Vi racconto come lavora un rider (e non solo d’estate)…

Costretta a fare marcia indietro. Glovo non ha retto alle tante proteste e critiche che le sono piovute addosso dopo aver proposto un piccolissimo “incentivo” (le virgolette sono davvero...

Costretta a fare marcia indietro. Glovo non ha retto alle tante proteste e critiche che le sono piovute addosso dopo aver proposto un piccolissimo “incentivo” (le virgolette sono davvero ultra necessarie!) per i propri riders: quelli che nella pubblicità sono prodotto dell’intelligenza artificiale e sorridono sempre mentre sono in bicicletta o in moto e fanno le più disparate consegne. Quelli che, invece, quando girano per le vie, le piazze e le strade più collinari delle nostre città sono affaticati, stanchi, stremati dal freddo in inverno e dal torrido caldo in estate.

Il messaggio di Glovo suonava rassicurante, quasi paterno o materno che dire si voglia. Leggiamolo: «Ciao, l’aumento delle temperature ci impone di prestare particolare attenzione a chi lavora all’aperto. (…) La tua sicurezza è la nostra priorità. Sappiamo che l’emergenza calore in corso possa comportare costi imprevisti per proteggerti. Per questo motivo, se effettuerai consegne con Glovo nei mesi di luglio e agosto, avrai diritto a un contributo economico per l’acquisto di crema solare, sali minerali e acqua».

Fatto salvo che la priorità di qualunque azienda è il profitto, poniamo anche che a pari merito vi si possa anche mettere la buona fede di Glovo nel tutelare i propri dipendenti… Ma, vivaddio, quando ci sono più di trentadue gradi all’ombra e trentaquattro al sole, sfidiamo qualunque dirigente dell’azienda a mettersi in pantaloncini corti e maglietta, cubo giallo in spalla e via a portare la merce che si ritira tanto dai ristoranti quanto dai supermercati o da altri negozi, per poi sapere da lui se gli viene voglia di sorridere come nella pubblicità o se ci si sente protetti dall’azienda stessa che ha a cuore il benessere dei riders.

Il messaggino continuava… «Per una temperatura compresa fra i 32 °C e i 36 °C riceverai un bonus del 2%, per una temperatura compresa fra i 36 °C e i 40 °C riceverai un bonus del 4%, per una temperatura superiore a 40 °C riceverai un bonus dell’8%». E qui peggio ci si sente… Il bonus citato, tanto per fare un esempio, prevedeva quindi, per una consegna pagata al rider 2,50 euro (con una temperatura di 40°), 20 centesimi in più del consueto… Si può rischiare un colpo di calore, un infarto che fa stramazzare al suolo con bici e zaino per una miseria di questo genere?

Inoltre, siccome il pagamento dei tanto lauti bonus sarebbe avvenuto con la fatturazione settembrina, di questo surplus i lavoratori non avrebbero potuto usufruire per pagarsi le creme solari, i sali minerali e l’acqua necessari a luglio ed agosto… Non è una novità che quello del rider sia un lavoro pressoché vicino allo schiavismo più modernamente inteso. Il meccanismo vale per tutte le aziende che fanno consegne a domicilio. Da un po’ di tempo lavoro anche io come fattorino, in attesa di riuscire a trovare qualcosa di veramente meglio…

Provo a raccontarvi la serata classica di un rider, anche se vi sono delle variabili ma, purtroppo, sempre peggiorative e mai migliorative rispetto ai racconti che si leggono e si vivono in prima persona dalla voce dei propri colleghi. Io inizio a lavorare intorno alle 18.30 e faccio tre ore circa: quindi termino, minuto più minuto meno intorno alle 21.30. Alcune volte, se l’ultima consegna è molto lontana da casa, finisco anche più tardi, verso le 21.45/22.00. Questo quarto d’ora di tempo in più sostanzialmente equivale a due euro circa.

Poniamo che si guadagni (come capita sovente) circa otto/nove euro all’ora. Per chi non è in regime di Partita IVA, come il sottoscritto, e quindi deve stare sotto i 5.000 euro annui di “guadagno“, c’è una ritenuta d’acconto del 20%. Ergo, quando alla sera vedi sul tuo telefonino che hai fatto 40 euro, in realtà sono 32 “puliti“. E poi, mica tanto puliti, perché la benzina, se vai a fare le consegne in moto come me, te la paghi proprio tutta.

