C’è una immagine apparentemente banale che raffigura però molto bene la caparbia ostinazione del fanatismo nel realizzarsi come pratica costante da assolvere nel nome della cieca obbedienza verso sé stessi, verso ciò che si è a suo tempo deciso di essere. Mi è capitato di scrivere già una volta che i nuovi capi di Stato provenienti dalla più estrema destra neosovranista e populista non vanno sopravvalutati. Ma nemmeno, se è per questo, vanno sottovalutati.
L’immagine, si diceva poco sopra. Dunque, eccola: è quella del vicepresidente degli Stati Uniti d’America, J.D. Vance, che si reca nella Basilica di San Pietro in Vaticano per assistere alla celebrazione liturgica della messa. In primissima fila lui e tutta la sua famiglia. Compresi, si intende, i piccoli figlioli completamente sfranti dal viaggio transoceanico, tuttavia fatto comodamente in aereo e non certo sui barconi dei migranti che il loro papà non ama (per usare un eufemismo…).
I bambini sono innocenti per antonomasia, per assoluta eccellenza. Dunque, la stanchezza di quei pargoli, che ciondolano per tutto il tempo sulla spalla prima della loro madre e poi del loro padre, fa oggettivamente tenerezza. Poi, a pensarci bene, pare più l’ostentazione della famiglia tradizionale, del mostrarsi quasi come il manifesto vivente di una forma etica dello stare insieme, degli affetti giusti contro tutti gli altri verso i quali i sostenitori di Trump nutrono non solo una più che conclamata ostilità , bensì un programma politico da applicare per spazzare via le presunte ideologie gender e woke.
Poi, per carità , è sacrosantamente vero che, a partire dalle famiglie reali di ogni paese ancora monarchico, i grandi e i piccini vanno di pari passo: dalle chiese ai balconi con sotto le folle osannanti e, più che altro, desiderose di vedere quelli che sono, stando ai rotocalchi e al gossip televisivo-internettiano, delle attrici e degli attori di vere e proprie modernissime soap opera. Lo spettacolo è servito e contiene messaggi subliminali che vogliono dire alla gente: ecco come ci si comporta, ecco come si deve essere.
Padre, madre, figli, nipoti. Tutti belli in fila: dalla prima alla seconda fino alla terza. Tutti in rigoroso ordine gerarchico e cronologicamente dettante la linea di successione. Non di meno quella statunitense. Noi oggi affrontiamo il ciclone Trump ma dimentichiamo troppe volte che dietro lui, in quanto ad eredità politica, c’è proprio J.D. Vance.
L’immagine prima richiamata può essere, così descritta, una interpretazione del tutto soggettiva. Nulla da obiettare in merito. Ma, siccome i viaggi di Stato hanno un valore squisitamente politico ed istituzionale, ogni comportamento personale è, salvo clamorose gaffes e inciampi non voluti, un messaggio.
In questo caso, al presidente che scende la scaletta dell’Air Force One con la first lady radiosa, letteralmente alla sua altezza, per dare l’impressione di essere davanti alla coppia più bella del mondo, si sostituisce il suo vice con il parterre familiare al completo. In altre parti del pianeta, alcuni primi ministri si mostrano con i loro compagni per comunicare, anche qui, un messaggio chiaro: si ama chi si vuole e senza pregiudizio alcuno. Non la pensa così certamente l’amministrazione MAGA.
Al netto della politica imperialista a stelle e strisce contro il multipolarismo incedente, il trumpismo è un aggiornamento di un conservatorismo che affianca al liberismo più spietato la retrocessione dei diritti civili ed umani nel nome di un recupero del tradizionalismo in tutti i campi: dalla famiglia al lavoro, dall’uguaglianza di genere al rispetto delle differenze e delle minoranze. I migranti, poi, devono sgomberare: se ne prevede la fuoriuscita dal territorio del Grande paese di almeno due milioni nel giro di poco tempo.
Ma la Corte suprema blocca le deportazioni volute dal presidente-magnate e per il momento sospende l'”Alien Enemies Act” del 1798 invocato da Trump per gli spostamenti coatti dei migranti verso paesi non sicuri per la loro incolumità . Si vede che, oltre che a Berlino, c’è un giudice anche a Washington ogni tanto e nonostante i tentativi di asservire la magistratura federale al controllo governativo della Casa Bianca e, quindi, sotto l’egida dell’esecutivo in tutto e per tutto.
I trumpiani non sono nuovi alla dimostrazione pubblica delle loro intenzioni e dei loro piani: anzi, sono i migliori comunicatori in questo senso. Basterebbe ricordare la pantomima organizzata ai danni del presidente ucraino Zelens’kyj con tanto di codazzo giornalistico ostile davanti e Vance a reggere i fianchi della falange da combattimento nello studio ovale della Casa Bianca.
