Disney, una fiaba senza lieto fine. Chiudono gli store

Frozen. "Da Topolino a Malefica". Lo sciopero e la protesta in piazza dei 233 addetti italiani della multinazionale, che ha deciso di chiudere tutti i punti vendita europei fra cui i 15 italiani, liquidando la proprie società per dedicarsi al solo e-commerce. I sindacati confederali del commercio al loro fianco: "In tempi di pandemia è una pugnalata alle spalle"

“Da Topolino a Malefica”. E’ un’immagine calzante quella che ieri ha accompagnato la protesta dei 233 fra lavoratrici e lavoratori dei 15 Disney Store italiani, che di qui a pochi giorni saranno chiusi, di punto in bianco, da una delle multinazionali per eccellenza. Questo dopo che, alla zitta, il 19 maggio scorso i vertici aziendali hanno messo in liquidazione la società, tagliandosi i ponti alle spalle e senza dare alcuna prospettiva o avanzare proposte per la tutela occupazionale

La dismissione dell’intero perimetro di vendita in Italia, frutto di una strategia aziendale che ora si orienterà interamente sull’ e-commerce, è stata immediatamente messa in pratica, con l’annuncio della chiusura di negozi ormai storici come quello milanese di Corso Vittorio Emanuele, quello romano di via del Corso (il più famoso dei tre negozi nella capitale), quello napoletano di via Toledo e quello fiorentino di via Calzaiuoli.

Anche a Bergamo, Brescia, Palermo, e negli altri sei Disney Store della penisola, l’ordine di servizio è stato perentorio: “Si chiude”. Formula ripetuta peraltro in tutte le lingue europee, visto che la Disney non terrà aperto un solo negozio nel vecchio continente. Mentre negli Usa, già dallo scorso marzo, la multinazionale ha annunciato la chiusura di almeno 60 dei suoi punti vendita. Anche in questo caso con la giustificazione di voler concentrare gli affari solo sull’online.

In risposta, al termine di un’assemblea unitaria dei sindacati confederali della categoria del commercio – Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs – promossa in modalità telematica e partecipata dalla quasi totalità dei dipendenti del colosso statunitense, è stato deciso lo stato di agitazione con le quattro di sciopero a livello territoriale, organizzate ieri con sit in di protesta davanti ai punti vendita, e altrettante da organizzare a livello nazionale.

A Roma i 51 licenziandi con le loro famiglie e i sindacati si sono ritrovati in piazza Montecitorio: “L’adesione è stata del 100% – hanno fatto sapere Filcams Cgil & c. – e i lavoratori in piazza, per il 60% donne, hanno manifestato tutta la loro tensione e il loro sconforto. Resteremo al loro fianco finché non si troveranno soluzioni”.

Scene identiche in via Toledo a Napoli: “Questa è una pugnalata alle spalle – tira le somme Nicola Ricci, segretario generale della Cgil a Napoli e Campania – una catena internazionale come Disney che decide di chiudere e licenziare, per favorire l’e-commerce, è quanto di più sbagliato ci possa essere nelle politiche economiche e commerciali di questo Paese”. Politiche che per giunta hanno permesso alla multinazionale di utilizzare nei mesi scorsi i soldi pubblici della cig in deroga.

Le richieste sindacali vanno dall’immediata apertura di un tavolo istituzionale con i ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro, e del contestuale avvio del confronto con la direzione societaria, per conoscere i dettagli della procedura di liquidazione del marchio.

I sindacati tenteranno di percorrere la strada della cessione delle licenze, di definire un accordo sull’incentivo all’esodo volontario, e di attivare percorsi di politiche attive volte alla ricollocazione dei lavoratori. Una sfida epocale in tempi come questi, come ricorda Leu, con Stefano Fassina che a sua volta chiede l’intervento dei ministri Giorgetti e Orlando: “Queste sono persone, sono vite, sono professionalità, sono fatica. Non possono essere trattate dalla multinazionale come fossero pupazzi di cui liberarsi”. Per giunta da un’azienda che, ricordando le parole di Mario Draghi, è tutto fuorché decotta.

RICCARDO CHIARI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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