Vita di Galileo

Il cielo è scuro, come la notte, freddo come la solitudine, impenetrabile come il silenzio. Non c’è, a ben guardarlo, nel raffrontarlo alla Luna, ed alla Terra. Non c’è,...
Galileo Galilei

Il cielo è scuro, come la notte, freddo come la solitudine, impenetrabile come il silenzio. Non c’è, a ben guardarlo, nel raffrontarlo alla Luna, ed alla Terra. Non c’è, non esiste. Eppure la luce si rifrange, si frappone fra i corpi celesti, passa nel cannocchiale, arriva all’occhio. Che la vede.

Ed è lì che sta tutta la vicenda umana, tutta la tragicità della vita, dell’esistenza: alla ricerca di una qualunque luce, di un qualunque spiraglio di chiarore che trapassi le tenebre e che separi l’assoluto e lo renda relativo.

Per lo meno, che lo faccia diventare qualcosa che somigli al grigiastro della terra selenica; che ne attenui quell’invisibilità manifesta che sta nel nero più nero del nero. Oltre il misticismo di una penombra che lascia carezzarsi e permette di ipotizzare che, sì, c’è una speranza. Anche per chi ha abiurato e lo ha fatto per salvare la scienza, per proteggere il sapere in forma di espressione veritiera.

La Luna di Galileo è quella di Brecht, e viceversa. La Terra invece no, ma poco importa che trecento anni separino le vite dell’uno e dell’altro. Il grande scrittore tedesco, esule e ramingo come un cavaliere errante, manda messaggi alla Germania del Terzo Reich. Soprattutto a coloro che, obbligati a sottostare al terrore nazista, non hanno rinunciato a pensare, evitando di “lavorare incontro al Führer” sempre e comunque, e si sono concessi quello che sembra un lusso: la libertà di coscienza.

Brecht dice loro, attraverso Galileo: mostratevi condiscendenti, rimanete fieramente oppositori dentro di voi e tra voi. In qualunque modo sia possibile.

La totalizzante asfissia hitleriana è la negazione di qualunque spazio di agibilità critica. Eppure nessuna resistenza è completamente soggiogabile, eliminabile e decostruibile fin dentro l’ancestralità umana. Rimane pur sempre un granellino di ribellione, di rigurgito orgoglioso cartesiano: io penso, dunque sono. E non solo ontologicamente.

Io penso, sono e sono quel “io” perché la penso differentemente e singolarmente, pur affiancando il mio pensiero a quello di tanti altri. La solitudine della scoperta di una verità oggettiva fa ancora più male se questa contraddice un intero mondo di convinzioni e di tradizioni che sono accettate perché, altrimenti, senza queste crollerebbe tutto un millenario e mezzo racconto sull’origine del mondo e sulla fisionomia del cosiddetto “creato“.

Vale per lo scienziato astronomo e le sue macchie solari. Vale per Giordano Bruno e il suo uomo al centro dell’universo. Vale per Brecht e il suo antinazismo al centro di un umanesimo marxiano che non ha cittadinanza nella Germania di Adolf Hitler.

Le stesure del dramma “Vita di Galileo (“Leben des Galilei“)” (Einaudi, 1955) corrispondono esattamente a tre periodi della vita del poeta, scrittore e drammaturgo tedesco. Si potrebbe azzardare anche qui quello che alcuni critici hanno, del resto, già affermato in recensioni e saggi che hanno dato risalto continuo ad uno dei pezzi di teatro più celebri di Bertolt Brecht.

E cioè, si potrebbe osare un accostamento psicoanalitico-storico, quasi esistenziale tra la vita di questo Galileo e quella del suo autore.

Dalla lettura attenta e, ovviamente, dalla visione in palcoscenico dell’opera brechtiana (con tutti gli adattamenti che se ne possono fare e di cui va tenuto conto), appare una recitazione nella recitazione, un’esistenza nell’esistenza: Brecht come lo scienziato seicentesco, bistrattato, vilipeso, deriso, bruciato non sul rogo come Bruno ma sulle pire di volumi che il nazionalsocialismo bolla come sconci e illeggibili.

I tormenti di Galileo, dunque, sono anche quelli del suo autore e interprete, attorniato da amici ed estimatori (tra tutti Andrea Sarti e frate Fulgenzio, ma costretto al ripiego, alla fuga per poter esistere, resistere e insistere in una giusta diffamazione del potere terroristico del Terzo Reich, incapace per natura di un pluralismo che zoppica, tuttavia, anche nelle democrazie.