Un agguato a dire poco, una sceneggiata patetica nel volerla chiaramente denotare per quel che veramente voleva essere: una tragicommedia da dare in pasto al mondo per dire chiaro e tondo che a comandare il processo di costruzione della finta pace tra est ed ovest d’ora in avanti sarebbe stato lui, Donald Trump.
L’Europa? Parola di Vance, nemmeno un centesimo a quei parassiti dei vecchi continentali che hanno invaso il mondo, lo hanno colonizzato e sono, alla fine, diventati l’appendice dell’Impero statunitense, ex agglomerato di tredici colonie ribelli alle tassazioni britanniche. Quindi, la guerra, come la pace, la conducono loro, gli ideologi teoconservatori del momento che, a ben guardare, non è qualcosa di momentaneo: non ci si deve illudere troppo e incappare nel grossolano errore della sottovalutazione del fenomeno che ha invece caratteri decisamente globali.
La guerra in Ucraina è per il trumpismo un accidente di cui liberarsi al più presto, posizionando – si intende – le dovute pedine imperialiste sulle terre rare, su ogni millimetro di zona utile all’esclusivo interesse statunitense. Delle problematiche interconnesse con il fantoccio dell’Unione Europea al presidente magnate e al suo Vice può davvero importare di meno che niente. Tanto nelle questioni di politica estera come in quelle di politica interna, i repubblicani neoconservatorissimi del MAGA teorizzano una stabilità molochiana.
La perturbabilità che può distrarre dal sogno unipolare è la vera nemica di un capitalismo iperliberista che intende trovare un po’ di stabilità : se questa gli è offerta dal peggiore regime antidemocratico in questo momento sulla scena in una quasi ex repubblica democratica e liberale, tanto peggio per i popoli, tanto meglio per i capitali, le borse e i mercati. Salvo scoprire, però, che questi trumpiani sono anche degli spregiudicati giocatori d’azzardo: magari sono male consigliati o lo sono tardivamente.
Perché, dopo aver messo una caterva di dazi che pareva infinita nel suo elenco, si rivoltano proprio le borse e crollano i titoli delle più importanti imprese americane. Ed allora qualcuno sussurra all’orecchio del presidente che forse non è il caso di andarci giù così pesanti, che si può rinviare qualcosina e che, per compensazione, si possono aumentare a dismisura le tasse doganali per i prodotti cinesi. In fondo, la guerra commerciale è fatta proprio contro Pechino, prendendo in considerazione la contesa mondiale soltanto in rapporto con una parte dei BRICS e non stando minimamente ad ascoltare le proteste europee.
Il genere non binario è, quindi, il sostanziarsi di tutti i peggiori incubi che questi conservatori intrisi di pregiudizi, tradizionalismi e fedi a buon mercato possono paventare di avere di notte e soprattutto di giorno. Il non binarismo è una sfida alla luce del sole da parte di ogni essere vivente, in questo caso animalmente umano, di essere ciò che vuole oltre il principio della sacralità dell’eterosessualità come fondante la naturalità della riproduzione familiare e oltre ogni ideologia preconcetta sul dualismo tra maschile e femminile, tra uomo e donna.
Davvero curioso: uno sviluppo moderno di una nuova cultura dei sentimenti, dei desideri e delle relazioni umane, viene, da questi nuovi uomini (e donne) primitivi della politica dello status quo a tutti i costi, interpretato non come una occasione per affiancare alla tradizione una nuova possibilità di affermarsi come regola non assoluta tra le altre regole altrettanto non assolute, ma come una seria minaccia all’identità intesa come qualcosa di assolutamente assoluto.
Loro hanno individuato ciò che è “naturale” e non si discute! La naturalità è normalità e quindi è regolarità . Tutto il resto è devianza, è alterazione degli equilibri, è messa in discussione dei princìpi su cui si fonda, come nelle cascate delle tessere di un domino, il potere maschile, patriarcale, che si riverbera nello statalismo istituzionalista che deve essere uniformato alla religiosità del credo in un dio maschile, in una piramide alla cui base sta la tradizione e al cui vertice sta, più che la divinità , il presidente degli Stati Uniti d’America e il suo Grande paese con la missione di guida mondiale e universale.
Ma, nonostante Trump e Vance, nonostante i poveri spot televisivi delle messe romane a cui prende parte un vicepresidente americano con poveri figli sonnacchiosi tra le braccia, le particolarità di ogni singola persona continueranno ad esistere e a rivelarsi ad un mondo in cui non è possibile ridurre le pulsioni naturali: qualunque esse siano. Non si può costringere una percezione autosoggettiva, come quella che ognuno di noi ha di sé, a sottostare ad una categorizzazione ultrasemplificata sulla base dei generi oggettivi.
