Un cardinale capace di rassicurare senza compromessi

Capace di portare avanti le aperture di Bergoglio ma con un suo stile pacato, senza grandi strappi. In Perù ha conosciuto bene le sofferenze degli ultimi, in particolare dei migranti, che dal Sud dell’America cercano fortuna verso Nord. Con Trump saprà far valere i loro diritti. C’è però un punto interrogativo sul nuovo papa e riguarda le sue posizioni sui diritti civili e in particolare sulla comunità LGBT+

Trump non ce l’ha fatta, a conti fatti, a imporre il suo Papa. Leone XIV, lo statunitense Robert Francis Prevost, è altro dai desiderata del presidente americano.

Un uomo rassicurante, certo, ma non di compromesso, capace di portare avanti le aperture di Francesco ma con un suo stile pacato, senza strappi, come del resto ha richiesto la maggioranza dei cardinali elettori. In un certo senso ricorda Giovanni XXIII, un vescovo di Roma semplice che arrivò però a indire il Concilio Vaticano II, la rivoluzione ecclesiale del ’900.

Sessantanove anni, primo papa statunitense, Prevost si presenta da subito tranquillizzando il mondo credente anche nella forma: recupera uno degli elementi delle vesti papali che Bergoglio non aveva mai indossato, la mozzetta, la mantellina rossa corta sopra la talare bianca. L’ultimo ad indossarla era stato Papa Ratzinger.

Ha scelto di chiamarsi Leone XIV, Prevost, come quel Leone XIII che scrisse tra fine Ottocento e inizio Novecento la Rerum Novarum, la prima enciclica sociale. Papa dunque dei lavoratori e delle grandi sfide sociopolitiche, è considerato progressista su alcuni temi, quali l’accoglienza dei migranti, il cambiamento climatico, l’attenzione ai poveri. Ma più conservatore su altri come ad esempio i nodi inerenti i diritti civili.

A conti fatti una cosa sola sembra essere certa: non farà sconti a nessuno, l’agenda vaticana non sarà dettata da alcuno schieramento politico. Date a Cesare quel che è di Cesare, ovviamente, ma nulla di più. Sulla pace e la corsa agli armamenti non svicolerà dall’intransigenza di Francesco di cui, del resto, è stato un fedelissimo.

Prevost conosce bene la Curia romana e i presuli nel mondo, è a capo della Congregazione dei Vescovi dal 2023. Una invenzione di Bergoglio, la sua nomina, che di fatto l’ha lanciato al papato. La conoscenza della Curia e delle diocesi nel mondo gli serviranno molto nella costruzione della Chiesa del futuro, col quel suo stile più riservato rispetto a Bergoglio, senz’altro meno carismatico ma non per questo non caratterizzato.

In comune col suo predecessore, fra l’altro, Prevost ha l’appartenenza a un ordine religioso, gli agostiniani, nel cui motto c’è un intero programma: «L’umiltà uccise la superbia», quella stessa umiltà che Prevost ha mostrato con gli occhi lucidi affacciandosi dalla loggia centrale della basilica vaticana ieri. È una spiritualità molto incentrata sull’interiorità, quella agostiniana, sulla comunione con Dio e il servizio agli altri. Da subito sembra chiara anche un’altra cosa: non ci sono protagonismi in Prevost, quanto semplice e obbediente sequela al Vangelo.

Leone XIV è nato il 14 settembre del 1955 a Chicago, nello stato dell’Illinois. Prese i voti negli agostiniani nel 1981, dopo esserne stato priore generale per due mandati consecutivi. È stato a lungo missionario in Perù. Ne ha anche ottenuto la cittadinanza, in un certo senso marcando una distanza dalla sua origine statunitense. In Sudamerica, di fatto, è stato missionario con quella caratteristica di pastoralità su cui tanto hanno insistito le congregazioni generali che hanno preceduto il conclave. In Perù ha conosciuto bene le sofferenze degli ultimi, in particolare dei migranti, che dal Sud dell’America cercano fortuna verso Nord. Con Trump, in questo, senso, saprà far valere i loro diritti.

C’è però un punto interrogativo sul nuovo Papa e riguarda le sue posizioni sui diritti civili e in particolare sulla comunità LGBT+. Non ha avuto in proposito parole di grande apertura, Prevost, come sono state quelle di Francesco in passato, e sembra meno propenso a coinvolgere le donne nei ruoli apicali della Chiesa.

Del resto, il suo primo intervento ieri davanti a una piazza San Pietro piena, è stato senza alcuna sbavatura sulla dottrina, il richiamo – pronunciato leggendo un testo scritto – alla pace e alla Madonna di Pompei nel giorno della sua festa. Seppure, in merito al nodo della comunione ai divorziati risposati, abbia avuto una posizione aperta come è stata quella fatta propria da Francesco in Amoris Laetitia.

Prevost è stato coinvolto, seppure in via laterale, in due casi di abusi sessuali del clero, uno in Perù e uno negli Stati Uniti. Una donna di Chiclayo, città peruviana, ha raccontato che anni prima lei e altre due donne erano state abusate da due sacerdoti locali. Il neo papa fece un’inchiesta in merito. Ma non fermò i sacerdoti che continuarono a celebrare messa.

A Chicago invece, dove è nato, è stato accusato di non avere avvisato una scuola cattolica che nelle sue vicinanze abitava un prete noto per avere abusato di alcuni giovani. Ma nessuno ha portato a un processo in sede civile.

Nelle prossime settimane, senz’altro, su questi due fatti si dovrà fare ulteriore luce, nemmeno a un vescovo di Roma sono concessi sconti su questi crimini.

PAOLO RODARI

da il manifesto.it

foto: screenshot tv

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