Allora devi anche inventarti dei percorsi alternativi rispetto a quelli che il navigatore ti indica, unendo il risparmio di qualche centesimo di benzina a magari qualche buca in meno per strada, così da non arrivare a casa con la schiena a pezzi. Dopo i primi mesi non ti abitui certamente a dossi, fossi e quant’altro, ma impari a “mapparli” e quindi, istintivamente, fai delle gimkane che ti fanno sembrare ubriaco al volante; invece stasi solo evitando di ballare sull’asfalto.

Qualcuno mi ha giustamente detto che, però, incassiamo di più grazie alle mance. Certo, qualcosa sì. Quelle date dei clienti tramite le app del telefono sono ugualmente tassate al 20%. Quindi se regalate un euro al rider mediante click internettiano, in realtà gli state dando 80 centesimi… Solo le mance date a brevi manu sono quindi intere e piene. Non sempre, poi, la richiesta è alta e, quindi, gli ordini arrivano uno dopo l’altro. Succede che la stessa si “media” o “bassa” e, pertanto, vi siano molti tempi morti. In questi casi, come non mai, il tempo è davvero denaro.

Solitamente le piattaforme gestiscono gli ordini assegnandoli al rider più vicino e capita che, se vi sono due consegne nello stesso quartiere o, addirittura, nello stesso stabile, un rider se ne veda proporre due. A me è successo che ne proponessero anche tre… Io lavoro con la borsa più piccola e non con lo zaino a cubo: ormai so cosa posso e cosa non posso portare in quanto a volume. Due ordini potrei anche evaderli facilmente, ma per rispetto agli altri colleghi, solitamente rifiuto. Così si alza un po’ il pagamento e lavora di più anche qualcun altro.

Il sistema è congeniato per creare, all’insaputa dei riders stessi, una forma di competizione che spinge ad accettare anche per pochi euro un secondo ordine, vellicando ovviamente l’istintiva voglia di fare più guadagno per sé stessi. Ecco cosa accade: sei sulla tua moto e ti arriva un ordine. Ti fermi, guardi di cosa si tratta, dove devi andare a consegnarlo. La schermata non ti dice se il cliente ti darà una mancia. Ti dice soltanto dove ritirare e dove consegnare. Fai rapidamente un calcolo: almeno 1 euro ogni due chilometri, contando andata e ritorno. Succede che per consegnare due panini si fanno anche venti chilometri in tutto…

Dopo aver verificato le coordinate dell’ordine, se ti sembra che sia pagato sufficientemente, lo accetti. Sei lì che stai per ripartire ed andare al ristorante o alla burgheria di turno e ti arriva un secondo messaggio. Lo vuoi consegnare un ordine in più con 1 euro (giuro!) di aggiunta al prezzo precedentemente pagato dall’azienda? Nemmeno se fosse nello stesso condominio si accetta! E nemmeno se fossero 2 euro. Noi non possiamo diventare così autolesionisti da farci sfruttare fino a questo punto e dal diventare complici di questo sistema esoso all’ennesima potenza. Dopo due ore così, almeno ora in estate, cerchi una fontanella e trovi un po’ di refrigerio.

Il caldo rimane a quota alta fino alle otto di sera, poi inizia, per lo meno vicino al mare, a sentirsi una tiepida, lieve brezza. Il casco ti pesa sulla testa, le gambe sono ancora più calde del resto del corpo perché sono accanto al motore dello scooter e alla marmitta… Se hai tempi morti, puoi anche cercare un po’ di ombra, ma devi comunque stare nella zona che noi riders chiamiamo “degli esagoni“, ossia dei ristoranti segnalati attivi con, appunto, delle forme esagonali di colori differenti a seconda del tipo di richiesta (alta, media, bassa).

L’altro giorno mi è accaduto di andare a prendere da una nota catena di supermercati una spesa piuttosto voluminosa. Avrei potuto rifiutare l’ordine, ma era pagato bene per essere una consegna cittadina. Così, ho messo un sacchetto nel vano sella, uno nella borsa (quello con generi alimentari che potevano deteriorarsi a causa del caldo) e un altro l’ho messo accanto alla stessa sulla pedana della moto. Sono arrivato nel quartiere più “in” della mia città e ho portato il tutto ad una signora molto elegante, presso una bella villetta con giardino e fontana zampillante al suo interno. Non ha dato nemmeno cinquanta centesimi di mancia…

Non è uno stereotipo del ricco, è la realtà. Accade sovente. Pare un cliché classista, ma è invece un dato di fatto. Alcuni mesi fa invece, iniziata la primavera, vado a prendere un ordine piccolo piccolo: un panino con un cartoccetto di patatine e un’acqua gasata. L’indirizzo dove devo consegnare non ha un civico: c’è scritto “vicino alla tabaccheria” nella tale via e una nota: “aspetto in strada“. Quando arrivo trovo accucciata in terra una donna anziana, circa settant’anni… Ha un carrello della spesa pieno di coperte e di altre cose che usa per dormire all’addiaccio.

