La maleducazione è una presenza costante nella vita quotidiana di ciascuno. E’ un insieme di microatti quotidiani, fastidiosi, ma che quasi mai producono danni irreparabili, in cui si oscilla tra il ritenerli indicatori di un malessere o della decadenza di una società o considerarli manifestazioni fisiologiche, a volte anche quasi simpatiche, che non debbono generare preoccupazione.
La maleducazione non riguarda solo le classi popolari, ma il plebeo che emerge è trasversalmente presente in ogni classe sociale e si diffonde grazie anche alle nuove possibilità di comunicazione. L’irrompere del populismo nello scenario pubblico, la fine delle grandi narrazioni progressiste e la scomparsa delle organizzazioni intermedie che fungevano da filtro e come educatrici, rappresentano l’intrusione di linguaggi e sistemi di valore ‘’liberati” ma maleducati, quando non nocivi a se stessi e agli altri.
Scrive Freud: «La parola civiltà designa la somma delle realizzazioni e degli ordinamenti che differenziano la nostra vita da quelli dei nostri progenitori animali e che servono a due scopi: a proteggere l’umanità dalla natura e a regolare le relazioni degli uomini tra loro». Ma dal momento che non esistono pranzi gratis, uno dei costi della civiltà è rappresentato dalla beneducazione, dall’obbligo di sottostare ad alcune norme di comportamento; la civiltà genera cioè dei limiti alla libertà e alla felicità originaria dell’essere umano. In questo senso la maleducazione quando è consapevolmente tale, è il tentativo più o meno razionalmente impostato, di ridurre i costi individuali e collettivi in un dato contesto storico.
La maleducazione, così come la beneducazione, è un indicatore che consente di collocare le persone all’interno dei gruppi sociali e racconta molto della loro storia individuale e collettiva, gli ambienti nei quali sono cresciuti, le relazioni e le esperienze che li hanno coinvolti. Il maleducato potrebbe percepirsi come mancante di qualcosa e di conseguenza valutare se stesso, se ha accettato o interiorizzato i criteri di valutazione del beneducato, insufficiente, fuori posto e un tale senso di inadeguatezza può generare sentimenti e moti diversi, conflittualità, antagonismo, reattività, ma anche desiderio e progetto di inclusione nel gruppo dei beneducati.
Bisogna constatare che non esistono buone e cattive educazioni in assoluto perché ogni tempo ed ogni luogo ha le proprie e che i concetti sono incerti e mutevoli. Si rende comunque necessario operare delle scelte, indicare ciò che è auspicabile e ciò che non lo è, porsi in un campo di valori piuttosto che in un altro, in altri termini il relativismo in ambito culturale cessa di essere tale in quello pedagogico-educativo oltre che in quello politico.
Il maleducato non è il diversamente educato, i contenuti della maleducazione non sono diversamente valoriali bensì disvalori reali, sono cioè la negazione dell’idea che possono esservi valori altri contrapposti a quelli “perbene”: i valori o sono buoni o non sono, in altre parole ogni relativo diventa assoluto, seppur locale e temporaneo.
La maleducazione e la beneducazione sono circondate da confini permeabili e mutevoli. La buona educazione ha come confine inferiore il possesso di quell’insieme di comportamenti e atteggiamenti che costituiscono i requisiti minimi richiesti per essere accettati negli ambienti nei quali si costruiscono le storie di “vita normali”; come confine superiore ha quella della “classe”.
Per la maleducazione il confine inferiore è costituito da quegli atti che pur considerati maleducati, sono lo stesso socialmente accettati tanto da risultare a volte intriganti o compatibilmente trasgressivi. II corpo centrale della maleducazione, la sua identità distintiva, è probabilmente il produrre un danno all’altro, che può generare disgusto, rabbia, fastidio, senza però superare il confine superiore che porta all’infrazione di norme che si ritengono fondanti le relazioni tra gli umani e tra essi e i non umani e le cose.
La maleducazione trova le sue espressioni principalmente sul piano delle emozioni, mentre la beneducazione tradizionale è anche costituita dalla capacità di controllarle, celarle, mimetizzarle. Un successo educativo nel secondo caso, un insuccesso nel primo.
L’esibizione delle emozioni, quelle non tenute a bada dalla beneducazione, è stata comunque sdoganata, dando il via a quella reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e di breve durata, determinata da uno stimolo ambientale le cui reazioni psicologiche si manifestano come riduzione del controllo di sé, difficoltà ad articolare logicamente azioni e riflessioni, diminuzione della capacità di metodo e critica.
Non sarebbe di certo opportuno in nome dell’espressione compiuta di sé, teorizzare che la costruzione del Super-Io sociale e individuale sia faccenda deleteria.
