Genialata PD: «Al referendum sull’autonomia votiamo come la Lega»

Regione Lombardia. I sindaci del centrosinistra dei capoluoghi lombardi - tra i quali Giorgio Gori e Beppe Sala - hanno deciso di votare Sì al quesito referendario sull'autonomia voluto dal governatore leghista Roberto Maroni, che se la ride: «Bene, finalmente, che confusione in casa dem...». Fino all'altro ieri il partito di Matteo Renzi lo aveva definito inutile e costoso. Per il consigliere regionale Onorio Rosati (Mdp) si tratta di «stucchevole tatticismo fuori tempo massimo»

Il referendum (consultivo) più inutile e disertato della storia repubblicana si terrà in Lombardia e in Veneto il prossimo 22 ottobre. I cittadini lombardi saranno chiamati a dire Sì o No – per la prima volta con voto elettronico – a un quesito che chiede al governo una maggiore autonomia. Questo: «Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?».

La consultazione è stata voluta dal governatore leghista Roberto Maroni per tirare la volata a se stesso in vista delle elezioni regionali del 2018, la solita propaganda a chiacchiere autonomiste. Vincerà di sicuro, perché non è previsto il quorum e perché tutti i partiti politici si sono schierati per il Sì. Sarà una gara esaltante. L’esito previsto del referendum non porterà automaticamente a una maggiore autonomia di Lombardia e Veneto poiché – come dice l’articolo 116 della Costituzione – dopo il voto bisognerà intavolare una trattativa con il governo che se andrà a buon fine verrà tradotta in una proposta di legge da portare in Parlamento, la quale dovrà essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta. Come da settimane si affannavano a dire le opposizioni di centrosinistra, sono 46 milioni di euro buttati via per un referendum inutile.

Fino all’altra sera era questa la posizione ufficiale del Pd. Senonché, i geni lombardi che ispirano il partito di Matteo Renzi, l’altra sera hanno intimato un «contrordine compagni»: i sindaci di tutti i capoluoghi della Lombardia governati dal centrosinistra hanno deciso di schierarsi per il Sì e addirittura si concederanno il lusso di dare vita a un comitato «senza bandiere». Il testa-coda ha questa nobile motivazione: «L’autonomia e i benefici per la crescita e il lavoro per tutti non possono essere strumentalizzati da una parte politica che ha isolato fino ad ora la Lombardia – dicono i sindaci di Milano, Bergamo, Brescia, Varese, Lecco, Mantova, Cremona, Pavia e Sondrio – e per questo diciamo un Sì convinto e ci organizzeremo perché il referendum sia una vittoria di tutti i lombardi e non una bandierina di parte».

Tra i convinti che voteranno come la Lega ci sono il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, probabile sfidante di Roberto Maroni per la poltrona di governatore lombardo, e Beppe Sala che forse solo in questi giorni sta prendendo coscienza di cosa significa essere un sindaco eletto in quota Pd. «Avevo detto che era inutile ma tanto il referendum ci sarà, dunque conviene votare sì per non lasciare questa battaglia alla Lega, mi hanno chiesto di firmare e l’ho fatto volentieri».

Roberto Maroni, vincitore ancora prima di cominciare, se la ride su facebook: «Bene, finalmente. Ma una domanda la voglio fare al Pd lombardo e al suo segretario: perché finora il Pd ha definito inutile il referendum e mi ha sempre attaccato accusandomi di sprecare soldi pubblici? Che confusione in casa dem… Che pazienza da parte mia».

Non molti si affannano a rispondere e la modalità prevalente è l’arrampicamento sugli specchi. Tra i pochi che alzano la voce c’è il consigliere regionale Mdp Onorio Rosati. Se la prende con i nuovi sindaci per il Sì: «È sbagliato pensare che si possano vincere le prossime elezioni regionali con qualche stucchevole tatticismo, fuori tempo massimo. Dopo 25 anni di governi forzaleghisti, in Lombardia serve presentare agli elettori idee, progetti e programmi che siano radicalmente alternativi alle scelte sin qui fatte da Maroni. Il lavoro, la salute, la casa, l’immigrazione, la sicurezza, il trasporto pubblico e il reddito di inclusione sono i temi su cui bisogna marcare una decisa discontinuità».

Nel frattempo, per non intristirsi, il «popolo del centrosinistra» può consolarsi con un referendum. Tutti insieme, allegramente.

LUCA FAZIO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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