I referendum sociali, una lotta che va ben spiegata

L’impressione è che stiamo incrociando troppe lotte. Mi riferisco ai referendum che da aprile a fine anno andremo a promuovere, firmare e votare. Si spera. Tutte lotte sacrosante e...

L’impressione è che stiamo incrociando troppe lotte. Mi riferisco ai referendum che da aprile a fine anno andremo a promuovere, firmare e votare. Si spera. Tutte lotte sacrosante e giuste, ma tutte espresse purtroppo in forma di quesito referendario che è sempre più difficile far comprendere nella scelta ora del “SI'” e ora del “NO”.
In questi giorni si sta timidamente affacciando sui giornali e nei programmi televisivi la campagna per il SI’ che servirà ad impedire che i nostri mari siano sfruttati dalle compagnie che estraggono gas e petrolio sine die, senza un termine, con un rinnovo delle concessioni che andrebbe quindi oltre i trent’anni stabiliti dalla legge.
E’ il referendum contro le trivelle che si terrà il 17 aprile prossimo. La parola “trivelle” inizia solo ora a risuonare e a riecheggiare nelle orecchie della gente dopo che tante lotte locali si sono unite e hanno proposto il referendum attraverso le regioni (peraltro amministrate dal partito di maggioranza relativa che sta al governo…).
E mentre si fa largo un po’ di comprensione e di acquisizione di informazioni su questo referendum, parimenti siamo costretti a lanciare i comitati per il NO alla riforma costituzionale. Un referendum confermativo, dove l’esecutivo ci chiede se vogliamo approvare una sorta di colpo di mano contro la democrazia repubblicana, facendo finta di abolire il Senato della Repubblica, di fatto depotenziando il sistema di controllo nella formazione delle leggi e relegando il Parlamento ad un monocameralismo dipendente da Palazzo Chigi.
Quindi, in questo caso, per dire NO voteremo NO. Nel caso delle trivelle, per dire NO dovremo votare SI’.
Ammetterete che non è mai stato semplice comunicare la ragione del NO che si esprime attraverso una affermazione positiva. Ciò diventa ancora più complicato in presenza di più referendum.
Quelli “sociali”, che comprendono argomenti e temi scottanti come la “buona scuola” renziana, il “jobs act” (promosso dalla Cgil) e altri quesiti ambientalisti, saranno sette referendum da spiegare ai cittadini per difendere dei diritti che avrebbero dovuto essere acquisiti e che, invece, come tutti i diritti sono sempre minacciati di estinzione per volere di questo o di quel potere economico e politico.
Ci vorrà molta organizzazione per fare una campagna sociale chiara e netta, affatto ambigua e non interpretabile.
Un modo per semplificare le cose è dividere anzitutto chi è pro-Renzi e chi contro-Renzi. In effetti, questi referendum si rivolgono tutti contro riforme elettorali, del lavoro, della scuola e politiche antiambientali che il governo del segretario nazionale del Partito democratico sta portando avanti con la disinvoltura degli arroganti e dei prepotenti.
Iniziare a separare chi è dalla parte dell’esecutivo da chi gli è invece contro, è una prima scrematura che non deve diventare elemento discriminante, ma di comprensione per la gente comune poco avvezza ai tecnicismi.
I referendum che saranno proposti sono contro le politiche del governo; dunque sono contro il governo. Operare questa prima distinzione ci serve per fare chiarezza estrema, basilare.
Alla causa dell’opposizione al governo Renzi vanno conquistati tutti quei cittadini che, soprattutto, sono in una posizione di “indifferenza”, di “menefreghismo”, di alienazione e lontananza dalla politica per stanchezza, ripetitivo seguitare delle commistioni tra pubblico e privato a favore sempre di quest’ultimo.
Quindi, anche in questo caso, va stanato il consenso che non sarebbe consenso, il voto che sarebbe astensione e stimolato, pertanto, l’interesse su temi che non sono di per sé “ideologici”, ma che interessano quotidianamente la vita di tutte e tutti noi.
Se a tutto questo si accompagnasse anche una coscienza critica con un pensiero preciso e determinato su come costruire una alternativa al liberismo corrente, non sarebbe certo cosa negativa, ma in questa fase siamo ancora prigionieri del populismo e del qualunquismo che si autoalimenta con gli scandali economici della politica che attraversano trasversalmente maggioranze e opposizioni.
Dunque, i referendum possono essere anche l’occasione per fare chiarezza su come la si può pensare in merito alla trasformazione sociale, ma solo se diventano un arma sociale e non se vengono subìti e tollerati o, peggio ancora, vissuti come qualcosa di inutile.
Il rischio che questo accada è tutt’altro che lontano, anzi è uno dei principali nemici che dobbiamo contrastare. L’inutilità referendaria potrebbe essere chiamata in causa con la dimostrazione, ad esempio, che nonostante si sia vinto contro la privatizzazione dell’acqua, ogni tanto torni in auge, sia per volontà locali che nazionali, il tentativo di aggirare quanto stabilito con trucchetti anche legali ma, di certo, tesi a superare l’espressione della chiara decisione popolare.
L’impressione che stiamo incrociando troppe lotte è un timore. Per superarlo e per superare la rassegnazione di qualunque natura, dobbiamo legare i temi trattati nei quesiti alle esperienze quotidiane delle persone: dobbiamo spiegare concretamente la ragione dell’opposizione sociale a questo governo che è, appunto, antisociale.
Da queste lotte “di base”, più che da artificiose costruzioni, rinasce uno spirito unitario a sinistra. Proviamo a vincere più battaglie insieme. Non è impossibile.

MARCO SFERINI

24 marzo 2016

foto tratta da Pixabay

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