Per Giulio, un ragazzo che voleva sapere

La storia di Giulio è quella di un giovane ricercatore con la passione per il sociale, per i lavoratori e per l’economia. Conoscere e sapere, sapere per poter interpretare...

La storia di Giulio è quella di un giovane ricercatore con la passione per il sociale, per i lavoratori e per l’economia. Conoscere e sapere, sapere per poter interpretare e dare la propria visione delle cose, della società, di un mondo che fa paura.

Giulio aveva paura ma aveva anche molto coraggio: raccontava dall’Egitto come si svolgevano le assemblee sindacali in un contesto di dittatura militare, dove la sicurezza garantita da un governo golpista (con il quale noi Paese-Italia abbiamo cordiali relazioni diplomatiche nel nome della comune lotta contro il califfato nero. Ufficialmente) è la faccia benevolente di una insicurezza globale che non garantisce diritti sociali e civili, dove negli ultimi mesi sono scomparse più di 160 persone e non se ne conosce la sorte. Moderni desaparecidos africani o anche europei, irrintracciabili e tutti legati al mondo dell’informazione, della contro informazione, della cronaca e del giornalismo.

Giulio aveva 28 anni e un brillante curriculum universitario alle spalle. Ma aveva soprattutto quello che molti giovani delle attuali generazioni possiedono poco: aveva la voglia di essere consapevole della realtà che viveva e in cui si trovava calato ogni giorno tra mille contraddizioni evidenti o più fumose, oscure, ma pur sempre avvertibili da qualche senso della propria criticità.

Ha ben scritto chi lo ha definito “un altro Vittorio Arrigoni”, un’altra generosa persona che ha unito studio e volontà per non voltarsi dall’altra parte, per non girare le spalle a quanto accadeva e accade in Egitto.

La verità sulla sua morte forse la conosceremo dopo depistaggi, mezze verità e chiare menzogne che saranno dette da organi del potere costituito a Il Cairo. E non solo. Ma quello che oggi importa dire, per onorare proprio la memoria e la vita di studio e lavoro di Giulio, è la denuncia dei mali incurabili di questa società di mercanti di morte dalla faccia di portatori della democrazia.

Colpi di stato militari, califfati che nascono sulla scia dei finanziamenti del tanto democratico “Occidente” e che finiscono per rivoltarglisi contro trasformandosi in mostri da guerreggiare e riguerreggiare. Popoli che vengono sfruttati e schiacciati da carestie, conflitti e sfruttamento schiavistico delle braccia e delle gambe, così come le loro terre vengono depredate dalle multinazionali del petrolio, del ferro, dell’oro e di mille altre materie che sono commerciabili dopo che sono state estratte dai bambini che muoiono, sterminati dal cancro e dalla fatica…

A questo mondo che denunciamo da secoli ormai, giovani come Giulio si erano a loro modo ribellati. Non con la violenza ma con la parola, con la denuncia costante delle condizioni di lavoro e di vita. Sapendo di rischiare la propria ma magari non volendo per forza trasformarsi in chissà quale supereroe.

La vocazione al martirio non fa parte di una cultura di studio delle cause dei problemi sociali e civili. La vocazione al martirio è religiosamente bellica e bellicamente religiosa. Lasciamola pure lì, nel solco che separa ed unisce al contempo esagitazioni mistiche per un dio e quelle altrettanto mistiche per il denaro e il potere.

E allora si studia Gramsci, si studiano i sommovimenti sociali e si tenta di capire come mai in una società così frammentaria, atomizzata e singolare, dove le esigenze del mercato prevalgono su ogni tensione unitaria per rivendicare un salario migliore, libertà di associazione sindacale e politica, ogni tanto spuntino nei continenti più poveri i movimenti più interessanti sul fronte progressista. E’ avvenuto anche con la “primavera araba”, probabilmente sopravvalutata e molto più eterogenea di quel che si potesse ritenere.
Anche questo è stato oggetto di numerose ricerche storiografiche e antropologiche. E molti universitari si sono gettati sui libri a studiare, hanno fatto ricerche su Internet e hanno prodotto tesi, documentari, filmati anche recandosi in quei terribili teatri di guerra e disordine internazionale.

I giovani come Giulio non sono la maggioranza: forse non lo possono essere. Ma vi sono tanti ragazzi e tante ragazze nel mondo che non accettano le ingiustizie e le vogliono combattere con i mezzi che hanno a disposizione.

Se a vostra disposizione avete anche solo una tastiera di un computer, potete farlo. Potete ogni giorno scrivere un pensiero e lanciarlo nell’universo della rete. E poi potete scendere nelle piazze e appassionarvi ad una nuova politica, quella dell’ingenuità, del romantico sogno di una trasformazione che non è utopia, ma realtà.

La retorica non è questa ma bensì quella di chi afferma che un equilibrio sociale si può avere date le condizioni di vita, quindi data l’economia, che abbiamo sotto gli occhi e intorno a noi ogni santo giorno.

Qualcuno potrà dire che Giulio ha corso dei rischi che magari conosceva. E sia. Ma ognuno di noi corre dei rischi consapevolmente. Per passione, per voglia, per desiderio. E ha diritto di farlo, per cambiare sia sé stesso sia questo mondo. Senza per forza dover diventare un eroe.

MARCO SFERINI

6 febbraio 2016

foto tratta da Pixabay

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