Non tutto quello che è evidente è di per sé giusto e, soprattutto, non esaurisce in sé stesso la molteplicità delle espressioni della materia arrivata allo stadio straordinario dell’autocoscienza e della coscienza del resto che la circonda. Ma questi sono pensieri, obiettivamente, molto profondi per i teorizzatori del MAGA, per chi non concepisce altro se non la maschilità e la femminilità in stretta correlazione con la convenzione cromatica dell’azzurro per l’una e del rosa per l’altra.
Potrà sembrare assurdo, ma tanto la guerra in Ucraina quanto le cosiddette ideologie gender e woke sono nemici implacabili dei piani di un trumpismo anche affaristico che, non di meno della conservazione del proprio potere, ambisce ovviamente ad aumentare il volume dei propri affari di famiglia e di quelli dei suoi più vicini sostenitori elettorali e post-elettorali. Il binarismo di genere, che i conservatori trumpiani e i loro leader invocano come un qualcosa di atavico, di primordiale, di “inscritto nel DNA” dell’umanità , non è del resto una loro invenzione.
Troppa grazia poter ritenere che questi mostri di intelligenza siano in grado di produrre pensieri così articolati, seppure impostati su evidenti cardini pregiudiziali. Se andiamo indietro nel tempo, ci rendiamo conto, osservando la Storia, che quelli che i super conservatori statunitensi di oggi ritengono i ruoli predefiniti nella società per uomini e donne, per maschi e per femmine, sono il prodotto di millenni e millenni di assegnazioni di compiti sulla base, più che altro, della capacità fisica, della forza da un lato e, dall’altro, della temperanza, della condiscendenza, del rigore gestionale casalingo.
Questa esistenza dei ruoli di genere nasce, o per lo meno si afferma già presente in molte altre civiltà antiche. La distinzione del fare e del saper fare tra uomo e donna, entro i perimetri delle società in cui si trovano a vivere, è tanto antica quanto il binarismo di genere. Aristotele pone le prime basi di studi biologici che, tuttavia, non hanno la pretesa rivoluzionaria di affidare alle specificità dei singoli il migliore modo di esprimersi nei comportamenti quotidiani.
Sì, ci sono le donne guerriere, ci sono uomini che fanno anche lavori domestici. Ma sono eccezioni. Sul carattere estemporaneo dell’eccezionalità si regge ancora oggi la tolleranza (non la condivisione… bensì la tolleranza!) nei confronti delle singolarità : ma quello che conta per queste destre retrive moderne è l’uniformità . Le cosiddette “teorie riparatrici” sono un esempio delle forzature, delle vere e proprie violenze psicologiche (quand’anche pure fisiche) nel costringere la natura del ragazzo o della ragazza ad essere altro rispetto a ciò che di sé percepisce e desidera.
Non c’è dubbio, quindi, che uno degli assi portati della politica di Trump e Vance sia proprio questa uniformità del mondo rispetto ai valori di quello che oggi, anche grazie alla visita di Giorgia Meloni a Washington, viene diffuso come “western nationalism” (“nazionalismo occidentale“): sembrerebbe un neofita tra i concetti più biecamente escludenti tra civiltà e inciviltà , ma pare non sia così. Qualcuno lo attribuisce ad Anthony J. Constantini, riferendosi ad un articolo del 2023 su “Politico”. La primogenitura, del resto, in questa fase conta poco.
Ciò che importa è la palla avvelenata lanciata sul terreno di gioco in cui le disparità sono trattate come eccentricità , lussi del pensiero, del desiderio, differenze da soffocare nel nome di una finzione egualitaria che nega le singolarità e, quindi, non può essere definita, in quanto tale, un momento di riconoscimento della pienezza dell’essere umano.
La destra di Trump è ciò che di peggio oggi vi sia sul mercato del pressapochismo mentale, ideologico, culturale, civile e morale: è razzista, xenofoba, omofoba, iper-religiosa, conservatrice, tradizionalista, incivile (non anticivile, che potrebbe avere una qualche ragione d’essere ogni tanto…), imperialista, affaristica, straliberista e negazionista dei cambiamenti climatici. Raduna attorno a sé un insieme di cospirazionisti e teorici dei complotti a partire dalle pandemie per finire con i mutamenti strutturali del nostro pianeta.
Una senatrice trumpiana, tanto per fare un esempio, ha sostenuto in una dichiarazione di qualche giorno fa che quella del cambiamento climatico è una teoria comunista, falsa quindi, perché il sole regola ogni espressione naturale sul pianeta. Ed il sole è governato da Dio. Chi aveva sperato in un ritorno al paganesimo e al politeismo sarà rimasto deluso. Chi ha invece intuito la cretineria di questa affermazione, ebbene ha avuto la conferma di quale sia il livello dei corifei condiscendenti che ruotano attorno a chi sa utilizzarli per bene…
MARCO SFERINI
19 aprile 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria