi. La terza, la stabilità di governo, è solo illusoriamente risolta. Perché il super premio di maggioranza regalato dall’Italicum (almeno 340 seggi, il 54%, a chi vince al ballottaggio, anche se ha raccolto una percentuale assai inferiore al primo turno) non garantisce il governo dai cambi di schieramento dei parlamentari. In questa legislatura sono 260 i deputati e senatori che hanno cambiato gruppo almeno una volta (molti lo hanno fatto più di una volta), il 28% di tutti i parlamentari.

Se non si può dire, come faceva ieri sera il sito del piccolo «comitato popolare per il No», di centrodestra, che «l’ambasciatore Usa vede Gargani e ci ripensa», tutti gli ospiti di villa Taverna hanno notato con piacere che Phillips in conclusione dell’incontro ha ripetuto di voler restare neutrale nella contesa. Forse nei prossimi giorni organizzerà un equivalente caffè con i rappresentati del Sì.
La giornata di ieri è stata segnata dalle polemiche per la scelta di Renzi di mostrare la scheda del referendum in tv. «È grave che il presidente del Consiglio l’abbia esibita prima ancora di fissare la data del referendum», ha detto il capogruppo di Sinistra italiana Scotto. La data del referendum sarà, finalmente, comunicata lunedì. Il quesito sulla scheda chiede di confermare o meno la legge costituzionale, il cui titolo è in effetti accattivante perché parla di riduzione dei parlamentari e contenimento dei costi. Ma è solo un titolo, scelto dal governo.

A. FAB.

da il manifesto.info

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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