L’abiura di Galileo («Al massimo, al massimo, lo si porti davanti agli strumenti [di tortura]» sentenzia Urbano VIII all’inquisitore) è la sconfitta dell’uomo ma non dello scienziato che vive, rivive e trasvola oltre le Alpi nei suoi manoscritti più celebri: i “Discorsi sulle scienze“.

La Chiesa del ‘600 è in preda al panico: la contrapposizione storica tra papato e impero; la Riforma protestante che dilaga a macchia d’olio in Europa; matematici ed astronomi che mettono da parte Tolomeo ed Aristotele per sostenere le tesi di Keplero e Galielo.

E’ un po’ la cultura ad essere sotto attacco: da parte del tradizionalismo dogmatico, fatto di una oggettività trasudante aporia e misticismo al tempo stesso, e da parte anche di un tentativo di compromesso tra la sacralità della parola divina della Bibbia e la dimostrazione scientifica. Fede e ragione si mettono in arcione e fanno giri di giostra molto poco moderni, ma decisamente innovativi nella riproposizione di una dialettica tutt’altro che scontata.

Galileo vive tra le sue carte, le lenti del cannocchiale, le stanze della Venezia aperta alle scoperte per averne vantaggi commerciali ed economici, dai tratti già un po’ talasso-imperialisti, e il grigiore di una Curia romana che rifiuta di dichiarare l’eresia della tavola pitagorica ma che non può lasciare campo libero alla teoria eliocentrica e al moto terrestre.

La Terra deve essere al centro dell’Universo, perché altrimenti la centralità divina e quindi della Chiesa cattolica apostolica romana verrebbe irrimediabilmente compromessa.

E’ la visione apocalittica di un clero a cui importa poco della verità, della dimostrazione, dell’aposteriorismo: per sopravvivere e rinascere, dentro il contesto scismatico della Riforma e della reazione della Controriforma. Il mondo è in larga parte ancora sconosciuto, eppure ci si proietta nel cosmo, si guarda oltre il piano ricurvo terrestre e si costringono a farlo anche i più recalcitranti.

Le fasi di Venere diventano argomento di discussione persino nelle botteghe di Firenze, nelle taverne. La peste impazza mentre Galileo non si dà per vinto: deve dimostrare a quegli sciocchi che le sue non sono solamente teorie. La sfida è tra cecità e meravigliosa visione del futuro, tra l’inerzia e le grandi potenzialità umane sul fronte della conoscenza che si implementa da sola, ricca di dubbi ma soprattutto ricchissima di sperimentazioni.

Il metodo scientifico sorge come una rivoluzione. Il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo“, che mette da parte le tesi del danese Tycho Brahe, è assolutamente il testo che più di tutti intimorisce la Chiesa.  Galileo fa dire a Simplicio:

«Questo modo di filosofare tende alla sovversion di tutta la filosofia naturale, ed al disordinare e mettere in conquasso il cielo e la Terra e tutto l’universo».

Non si vuole nascondere e sfidare nulla: soltanto affermare quello che è provabile mediante l’osservazione, lo studio e la dimostrazione. Ma è troppo per il Cinquecento e il Seicento. E’ troppo per un potere che si sente già disarcionare e che, purtroppo, si sottovaluta ampiamente. Oggi diremmo che la “capacità resiliente” della Chiesa è enorme e, indubbiamente, una delle più resistenti nella sua malleabilità, nel suo sapersi formare ai nuovi tempi senza uniformarsene completamente.

Anzi. Il condizionamento etico-religioso continuerà ad essere imperterritamente atteso dalle grandi masse, accettato dai governi e dalle corti di tutto il mondo conosciuto come interscambio tra plauso divino alle dinastie regnanti. Un consenso che solo l’intermediazione terrena della Chiesa permette di avere e di cui potersi quindi fregiare ufficialmente. “Per grazia di Dio e volontà della Nazione” sarà tardo ottocentesca di nobilità regale e imperiale. Nell’assolutismo dei tempi galileiani, i sovrani sono quasi diretti discendenti del mistero religioso.

Qualcuno tenterà persino di arrivare a descriversi come direttamente parente di Davide… Galileo è tutto immerso nei suoi studi, non ha tempo per questioni meramente politiche. Eppure le segue da vicino. Non fosse altro perché si circonda ed è circondato dai potenti dell’epoca, dai più eminenti studiosi, dai più solenni magistrati e dignitari.

