Al Binario 95 si lotta contro la povertà

Un modello che fa scuola. Roma, stazione Termini. La storia di un centro di accoglienza e di prima assistenza ai senza fissa dimora. Da 11 anni produce un giornale di strada: «Shaker». Domani sarà distribuito alla manifestazione della Rete dei Numeri Pari contro le povertà e le diseguaglianze a piazza San Giovanni Bosco a Roma. Duecento metri quadri per chi è stato messo in ginocchio dalla crisi. «Riprendere il contatto con la vita, lontani dalla logica della mera sopravvivenza»

In via Marsala a Roma, al civico 95, di fronte all’astronave ariosa e distesa della stazione Termini, si trova Binario 95, un centro polivalente di sostegno ai senza tetto e alle persone in difficoltà che ha dato vita a un giornale. Si chiama «Shaker, pensieri senza fissa dimora». Domani i suoi redattori lo distribuiranno in centinaia di copie in piazza San Giovanni Bosco a Roma, luogo tristemente noto per i funerali di Vittorio Casamonica, dove dalle 13 si terrà la manifestazione «Ad Alta Voce – Contro disuguaglianze e povertà» promossa dalla Rete dei Numeri Pari, un coordinamento di quasi duecento realtà dislocate sul territorio nazionale ed unite per combattere povertà e disuguaglianze. La storia di Shaker è iniziata qui, in via Marsala, dove la cooperativa Europe Consulting onlus ha ricevuto i locali in comodato d’uso gratuito dal Gruppo Ferrovie dello Stato e oggi collabora con Roma Capitale nella gestione di un dormitorio per senza tetto e per l’accoglienza diurna.

«All’inizio abbiamo aperto un help center sul binario 1 della stazione Termini che ascoltava le richieste di persone in difficoltà e cercava di indirizzarle verso servizi attivi sul territorio – afferma Fabrizio Schedid, coordinatore di Binario 95 – ma ci siamo ben presto resi conto che non bastava orientare le persone al fine di trovare loro un alloggio per la notte. Garantivamo la sopravvivenza, certo, ma anziché risolvere la problematica, quasi per paradosso, si aumentava. Le persone si adagiavano in una vita improvvisata, si arrendevano ai bisogni primari. Ma la povertà era soprattutto relazionale, aveva a che fare con la solitudine, con l’incapacità di inserirsi. Serviva un posto di aggregazione in cui riprendere contatto con la vita quotidiana, lontana dalla logica della mera sopravvivenza».

Un progetto pilota nato nel 2002 con i fondi ricevuti da bandi. Oggi fornisce servizi utili per riprendere confidenza con la vita di tutti i giorni. Docce, possibilità di conservare i documenti, spazi comuni condivisi, orientamento al lavoro, uno spazio dove dormire, pasti garantiti purché si rispettino gli orari. I servizi cercano di dare una risposta pratica alla povertà materiale e alla solitudine di chi vive in strada. «Con l’accoglienza diurna – spiega Shedid – possiamo accogliere fino a 28 ospiti, 12 invece per l’accoglienza notturna. Ma la cosa importante è offrire loro dei momenti di confronto che somiglino alla vita che facevano prima, alla vita che non si ricordano più ma di cui è giusto che si riapproprino». «Gli ospiti non sono solo i senza fissa dimora, ma anche tutte quelle persone che sono state messe in ginocchio dalla crisi. – continua Schedid mostrando i locali interessati, quasi duecento metri quadri con cucina, docce, posti letto e sala comune – Proviamo a stimolarli dandogli un posto dove lavarsi, posare le loro cose, usare internet e, soprattutto, dialogare tra loro e partecipare a laboratori creativi e pratici».

Nel 2005 questa esperienza ha dato vita all’Osservatorio Nazionale sul Disagio e la Solidarietà nelle stazioni. In collaborazione con le Ferrovie dello stato, l’Anci e la cooperativa Sociale Europe Consulting, sono stati messi a disposizione spazi in comodato d’uso gratuito per realizzare iniziative di promozione ed inclusione sociale. Il progetto si è sviluppato nelle stazioni di molte città. «Le stazioni sono da sempre i luoghi della povertà – ragiona Shedid – ma si tratta di una povertà raccontata sotto forma di buste di plastica, di panini schiacciati sul marciapiede, di ubriachi e di clochard. Una povertà che suscita nei passanti un senso di lontananza e nelle istituzioni la preoccupazione del decoro. Noi cerchiamo di ribaltare questa visione, creare strutture compatibili alla vivibilità delle stazioni e, al contempo, a misura di persona, a misura di dignità».

Era il 2006 Dall’idea di lavorare con le persone vulnerabili è nato un nuovo strumento di comunicazione: un giornale di strada scritto e pensato dagli ospiti in collaborazione con gli operatori. Era Shaker. Oggi è un trimestrale cartaceo, distribuito gratuitamente alle organizzazioni che si occupano di sociale nella città di Roma. Lo si può trovare nelle biblioteche comunali, negli uffici delle relazioni pubbliche dei Municipi, nelle edicole e nelle librerie della Stazione Termini. Raccoglie storie di diritti negati o affermati, di riscatto e di tutte le tematiche di ampio respiro, che porta avanti l’idea che la creatività debba essere una delle basi per un percorso di reinserimento sociale. Gli ospiti sono autori degli articoli. Per loro è l’occasione di reinventarsi e uscire dall’isolamento.

Centinaia di copie di Shaker saranno distribuite dai redattori domani alla manifestazione della Rete dei numeri pari in piazza Don Bosco. Si mangerà in piazza con artisti, cooperative, parrocchie, movimenti per la casa, anti-mafia e contro la violenza sulle donne fino alle 20. La manifestazione si terrà in contemporanea in altre trenta città. La copertina del numero raffigura M., un ex galeotto che è diventato uno dei redattori del giornale: «È un’occasione meravigliosa – racconta M. – per portare le nostre storie e le nostre idee dinanzi alla comunità e smettere di essere invisibili. Esistiamo e abbiamo una dignità».

All’interno è contenuto un approfondimento sul «reddito di inclusione», la misura varata dal governo Gentiloni contro la «povertà assoluta», giudicata insufficiente perché rivolta solo a 660 mila famiglie, mentre il numero complessivo delle famiglie in questa condizione è di 1,8 milioni, pari a 4,6 milioni di cittadini. Senza contare i poveri «relativi»: otto milioni 465mila individui, 2 milioni 734mila famiglie che per l’Istat che spendono per consumi cifre pari o inferiori alla media dei consumi pro-capite.

Sono le famiglie giovani ad essere colpite di più dalla povertà «relativa». Dai dati risulta che il membro di riferimento ha meno di 35 anni (il 14,6%). Si dimezza al 7,9% nel caso degli ultra-sessanquattrenni. Per questi : giovani, precari, lavoratori poveri non è prevista alcuna misura di sostegno universalistico. Il «reddito di inclusione» sembra più simile a una «poor law» di fine Ottocento che ad una moderna legge sul reddito minimo, tra l’altro richiesta dall’Europa dal lontano 1992 e previsto dall’articolo 34 della Carta di Nizza.

Il reddito «di inclusione» scatterà dal primo gennaio del 2018, e consiste in un assegno mensile da 190 fino a 485 euro per un massimo di 18 mesi. Saranno avvantaggiate le famiglie con almeno un figlio minorenne, quelle con un figlio con disabilità; con una donna in stato di gravidanza; con una persona di 55 anni o più in condizione di disoccupazione. Il sostegno sarà erogato solo se il beneficiario aderirà a un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa. Se non lo farà perderà il «Rei».

MARTINA DI PIRRO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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