Flex, App e rating. Vita da rider, italianissimo

Gig Economy. Una giornata passata con un fattorino del fast food, in scooter o in bicicletta sulle strade di Roma, guidati da un call center milanese. Dipendenti da un algoritmo, con 4 o 5 turni a settimana si arriva a 600 euro lordi al mese

L’appuntamento con Stefano (nome di fantasia) è di fronte a un McDonald in una zona centrale di Roma. Oltre a lui, il rider che ha accettato di farmi vedere come funziona un normale turno di lavoro, diversi altri suoi colleghi stazionano di fronte al fast food con lo scatolone colorato sulla schiena. «In tanti veniamo qui all’inizio del turno. Questo è un buon punto per noi», mi spiega Stefano seduto sul suo scooter.

«Prima di tutto, qui intorno ci sono tanti ristoranti e gli ordini vengono assegnati ai rider anche in base alla loro posizione. Adesso che il “Mac” si è messo d’accordo con diverse aziende di consegne a domicilio, molti ordini partono proprio da qui. E poi, d’inverno, nessuno ti rompe le scatole se aspetti le chiamate dentro il McDonald, invece che al freddo o sotto la pioggia». È un fine settimana e sono le sette, ora di punta per chi inizia a pensare alla cena e non ha voglia di perdere tempo.

In effetti, un sacco di gente usa le app per ordinare Big Mac e patatine. Chiamare un fattorino per mangiare fast food è un tipico paradosso del capitalismo maturo, visto che McDonald, dove il cliente serve in tavola e sparecchia, si basa sulla eliminazione degli intermediari. Però passano pochi secondi e lo smartphone di Stefano vibra: qualcuno vuole un hamburger. Dove portarlo, non si sa ancora: «La app ti dice l’indirizzo solo quando hai ritirato il pacco». Si parte senza andare molto lontano. «La città è divisa in zone, e tra il ristorante e il destinatario non possono esserci più di 4 chilometri».

Questo primo ordine va veloce. Si arriva a destinazione, si segnala alla app che si è completata la consegna e prima ancora di risalire sullo scooter arriva un altro ordine. «I problemi nascono quando il cliente ha comunicato un indirizzo sbagliato, o il navigatore ti fa sbagliare strada. Prima potevamo chiamare un call center a Roma che contattava il cliente o ci dava le dritte sui percorsi. Ora invece comunichiamo via chat con Milano, con tempi rallentati e informazioni poco affidabili perché non conoscono la città».

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ANDREA CAPOCCI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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