Finiscono per dargli l’epiteto di “ammazza-Bibbia“. Il processo allo scienziato durerà per secoli. La Chiesa lo riabiliterà dopo quasi quattro secoli: il 31 ottobre 1992, cancellando la condanna inflittagli dal Santo Uffizio presieduto dal potentissimo cardinale Bellarmino.

Condanna e abiura non impediranno alla scienza di fare i suoi progressi. Lo richiederà soprattutto un’economia in pieno sviluppo. Brecht ne fa cenno quando dà la parola a mastro Vanni:

«…noi artieri teniamo dalla vostra. Io dei moti delle stelle non me n’intendo molto; ma per me voi siete l’uomo che difende la libertà d’imparare cose nuove. Per esempio, quel coltivatore meccanico che hanno in Germania e che voi mi avete descritto… E a Londra, solo in quest’ultimo anno, sono stati pubblicati cinque volumi di agricoltura. Potessimo almeno trovare un libro che ci parlasse dei canali d’Olanda!».

Vita di Galileo” è, anche per questo, una proposizione critica del progresso scientifico: ovviamente sta dalla sua parte, ma ricorda al lettore e allo spettatore che sarà proprio l’economia dominante a condizionarlo e a farne uno strumento, molto spesso, nelle mani del potere, per dare seguito a nuove tecniche di guerra, di espansione a discapito dei popoli più deboli, di rafforzamento degli imperi coloniali.

La vita dello scienziato si trova a fare i conti con tutte queste problematiche e a non saperne uscire se non sempre e soltanto tramite una immersione totale nello studio, come catarsi, come lavacro di sopravvivenza, per sentirsi meno colpevole davanti alla Storia, all’umanità e forse anche davanti a Dio.

Brecht venne criticato – questa volta letterariamente e in particolare sul piano scientifico – per essere apparso troppo poco indulgente verso l’abiura di Galileo, per averla quasi condivisa. Sarà lo stesso autore a risolvere la speciosa questione, un vero e proprio dibattito ozioso e privo di un acume:

«Galileo arricchì l’astronomia e la fisica, nello stesso tempo in cui le svuotò di gran parte del loro significato sociale. […] Il misfatto di Galileo può essere considerato il “peccato originale” delle scienze naturali moderne. Della moderna astronomia, che interessava profondamente una nuova classe, la borghesia, perché appoggiava le correnti sociali rivoluzionarie dell’epoca».

Da marxista, Brecht legge nell’affermazione del metodo scientifico un progresso molto avanti dall’essere patrimonio dell’intera umanità, se non per quel che proprio la classe borghese consentirà. Nel nascente capitalismo primordialissimo di allora, inizierà ad essere diffuso ciò che sarà utile al consolidamento del potere delle classi dirigenti e non quello che sarà conveniente all’intera umanità, ai popoli tutti.

Ma questo prescinde dall’abiura di Galileo, dalla sua condanna da parte della Chiesa, dal suo cedimento umano. Mentre sarebbe improprio ritenere responsabile il Galilei di tutto quello che la scienza produrrà – dentro il sistema delle merci, dei profitti e dello sfruttamento – fino ad arrivare all’atomica e alle soglie dell’autodistruzione umana.

Sarebbe come ritenere responsabile Federico il Grande di Prussia (di cui abbiamo parlato nelle settimane scorse proprio in questa rubrica, illustrando il saggio scritto da Alessandro Barbero) del movimento pangermanico, nazionalista e antisemita che involverà nell’affermazione dell’NSDAP di Adolf Hitler e nei dodici anni di crimini contro i tedeschi, contro l’umanità.

I grandi della Storia, a volte, vengono presi a prestito come esempi positivi e come alibi per le catastrofi dei secoli a loro successivi. Niente di più revisionistico di questo potrebbe essere possibile. Per Federico e per Galileo. Sul piano politico e su quello scientifico. Così come su quello culturale in senso molto generale.

Galileo e Brecht si somigliano in quest’opera teatrale e ci somigliano un po’ se vogliamo attingere, nonostante tutti i rivolgimenti di questi decenni, alla parte migliore della cultura europea: disinteressata al potere, tutta addentro alla straordinaria sincerità dello studio e di una comune flagellazione delle proprie coscienze. Per non cadere nell’errore di considerarsi senza errore, senza possibilità di sbaglio.

VITA DI GALILEO
BERTOLT BRECHT
EINAUDI
€ 12,00

MARCO SFERINI

31 maggio 2023

foto: particolare del ritratto di Justus Sustermans – Portrait of Galileo Galilei (Uffizi – Firenze), tratto da Wikipedia

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