I mezzi di comunicazione di massa di vario tipo e nell’ultimo periodo i social hanno svolto un ruolo importante. Si potrebbe dire parafrasando e attenuando la schiettezza di Umberto Eco che i social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività; venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. Anche la genialità di Warhol diventa strumento di analisi e di comprensione: ciascuno sta avendo i propri 15 minuti di celebrità a volte anche esibendo le proprie emozioni all’universo intero.
Il presunto reale aumento della maleducazione nelle giovani generazioni attuali appartiene al perenne immaginario che ogni generazione ha rispetto ai modi di essere delle successive. Nello stesso tempo, la percezione della tendenziale diminuzione del tasso di educazione potrebbe essere ricondotta alla centralità che dalla seconda parte del ‘900 in avanti ha assunto la gioventù rispetto agli altri periodi della vita, importanza intrecciata con l’indebolimento progressivo dei modelli adulti virtuosi e conseguentemente imitabili anche in fatto di beneducazione.
Le buone maniere e l’educazione potrebbero essere articolate in due categorie: nella prima sono collocabili le buone maniere esclusive, quelle che appartengono alle Elite e non dovrebbero fuoriuscire da esse perché considerate elementi distintivi e differenzianti, uno dei codici di riconoscibilità reciproca tra gli appartenenti a tale gruppo. In questo caso i maleducati sono innanzitutto gli estranei, i “tagliati fuori” e la maleducazione è un segnale di non appartenenza, del non essere stati coinvolti in alcuni esclusivi processi educativi.
Nella seconda categoria di buone maniere si collocano quei comportamenti che, diversamente dai precedenti, devono essere diffusi in tutti gli ambienti sociali in quanto regolatori delle differenze e delle disuguaglianze sociali.
Brevissimi lineamenti della maleducazione
Se mai esiste un ambito interessato alla maleducazione è quello della sessualità la quale è una delle esperienze più complesse nelle quali l’essere umano è coinvolto. Essa contribuisce a definirlo in quanto persona soprattutto da quando nelle pratiche diffuse e legittimate si è scissa e resa autonoma dalla procreazione, non è più relegata nella famiglia o nella coppia eterosessuale, non è più legittimata solo dall’associazione alla dimensione affettiva.
Ma la si definisce anche all’interno del concetto di maleducazione nell’esercizio pratico di essa, dalla modalità di corteggiamento, dal considerare l’altro come meno strumento inesistente in sé, dall’utilizzo di un linguaggio considerato, in un tempo e in un luogo, non confacente, dal rapporto tra pratiche sessuali e violenza.
Altra costante è la maleducazione corporea, con la mutevolezza delle soglie e l’andirivieni della morale. La volontà di ostentare il corpo, senza la mediazione delle sfumature del riserbo, e la legittimazione dell’idea che nei confronti del proprio corpo si possa intervenire anche con azioni irreversibili, come per esempio i tatuaggi e gli interventi di chirurgia estetica categorizzati come non curativi, in una parola la presenza eccessiva, è una delle caratteristiche fondative di tale forma di maleducazione.
La maleducazione nell’ambito dei rapporti di genere non è facile circoscriverla e definirla, pure anch’essa è in continua evoluzione. Atti come come bistrattamenti dolci, prese in giro, ironia saccente, sono stati e sono ancora prevalentemente a senso unico. La maleducazione, anche quella moderata, è una manifestazione, un indicatore e/o un produttore di asimmetria che può essere banalizzata, considerata quasi simpatica, e questa sottovalutazione costituisce uno dei più incisivi fenomeni di apprendimento informale diffuso, quotidiano e subliminale dei comportamenti connessi ai modi di essere donne e uomini.
La maleducazione nella cultura è rappresentata dalla categoria dell’autodidatta, figura inquietante perché non rappresenta il lineare tentativo di inserirsi all’interno di un ambiente colto. Un personaggio che si è imposto in questi ultimi anni, quello di colui che si è autoeducato a una cultura scientifica e/o umanistica, nella quale interagiscono sempre e comunque a dosi variabili complotti (dall’esistenza delle sirene, ai terrapiattisti, fino ai santoni di vario tipo che definiscono il COVID-19 creato ad arte per reprimere la libertà e farci diventare degli automi etc).
Sono gli esponenti dell’uno vale uno in campo culturale che non provano timore nei confronti della cultura alta, non tentano di avvicinarvisi col passo felpato, per integrarsi, anzi si pongono come polemici orgogliosi antagonisti. Un modo di resistenza verso la beneducazione dell’Elite, il ricorrente protoromantico sotto mutate spoglie dell’idealtipo del buon selvaggio, un’alternativa di purezza non ancora educata e appunto per questo considerata più genuina rispetto alla sofisticazione delle persone “civilizzate”.
