Un pacco ogni tre minuti, la folle corsa dei corrieri Amazon

Viaggio in un furgone delle consegne che copre la periferia Sud di Roma . Da quando l’Italia è in lockdown il carico di lavoro è aumentato a dismisura e la giornata è diventata più difficile per chi dalla mattina alla sera è in strada: «Se vado troppo piano mi chiama uno dei tre dispatcher (gli addetti al controllo delle rotte) perché l’algoritmo gli segnala che sto correndo troppo poco»

170 pacchi da consegnare in poche ore, a fine giornata la media di consegna è di un pacco ogni 3 minuti, anche qualche secondo in meno. Un ritmo folle che i corrieri che consegnano i pacchi di Amazon stanno tenendo ormai da un mese, da quando il governo Conte ha chiuso tutto e le persone comprano principalmente online.

«Io capisco che i negozi sono chiusi però avevano detto di dare priorità ai beni di prima necessità, ma spesso consegnamo cose davvero poco importanti. Ieri per esempio ho consegnato una lampada da arredo e una macchina per fare la pasta in casa» racconta un corriere (ha voluto mantenere l’anonimato) che copre la periferia Sud di Roma da anni e che per un giorno ci da la possibilità di seguire il suo lavoro da dentro il furgone.

«Alle 7:20 arrivo alla Station dove preparo il furgone ma posso timbrare solo alle 7:55, quando inizio a caricare i pacchi che preparano i magazzinieri durante le notte. Quella mezz’ora non è pagata, così come non è pagata quella di fine giornata quando faccio il reso dei pacchi e riporto il furgone al suo posto».

Il sistema Amazon è organizzato al secondo, sia per i magazzinieri che per i corrieri, gli algoritmi preparano anche le “rotte” di ogni singolo corriere attraverso una app.

«Se vado troppo piano mi chiama uno dei tre dispatcher (gli addetti al controllo delle rotte) perché l’algoritmo gli segnala che sto correndo troppo poco» racconta il nostro corriere mentre in modo meccanico apre lo sportello, scende, lo chiude e apre il portellone per cercare il pacco. Una moderna catena di montaggio in cui i movimenti sono cronometrati al secondo tra dentro e fuori il furgone.

Se sei lento non sei performante e rischi le lettere di richiamo, loro ufficialmente ti dicono di non correre così sono in regola con la legge ma poi incentivano a fare sempre di più, sempre più veloce.

«Io vado piano anche se spesso finisco prima del previsto perché conosco bene la zona e ormai riesco a fare più consegne con una sola fermata. Però i ritmi sono comunque insostenibili, questa quantità di pacchi di solito la consegniamo nei giorni precedenti a Natale o durante il Black friday, ma mai per un mese consecutivo». Nella mezz’ora di pausa pranzo il nostro corriere è più loquace, se non altro perché può fermarsi a fumare una sigaretta al sole senza dover correre.

«Chi finisce troppo prima del previsto il giorno dopo si ritrova più pacchi da consegnare, perché per l’algoritmo sei veloce e quindi puoi fare di più. In realtà l’algoritmo calcola che tutti possiamo fare di più» racconta tra una boccata e l’altra di sigaretta.

L’algoritmo è una macchina fredda e poco pratica, il risultato è che ci ritroviamo a girare in tondo del quartiere, passiamo per la piazza centrale almeno 6 volte e addirittura in una strada ci torniamo 2 volte a distanza di 40 minuti.

«Ti fa perdere tanto tempo, giri come una trottola e se rompi il furgone o il telefono che serve per tracciare i pacchi, devi anche pagare la franchigia. Per le multe stessa cosa, le paghiamo noi. Siamo finti dipendenti ma lavoriamo in appalto» prosegue.

«Il problema non è boicottare o meno le piattaforme online ma quello di poter lavorare con altri ritmi, così non ce la facciamo ancora a lungo. – dice tra una consegna e l’altra – O decidono che portiamo ai clienti solo prodotti di prima necessità o devo assumere altre persone. Anche perché lavorare per dei prodotti utili ha un senso, ma io non so chi ha toccato questi pacchi e anche se ho i guanti mi fa paura pensare che possa essere potenzialmente una persona infetta da coronavirus. Rischiare per consegnare cose inutili non mi piace».

Da quando l’Italia è in lockdown il carico di lavoro è aumentato a dismisura e la giornata è diventata più difficile per chi dalla mattina alla sera è in strada. «Io esco di casa presto – prosegue – e torno non prima delle 18:30, mi porto un panino per pranzo, una bottiglia d’acqua e una boccetta per il caffè perché è tutto chiuso, ma se devo andare in bagno come faccio? Prima con i bar aperti nella mezz’ora di pausa riuscivo a prendere caffè e andare al bagno, ora è impossibile» racconta con amarezza mentre nel pomeriggio continua il suo instancabile sali e scendi dal furgone.

A fine giornata lo sportello del corriere si è aperto e chiuso circa 260 volte. «Signora è il corriere Amazon, scende?» è la frase che in automatico è stata ripetuta più di 100 volte. Le reazioni delle persone sono diverse: chi non si avvicina per paura di essere contagiato a chi scende senza maschera a guanti e non fa attenzione alle distanze di sicurezza.

«Tra 5 o 10 anni non so come mi vedo, ora ho 35 anni e posso sopportare questi ritmi ma di sicuro non posso farlo per troppo tempo. Magari riesco a entrare come magazziniere o ad avere un posto da qualche altra parte nella logistica, però davvero così non è sostenibile nel lungo periodo» chiosa mentre torniamo verso il magazzino con il furgone vuoto.

VALERIO NICOLOSI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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