Le chiedo: «È per lei la consegna?». Mi fa cenno di sì, prende il pacchetto e allunga una mano: «Per te», mi dice. E prova a darmi un euro. Provando a non offenderla, mi viene una frase lì per lì… «Grazie, ma ho superato la quota di mance che posso prendere…». Così posso rifiutare quella moneta che certamente a lei serviva più che a me. Ecco, a fare il rider ti imbatti anche in questo: nel lusso sfrenato di chi non ti dà un centesimo, nella generosità del più povero e dimenticato dalla società che invece sente di doverti dare qualcosa per il servizio che gli hai fatto e che, comunque, ha pagato.

Quando qualcuno mi domanda perché sono comunista, ancora oggi, nella “modernità” del 2025, la mia risposta è anche questo racconto… Che parla di me, ma che, soprattutto, parla di tanti colleghi che non hanno i miei “privilegi” di cittadino italiano e che fanno questo lavoro subendo anche maltrattamenti, discriminazioni e devono pure tacere, subire… Ci sono alcune persone che quando vedono arrivare alla loro porta un italiano sorridono e danno anche del lei (si vede che non sono più un ventenne!). A chi ha la pelle scura o i tratti di una cosiddetta estraneità all’italianità (Come asserisce qualche ex graduato che ama la guerra sopra tutto), si dà quasi istintivamente un razzistico “tu“.

Sono convinto che la maggior parte di chi lo fa, lo fa appunto senza pensarci. Ma forse è ancora peggio… Perché dovremmo invece pensare di più, parlare un po’ meno e stare molto meno sui social a dire sempre la nostra su tutto e su tutti, esibendoci in un edonismo che è veramente insopportabile e che ci sta distruggendo quel poco di empatia che era rimasta dentro il grande vuoto egoistico ed egotico di questi tempi moderni.

Questo è il mondo delle comodità per chi ha la possibilità di permettersele. Ed è (anche) il mondo dell’indolenza, dell’essere serviti sempre e comunque. Ma a voi pare ragionevole abitare a dieci chilometri da un ristorante, ordinare a quel locale due panini e farseli portare da un cristo che in bicicletta o in moto si fa, magari tra pioggia, vento o sole che spacca la testa prende poi, per quella consegna, cinque miseri euro dopo venti chilometri di strada? Vogliamo soddisfare tanto le nostre voglie da non saper limitare i danni che provocano. Per prima l’industria della carne, dei grandi allevamenti animali.

Il caldo di questi giorni è pure figlio delle emissioni di gas che provengono da quei grandissimi lager che sono i capannoni dove stanno sepolti vivi, tra sofferenze atroci, polli, conigli, mucche, galline, maiali. I pesci, poi… Non possono nemmeno far sentire il loro lamento di dolore quando si feriscono a centinaia nella vasche dove vengono allevati. Ne sopravvive la metà in un processo di produzione ittica che è altrettanto devastante per i mari, per gli oceani.

Sfruttiamo noi stessi e sfruttiamo il resto del mondo. Ecco perché ero, sono e sarà ancora comunista. Ma libertario e, da un po’ di anni a questa parte, anche antispescita. Un comunismo che libera solo gli esseri umani dalla schiavitù del profitto è un comunismo parziale, a metà. O la liberazione è per tutti gli esseri viventi, tolti dal gioco dell’antropocentrismo, o ci sarà sempre chi sfrutta (la specie umana) e chi è sfruttato (tutti gli altri animali non umani).

E con questa considerazione, vi ringrazio per aver letto queste righe e vi ringrazio soprattutto se sarete stimolati a riflettere su qualcuno dei temi trattati per cambiare un po’ le abitudini che diamo per scontate e, quindi, anche per buone.

MARCO SFERINI

4 luglio 2025

foto: screenshot ed elaborazione propria

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