Diventa molto difficile destreggiarsi tra beneducazione e maleducazione in fatto di abbigliamento. L’unico criterio è l’incerto riferimento al contesto, cioè all’essere o non essere adeguati al momento. E non è un criterio leggero riguardante una cosa di second’ordine: si è veramente e moralmente maleducati se volutamente abbigliati in un certo modo in certe occasioni, si è culturalmente maleducati se non si è in grado di pensarsi rispetto a tali occasioni. Viene subito da riferirsi al maglioncino girocollo di Marchionne, esibito persino al cospetto del Presidente della Repubblica.
Il consumo è il vero campo di battaglia dell’educazione. Non è solo una questione di cosa si compra, ma i nostri acquisti sono un elemento cruciale della comunicazione non verbale e definiscono la nostra identità sociale. È nell’universo materiale e simbolico del consumo che si manifesta con maggiore forza la differenza tra buon gusto e volgarità. Il processo educativo è totalizzante. I rapporti sociali oggettivati nelle cose vengono impercettibilmente incorporati nelle persone in modo da iscriversi in un rapporto duraturo con il mondo e con gli altri.
Tra le ipotesi più convincenti per spiegare l’espansione del “tu“, spicca l’imitazione dei comportamenti anglosassoni. Si tratta solo dell’ultimo capitolo di una consolidata subordinazione culturale del nostro Paese agli Stati Uniti, che ha radici anche politiche ed economiche. In pratica si assiste a un forte ridimensionamento del “lei” nei percorsi discendenti, cioè tra persone collocate per superiore posizione sociale rispetto a quelle collocate nei loro confronti in posizione subordinata. Età anagrafica, potere e ruolo codificato e riconoscibile, prestigio sociale, etc. è in questi ambiti che compare uno dei più maleducati usi del tu, cioè quello senza reciprocità.
Uno spettro si aggira e si materializza nelle città, il Writing. Uno spettro percepito come degrado e vissuto come un’intrusione negli spazi pubblici da parte di qualcuno che non rispetta le regole del decoro, della comunicazione pacata e civile. La maleducazione muraria non è una novità. I muri pubblici hanno sempre ospitato scritte di ogni genere. Sono stati anche usati come canali di comunicazione politica, non sanzionabili sotto la categoria della maleducazione, in cui l’uso costituiva una maleducazione sostanzialmente assolta dal valore dell’atto perché alla base vi erano motivazioni collettive.
Oggi le scritte, nella gran parte, non sono più generate direttamente da motivazioni di ordine politico. Le scritte di amore, odio, dolore e felicità costituiscono un esempio perfetto del risultato dell’educazione informale alla percezione e all’espressione delle proprie emozioni in cui bisogna obbligatoriamente ostentare i propri sentimenti, sia pur celati da un apparente anonimato. È una pratica individuale delle periferie che invadono il centro, quasi una reazione ritardata ai processi che in molte città hanno espulso i ceti popolari dal centro o non ve li hanno fatti neppure transitare.
Il nesso tra migrazioni e maleducazione non sta certo nelle politiche migratorie che si collocano sul piano dell’accoglienza strategica in chiave politica, ma sta invece in quel banale quotidiano il livello nel quale si sviluppano minuti comportamenti individuali e micro collettivi che, pur senza sfociare in aggressività e violenza, sono caratterizzati dal fatto di ritenere possibile fare a meno nei confronti dei migranti di quei dovuti e minimamente rispettosi modi utilizzati invece nei confronti di persone che migranti non sono.
Prendere beneducatamente le distanze significa anche difendersi da contaminazioni e dall’inclusività del prossimo. La beneducazione è una funzione e una garanzia di distacco, una difesa contro il coinvolgimento relazionale, che dovrebbe prevedere cerimoniali e prassi per un avvicinamento educato tra le persone. In altri termini sono le buone creanze borghesi, il cui impeccabile formalismo rappresenta una messa in guardia permanente contro le tentazioni maleducate della familiarità.
Chiunque abbia pratica di organizzazioni all’interno delle quali vi sono gerarchie formali e informali, può testimoniare quanto la beneducazione sia capace di rendere possibili rapporti che altrimenti non lo sarebbero. È una beneducazione che cela, nasconde o addirittura rimuove i veri sentimenti e le emozioni realmente vissute. Una ipocrisia manierata atta a sostenere relazioni che sarebbero impossibili se invece fosse la sincerità maleducata a esprimere attraverso parole e gesti quello che gli uni provano realmente per gli altri.
La maleducazione nel pensiero comunista
Chiudiamo con ciò che pensava della maleducazione il mondo comunista. Esso non considerava la maleducazione una pratica spontanea e conflittuale con il perbenismo borghese.
