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Uno, nessuno e centomila

Il mascheramento non è un semplice occultamento di ciò che dietro alla stessa maschera c’è. Sarebbe fin troppo facile fare di questa il premio della fuga dalla realtà mediante il celarsi, il nascondersi, il rimettersi ad un grigiore ombroso che, nonostante tutto, lascia agli occhi la possibilità di guardare comunque nel mondo e di riportarlo, in ogni caso, ad una attenzione singolare, che ci riguarda, e che, quindi, non è un perfetto estraniamento dal resto che ci circonda.

Anche la maschera, proprio come il volto che le sta sotto, può avere la nostra interpretazione, quella di altre centomila persone che la osservano e, infine, nessuna nella ricerca di un annullamento delle molteplici identità che, essendo tutte, alla fine sono proprio alcuna. Si può quindi sfuggire alla riconoscibilità particolare che ci fa sembrare e non essere quel che pensavamo invece proprio di essere? All’Augusto morente in Nola, sono attribuite dagli storici che ne hanno descritto l’esistenza e la fine queste parole: «Ho interpretato bene la mia parte?». Intendeva nella tragicommedia dell’assurdo che è la vita.

Si fece fare un ultimo applauso e poi volò verso i Campi Elisi. Ma la risposta a quella domanda la si può dare ormai solo più dal punto di vista storiografico. Nessuno sa davvero cosa voglia dire interpretare bene una parte nell’esistenza. Comportarsi rettamente? Fare ciò che noi vogliamo o ciò che gli altri si attendono che facciamo per loro e per la società? Non esiste una risposta univoca, certa, assoluta. Esistono, come per gli sguardi soggettivissimi che ci piombano addosso e ci fanno scoprire tante realtà oltre la nostra, numerosissime affermazioni di principio che, tuttavia, per quanto possano sembrare giuste non risolvono l’enigma.

Il Vitangelo Moscarda di Pirandello, in quello che è veramente un capolavoro di sintesi della visione dello scrittore riguardo la complessità dell’esistere e dell’essere in quanto autocoscienza di fronte a tante inconsapevolezze, ad una materialità delle cose che è padrona di noi stessi piuttosto che comprimaria della vita, nella sua totale inerzia (quella di un oggetto, per intenderci, così come quella di una natura che definiamo “morta“), monologa con il suo corrispettivo lettore e lo mette a parte di una realtà che è vera, che non è una immaginazione, ma che, piena di sfaccettature e di risvolti, è, alla fine, imprendibile.

Non è soltanto il tempo a rendere sfuggente l’esistenza, è questa stessa a non poter essere pienamente compresa come un qualcosa che veramente ci definisce in tutto e per tutto e che, quindi, restituisce agli altri di noi una immagine altrettanto veritiera di ciò che noi siamo, in quanto sintesi e al contempo creatori di sentimenti, emozioni, disagi, paure, fobie, ansie e coloriture varie degli stati d’animo che sono difficilmente oggettivizzabili e trasmissibili ai nostri simili (e dissimili) in un piano di piena comprensione, quindi di letterale condivisione.

Uno, nessuno e centomila” (Mondadori, collana “Oscar moderni”, 2016), ci rende un Pirandello che – come ha molto acutamente osservato Massimo Bontempelli in un discorso commemorativo di Pirandello nel 1937 (in pieno regime fascista) – è un'”anima candida“, indisponibile a vivere in una società supermodernista in cui vale solamente il possesso delle cose, l’oggettività imposta dal pragmatismo a tutti i costi e i cliché di personaggi che non intende scegliere ma «tirare su come con le reti» da un mare di indistinguibilità, di un caos che non è rigenerante ma avvilente e mortificante la vera essenza umana.

L’atipicità dell’uomo pirandelliano è la singolarità dell’individuo che non si separa dalla massa per non esistere, per farsi anacoreta quasi egotico, tutto rivolto sempre e soltanto a sé medesimo. Per nulla. Il Vitaliano che ci parla è uno che vuole essere alla fine “nessuno“, per riconoscersi in ciò che realmente è: colui che non può sapere chi si può essere fino in fondo. Lo ha paradigmato anche Freud nel suo lungo lavoro di introspezione psichica: l’IO in quanto conoscenza di sé stessi è una finzione diurna che tenta, sovente, nel SUPER IO di arginare la vera essenza che ci riguarda e che, non raramente, per potersi dispiegare entra necessariamente in contraddizione con le pulsioni del mondo esterno, con le convenzioni e i perfezionamenti necessari imposti, ad esempio, dalla morale.

Massimo Bontempelli

Scrive Bontempelli che Pirandello ha colto non l’essenza singolare dei suoi personaggi, ma li ha «presi come venivano e come stavano, ha mostrato di accettare le loro leggi, convenzioni, mediocri costumi, la loro abbandonata incapacità. La umanità del mondo pirandelliano è veramente “massa”». Ma, ammette sempre il nostro critico, questa è una parola che poco si addice alla profondità degli attori sulle scene dei racconti metaforici di un’esistenza che rischia di dissolversi nell’incomprensibile, perché il Vitangelo di turno smarrisce il suo posto nel mondo e si sente tanto poco singolare e unico da non comprendersi e, quindi, si perde in un caleidoscopio di rifrazioni speculari come in un castello magico, dove appunto tanti specchi deformano ciò che invece ha comunque una forma.

