Meglio conquistare la società

Ottobre rosso. Abbbiamo bisogno di una nuova dialettica movimenti/partito. Il mondo è molto cambiato, esistono tante istanze diverse, non si può ridurre tutto ad uno, ma questo non si significa che il problema della strategia ce lo si possa mettere alle spalle. Una società che non solo protesta ma anche costruisce: c’è bisogno di forme di organizzazione permanenti della democrazia
La presa del Palazzo d'Inverno, sede del governo provvisorio di Kerenskij

Intervento al Forum Internazionale «Ottobre, rivoluzione, futuro», Mosca 5 novembre 2017

Inizio ponendomi una domanda: quali sono ora, a cento anni esatti dalla rottura bolscevica, i compiti di una/un militante comunista occidentale nella sua attività giorno per giorno?

E quale è il soggetto non solo puramente politico ma sociale, che può svolgere un ruolo rivoluzionario? La classe proletaria, ciò che eravamo abituati a pensare come soggetto, non esiste più nelle forme che conoscevamo.

Quella classe è stata sconfitta, è stata frantumata socialmente, economicamente, culturalmente. È geograficamente dispersa, i contratti collettivi sono sempre più sostituiti da quelli individuali. Contratti individuali attraverso i quali il lavoratore ha l’illusione di svolgere una attività autonoma e libera. L’individualismo ormai la fa da padrone dovunque. Come ricomporre quel soggetto sociale è un compito dei comunisti.

In secondo luogo credo dobbiamo riflettere sullo sviluppo delle forze produttive che non svolgono più un ruolo progressivo. Ve lo ricordate «il grande becchino» del capitalismo? Vi informo che non esiste più. Noi dobbiamo ricomporlo. Ma come fare? Voi conoscete la risposta che è stata data a questa domanda da Toni Negri e Michael Hardt.

È quella del general intellect, dei collettivi di lavoro che possono produrre nuovi spazi di liberazione e che svilupperebbero gradualmente dei soggetti anticapitalisti. Io penso che i processi di ricomposizione invece saranno molto meno spontanei, anche di come li immaginavamo nel passato. Dobbiamo lavorare di più sul progetto complessivo.

Diciamo spesso «siamo il 99% dell’umanità», ma come mai questa assoluta maggioranza non incide come dovrebbe? Ecco questo è il nostro problema: come progettare un mondo diverso.

I parlamenti ormai non decidono più nulla. La privatizzazione che abbiamo conosciuto in questi anni non è stata solo la privatizzazione dei servizi sociali o delle risorse ma anche quella del potere legislativo. Le decisioni più importanti non vengono più prese nei parlamenti ma sorgono da un accordi tra le grandi holding transnazionali che controllano i mercati globali e queste decisioni incidono sulle nostre vite molto di più di qualsiasi parlamento. Dove si trova oggi il Palazzo d’Inverno? Esiste ancora? È veramente difficile dirlo quando le decisioni sono prese molto lontano da noi.

Questo ci rimanda alla questione del partito, perché noi abbiamo bisogno di un partito. Le critiche che sono state fatte alla struttura partito da parte dei giovani sono importanti. Anche il migliore dei partiti è portato solo ad autolegittimarsi politicamente, ignorando le istanze dei movimenti.

Noi abbiamo bisogno di una nuova dialettica movimenti/partito. Il mondo è molto cambiato, esistono tante istanze diverse, non si può ridurre tutto ad uno, ma questo non si significa che il problema della strategia ce lo si possa mettere alle spalle.

Una società che non solo protesta ma anche costruisce, in questo senso credo che il ruolo dei movimenti sia stato sovrastimato. C’è bisogno di forme di organizzazione permanenti della democrazia. La democrazia non è andare a votare questo o quello ogni quattro anni ma la gestione della società.

Il superamento di questo sistema è un processo lungo che non può essere solo la conquista del potere politico, la «conquista della società» è assai più importante. La socialdemocrazia e il comunismo hanno condiviso la stessa cultura, la cultura dello statismo, l’idea della centralità della presa del potere politico. In questo orizzonte io credo che si riproponga ancora una volta quella che Gramsci chiamava la «conquista delle case matte».

E questo ci riporta al Lenin di Stato e rivoluzione in cui da una parte il rivoluzionario russo studia il problema dello Stato e della sua estinzione e dall’altro si pone il problema della costruzione nella società una nuova democrazia organizzata, quella dei soviet. I soviet o gli stessi consigli nella visione gramsciana non sono solo gli organizzatori dell’insurrezione ma anche strutture che iniziano a operare per la riappropriazione cosciente delle funzioni svolte dalla burocrazia statale, per la gestione sociale.

So che tutto ciò è difficile ma ciò potrà impedire che si imponga ancora una volta una società autoritaria, un potere separato dalla società.

Se non costruiremo nella società una democrazia reale, quello che abbiamo conosciuto nel passato rischierà di ripresentarsi.

LUCIANA CASTELLINA

da il manifesto.it

foto tratta da Wikimedia commons

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Il novecento

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