Secondo Trotsky «la lotta contro il cattivo linguaggio è una condizione della cultura intellettuale tanto quanto quella contro il sudiciume e i parassiti è una condizione della cultura del proprio corpo». Il pedagogista sovietico Makarenko nel suo lavoro poneva una particolare attenzione (quanto mai attuale) sulla questione dell’estetica, una questione che stante il contesto nel quale operava potrebbe apparire poco proletaria e molto borghese o piccolo borghese ma non lo è.
Scrive Makarenko: «non riesco a immaginare come un ragazzo possa desiderare di vivere in un collettivo e di esserne orgoglioso se esso non è anche bello. No, gli aspetti estetici della vita non vanno sottovalutati anche se spesso siamo proprio noi educatori ad assumere un atteggiamento negativo nei confronti dell’estetica. L’estetica degli abiti, delle camere, delle scale, degli utensili non ha meno importanza di quella del comportamento. Devo esercitare la mia influenza anche dal punto di vista estetico ed è per questo che non mi sono mai fatto vedere con gli stivali sporchi o senza cintura. Io, del resto, non permettevo agli insegnanti di andare a fare lezione con sciatteria e ci si andava perciò, me compreso, con indosso gli abiti migliori».
Il suo è stato uno sforzo per stimolare la formazione di una persona beneducata che andasse oltre la maleducazione proletaria associata a una condizione penalizzata ed emarginata, senza per questo assomigliare alla sedicente bene educazione borghese e aristocratica dei tempi. Dunque una sobrietà operaia popolare per estensione, caratterizzata da un progetto di vita emancipativo e dall’accettazione dei sacrifici necessari per tentarne la realizzazione nella quale sono presenti buone pratiche contrapposte alla maleducazione ostentatoria e classista delle Elite. Dopo arriverà la salutare maleducazione della stagione di lotte sindacali e politiche dell’Autunno Caldo a mettere in dubbio alcuni consolidati percorsi di emancipazione e di presunta ascesa sociale.
L’educazione alla maleducazione
L’educazione alla maleducazione è una malattia contemporanea che ha nella politica una delle sue aule più efficaci, gli esempi non mancano. Esporre striscioni, indossare in parlamento magliette con scritte più o meno irriguardose, sono pratiche diffuse e frequenti che hanno come scopo di sperare di raccattare voti tra la parte più maleducata della società, parlandone lo stesso linguaggio. Presentarsi alla Camera o al Senato senza cravatta, con abbigliamento da tempo libero, costituisce un contributo alla desacralizzazione dei luoghi nella loro rappresentatività istituzionale. Da questa politica maleducata, che non coincide con la politica tutta, ma solo con la parte più rilevante di essa, non si può pretendere che nascano nuovi statisti.
La nascita della TV Commerciale Privata, ideologicamente definitasi “libera” secondo la logica di mercato che l’ha ispirata, ha portato alla ribalta nuovi modelli di comportamento e di modi di essere che si discostano di molto da quelli precedentemente prevalenti. La TV commerciale è uno strumento creato per diffondere pubblicità (variabile indipendente) attraverso l’intrattenimento (variabile dipendente) di vario tipo.
La speranza riposta in un salto qualitativo della TV pubblica a seguito dell’ingresso sul mercato delle televisioni private, si è infranta davanti alla constatazione della forza penetrativa di un modello statunitense intrecciato, da una parte con l’espansione della volgarità, e dall’altra, con lo scivolamento verso un’esibizione di sentimenti, (una delle caratteristiche della maleducazione classica) e in particolare del dolore. La maleducazione è stata sdoganata e nobilitata, il confine è stato spostato progressivamente sempre oltre, con personaggi e spettacoli che un tempo non sarebbero stati neppure concepiti
Che fare?
In definitiva una postura pedagogico educativa non può fare a meno di prendere posizione, di scegliere di dire dei sì e dei no, senza restare attonita a contemplare l’esistente. La beneducazione non è più una materia da insegnare, ma un risultato che si ottiene solo attraverso il fare e il dire. Emerge da un lavoro critico sulle norme sociali: bisogna analizzarle, comprenderne l’origine, metterne in luce le contraddizioni e valutare attentamente i vantaggi o svantaggi che comportano, in termini di benessere/malessere per sé e per gli altri.
In secondo luogo, dire e fare in modo che l’educazione possa essere scelta anche da parte di chi staziona nelle aree della maleducazione, e non perché costituisce un dovere, bensì uno dei piaceri possibili delle “vite normali”.
LUCA PAROLDO BONI
11 ottobre 2025
Foto di Fidan Mammadli