Il rischio di un’anarchia della condizione umana è reale per l’uomo moderno. Carlo Salinari lo evidenzia proprio parlando della cultura europea e del ruolo che Pirandello vi ha avuto: non si tratta però soltanto di un sentimento di esclusione da una società che anestetizza gli istinti e costringe all’irregimentazione coatta nell’uniformità, nell’uguaglianza perversa delle sembianze che soffoca e uccide la vera uguaglianza dei diritti sociali, civili nel nome della “morale superiore” (tipicamente fascistoide); semmai, al superomismo dannunziano Pirandello contrappone una consapevolezza di sé medesimi al di là dell’esaltazione messianica della missione antropocentrica, italica e romana.

C’è, soprattutto in “Uno, nessuno e centomila“, anche un aspetto che si coniuga perfettamente con la ricerca della comprensione esistenziale e di un ruolo nostro in questo “atomo opaco del male” (si parva licet citare Giovanni Pascoli in questo frangente…): ed è la Natura. Un rapporto di coesistenza, di simbiosi quasi con il circostante naturale è il rifugio non ultimo, ma certamente necessario per un riappropriarsi di sé medesimo da parte di Vitangelo. Più della casa, della famiglia, della sua banca, del suo rapporto con Anna Rosa, ha una ragione, un significato concretamente sentimentale (quindi con qualche flessione metafisicheggiante) l’ispirazione che lo porta a condividere la frondosità degli alberi, il veloce scorrere del vento…

C’era all’epoca di Pirandello, non di meno c’è anche oggi, mutatis mutandis, quella che Salinari chiama una “crisi dall’interno della società“. Questa internità si riferisce tanto alla nostra introspezione autoconsapevole quanto all’altro tipo di consapevolezza che concerne il nostro ineludibile rapporto con la realtà in cui ci troviamo di volta in volta. Qui fa capolino la mutevolezza continua degli eventi e, dunque, anche di noi stessi. Non siamo mai uguali a ciò che eravamo un istante prima e, quindi, paradossalmente, potremmo anche teorizzare una nostra non esistenza come IO in quanto affermazione certa e incontestabile di noi e del nostro essere quasi immutabile nel corso della vita.

Una delle peggiori affermazioni che possiamo fare per nuocerci e, quindi, veramente farci tanto male è: «Io mi conosco, io so chi sono». Apparentemente sì. Conosciamo le nostre reazioni ad azioni esterne, all’incontro con persone, cose, eventi. Ma trascuriamo quasi sempre di aggiungere che sappiamo come siamo solo in superficie e non sappiamo, se non vagamente, come agisce l’incognito dentro noi, il subconscio, quella ghianda che fa l’albero e che dentro di sé ha già tutte le caratteristiche dell’albero stesso. Ci preoccupiamo costantemente di avere una identità, mentre Vitangelo questa la decostruisce, la distrugge letteralmente e non vuole conoscersi, non vuole più sapere chi è secondo sé medesimo e secondo i centomila altri che lo osservano.

Si può solo essere allora “nessuno“? Il tentativo di Mattia Pascal, di estrinsecare dalla dialettica dell’umano una verità compiuta, una realtà concreta che lo riguardi, fallisce e lascia la narrativa verista in balia di onde che porteranno la barca del teatro e della prosa pirandelliana verso il romanzo che lo scrittore definirà come la sintesi di tutto ciò che c’era prima e la premessa di ciò che scriverà dopo. In “Uno, nessuno e centomila” c’è molta realtà, indubbiamente, ma vi è anche molta metafisica, molto trasporto oltre il materiale propriamente inteso come attaccamento ad una vita vista solo attraverso le lenti di una oggettività manifesta e impossibile da leggere altrimenti.

Luigi Pirandello

C’è nello sguardo di Vitangelo sull’esistenza il dramma dell’imperscrutabilità vera di un’esistenza che si muove incessantemente e che, quindi, proprio perché evolve e involve senza soluzione di continuità, non è di per sé stessa oggettivizzabile e capibile. Se un senso sfugge è perché il senso cambia continuamente e, dunque, non esiste una sola interpretazione di ciò che è: lo stesso tentativo che lui fa di spiegare la sua scelta di abbandonare la vita che faceva, la banca che aveva ereditato, liquidandola e gettando la famiglia e i soci paterni nella disperazione più nera, si risolve in un niente e, comprendendo la visione pirandelliana dell’esistenza, è facile affermare che non poteva non essere differentemente.

La Natura gli offre, invece, una inspiegabilità da accettare in quanto tale: di fronte al Grande Mistero dell’esistenza, non c’è che la rassegnazione agnostica che, pure, non fa venire meno la voglia di concedersi un dubbio critico, una supposizione sul qui ed ora e sul dopo-la-morte. Sentenzia Vitangelo, alla fine, di sentirsi «vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori». La parte di un tutto da cui non si è separabili, se non tramite le convenzioni solite, il perbenismo e la moralità come prefetti del pretorio di un imperatore dei sensi che è una società addomesticante gli istinti, ricondotti alla “ragionevolezza“, alle “opportunità“.

Qui nasce la frustrazione quotidiana dell’essere umano costretto a vivere e non libero di esprimersi nel vivere. Costretto ad essere altro da quello che potrebbe istintivamente essere. Gran parte dei disagi di ieri e di oggi sono il frutto di questa perversione ingenerosissima di un mondo che ci viene presentato come luogo di espressione piena di noi e che, invece, è l’ingessamento incasellante dei peggiori stereotipi, dei più subdoli pregiudizi, delle più devastanti conformità.

UNO, NESSUNO E CENTOMILA
LUIGI PIRANDELLO
MONDADORI, OSCAR MODERNI, 2016
€ 10,50

MARCO SFERINI

8 ottobre 2025

foto: particolare della copertina del libro / Bontempelli e Pirandello, tratte da Wikipedia


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