Togliatti e Voltaire: trattato sulla tolleranza

Eravamo, nel 1949, vale a dire in una fase in cui gli scontri della guerra fredda erano particolarmente aspri. Il Pci era stato estromesso dal governo De Gasperi nel...
Palmiro Togliatti, comizio a Milano nel 1948

Eravamo, nel 1949, vale a dire in una fase in cui gli scontri della guerra fredda erano particolarmente aspri. Il Pci era stato estromesso dal governo De Gasperi nel 1947. Un anno dopo, nel 1948, i comunisti si erano impadroniti del potere a Praga con un colpo di Stato. E nei mesi in cui Togliatti traduceva Voltaire, l’Italia firmava a Washington il Patto Atlantico. Ma non erano quelle le ragioni per cui il segretario del Pci decise di dedicarsi alla traduzione del più famoso libello politico di Voltaire.

Nella sua prefazione spiegò ai lettori che il Trattato sulla tolleranza era un lucido atto d’accusa contro il fanatismo religioso, l’arroganza della Chiesa, lo strapotere del clero. Può sembrare, continuava Togliatti, una battaglia del passato, ormai vinta. Ma è resa nuovamente attuale da «recenti episodi » e dal «risorgere di una baldanza clericale al servizio di una estrema resistenza e reazione capitalista».

Devo aggiungere che Togliatti aveva una parte di ragione. La Chiesa non era al servizio del capitalismo, ma sembrava decisa a governare i costumi italiani con un pugno di ferro e a servirsi della Democrazia cristiana perché l’Italia assomigliasse alla Spagna di Franco e al Portogallo di Salazar più che ai Paesi del continente con cui avrebbe tentato di lì a poco la strada dell’integrazione europea. Dopo avere difeso Voltaire e l’utilità del trattato nella situazione italiana di allora, Togliatti affermò che philosophes francesi erano gli eredi del razionalismo europeo e avevano il grande merito di avere spinto più in là le frontiere della ragione. Erano quindi dei precursori a cui era giusto rendere omaggio.

Ma «la nostra dottrina è del tutto nuova, perché trova nella realtà stessa e nel suo sviluppo la ragione e la molla del rinnovamento del mondo».

Tra l’Illuminismo e il materialismo dialettico vi era quindi un salto di qualità, un cambiamento di passo. La «nuova storia», salutata da Goethe sul campo di battaglia di Valmy, non cominciava dalla presa della Bastiglia, ma dal grande manifesto che Marx e Engels avevano scritto nel 1848. L’esperienza razionalista restava tuttavia fondamentale. Chi la ignora, concludeva Togliatti, finisce «per mettere capo ancora una volta al passato o aprire la strada alla sua resurrezione».

FRANCO ASTENGO

16 luglio 2019

foto tratta da Wikimedia Commons

categorie
Comunismo e comunisti

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