«Che cosa fai quando tutto è contro di te? Io dico, vai avanti. Vai avanti senza fermati. Non importa se ti arriva uno schiaffo in faccia, tu porgi l’altra guancia. E il dolore che senti? Non puoi fermarti a pensare a quello che ti hanno fatto, adesso o in passato. Devi solo andare avanti».

È il mantra che Tina Turner ripeteva a se stessa, a giustificare una carriera ostinata nonostante i tanti drammi che hanno costellato la sua carriera (la morte di due figli, le violenze del marito Ike, un tumore e il trapianto del rene). La cantante di Nutbush nel Tennesse è morta ieri sera nella sua casa svizzera dove viveva da molti anni con il secondo marito Erwin Bach, dopo il ritiro, dovuto a motivi di salute e l’ultimo tour mondiale, alla soglia dei settant’anni.

Voce graffiante, padronanza assoluta del palco, Tina è una stella dalle molte vite e che diventa a un certo punto un simbolo contro la discriminazione, la violenza sulle donne, e di riscatto. Gli esordi di Anna Mae Bullock – il suo vero nome – sono legati strettamente a quelli di Ike: lei fa la cameriera nel locale di Saint Louis dove lui si esibisce.

Relazioni familiari complicate – con la madre Tina vivrà un rapporto conflittuale per tutta la vita – cresciuta dalla nonna, ha una sola grande passione: la musica. Ike le promette che la farà esibire, ma passano le sere e non succede nulla. Così prende il coraggio a piene mani, afferra il microfono e comincia a cantare. Ike ne è sconvolto e le affida una parte dello spettacolo, cambiandole il nome in Tina. Liaison artistica e inevitabilmente sentimentale che si rafforza quando la coppia inizia a sfornare successi .

A Fool for Love (1960) è la prima della serie, brano eccitante che si rafforza soprattutto per la performance vocale di Tina. Da quel momento lei diventa il centro della band. Abiti aderenti, minigonne mozzafiato con l’aggiunta di una sezione fiati e un gruppo di coriste, che diventeranno le Ikettes. A seguire arrivano I Idolize You, Poor Fool, It’s gonna work out fine.

Ma la consapevolezza Tina la raggiunge collaborando con Phil Spector che nel 1966 le affida River Deep, Mountain High, sontuosa sinfonia pop in cui mette a punto il suo celebre Wall of Sound (il muro del suono), dove la vocalità di Tina si esalta in un contrappunto di echi e maestosa bellezza. Il pezzo funziona sul mercato britannico ma non in quello americano. Con Ike intanto si infittisce la serie di successi: da Proud Mary – in cui trasforma letteralmente in un infuocato r’n’b una hit dei Creedence Clearwater Revival e poi nel 1973 Nutbush City Limits, canzone autobiografica scritta dalla stessa Turner.

Ma il successo nasconde un privato fatto di violenze e sopraffazioni, Ike la tradisce e la picchia ripetutamente anche quando lei è incinta. Tina resiste fino a quando decide che è troppo: abbandona tutto nel 1976 dopo un concerto a Dallas e le ennesime violenze: «Mi restavano solo 35 cent e una macchina», racconta nella sua seconda autobiografia. Sopravvive attraverso ospitate tv – celebri quelle con l’amica Cher – e concerti a Las Vegas.

All’atto del divorzio, lascia a Ike le royalties, ma intelligentemente decide di mantenere il cognome. Mentre I’ex marito scivola lentamente nell’autodistruzione, lei risale la china. Chiamata a Londra dal team degli Heaven 17 incide Ball of Confusion e poi una cover di un brano di Al Green Let’s stay together che conquistano gli inglesi.

La Emi le propone allora un contratto e nel giro di un mese assembla Private dancer (1984), il suo più bel disco in assoluto da solista. Pop, rock ed elettronica si fondono tenuti insieme dalla sua voce spettacolare, per lei scrivono Mark Knopfler – la ballata che intitola l’album ambientata nel mondo della prostituzione che diventa un classico delle sue performance live, Terry Britten e un’infuocata versione di Help dei Beatles. Sarà il suo più grande successo: 20 milioni di copie vendute e ben tre Grammy awards.

Da questo momento la vita di Tina è un susseguirsi di hit, tour negli stadi da «sold out» e album meno belli (Break Every Rule, Foreign Affair, Twenty for seven) ma commercialmente fortunati.

E poi i film, Acid queen per Tommy e Entity per Mad Man, le amicizie con Mick Jagger e David Bowie e i duetti al Live Aid del 1985. Un riscatto che viene ben raccontato in un documentario intitolato semplicemente Tina, regia di Dan Lindsay e Tj Martin e presentato alla Berlinale del 2021 e ancor meglio nel 1993 in Tina (What’s love got to do with it) diretto da Brian Gibso – a interpretarla sul grande schermo è Angela Bassett. A Venezia – dove il film viene presentato – caccia ancora una volta il fantasma di Ike nelle domande su di lui: «Perchè io ora sono un’altra donna».

STEFANO CRIPPA

da il manifesto.it

foto tratta da Wikimedia Commons