Tra Msi e Arcore, l’eclettismo letale di Giorgia Meloni

Nella forma e nella sostanza (seppur con una buona dose di aggressività in più), siamo in continuità con gli anni ruggenti del berlusconismo. Quelli che Giorgia Meloni ha attraversato in posizione tutt’altro che defilata

«C’è una questione nuova, che mi pare eclatante e credo anche senza precedenti». Con queste parole il ministro per i Rapporti con il Parlamento Ciriani ha tentato maldestramente di giustificare il rifiuto di Meloni, Nordio e Piantedosi di presentarsi in Parlamento per riferire sul caso Elmasry.

L’inaudita novità consisterebbe, per Ciriani, nella circostanza che la presidente del Consiglio e alcuni dei suoi ministri sono stati iscritti nel registro degli indagati. Un evento che non capita tutti i giorni, certo. Ma che non è affatto un inedito nella storia del nostro paese e, soprattutto, non rappresenta niente di abnorme in uno Stato costituzionale di diritto. In cui, per definizione, nessuno, neppure il capo del governo, è al di sopra della legge e può ritenersi immune da controlli di legalità.

Nel caso specifico – come è noto – l’accusa ha a che fare con la mancata esecuzione di un ordine di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale. La stessa Corte tornata alla ribalta negli ultimi mesi per aver assunto un analogo provvedimento nei confronti di Netanyahu e Gallant (oltre che dei capi di Hamas), accusati di crimini di guerra e contro l’umanità.

In quell’occasione in molti avevamo sperato nell’inizio di una nuova stagione della giustizia internazionale e in una ritrovata centralità della Cpi, riscattatasi dall’accusa di “doppio standard” che le era stata spesso rivolta. Ma la totale ineffettività di quel pronunciamento, e di quelli con cui la Corte Internazionale di Giustizia ha intimato a Israele di fermare il genocidio, fanno temere che ciò cui stiamo assistendo sia l’atto di morte, anziché di (ri)-nascita, del diritto internazionale.

Ed ecco deflagrare il caso Elmasry.

Questo sì davvero nuovo e senza precedenti. Perché un conto è lasciar trapelare, più o meno ufficiosamente, l’intenzione di garantire l’immunità a Netanyahu nel caso, altamente improbabile, che si avventuri a calpestare il suolo di un paese firmatario dello Statuto di Roma (come aveva fatto Tajani); un altro è sfidare frontalmente la Corte, attivandosi in concreto per sottrarre alla giustizia un soggetto accusato di reati gravissimi, che si trovava in custodia in un carcere italiano.

Un precedente inaudito, preoccupante avvisaglia di quello che potrebbe essere il futuro (dis)-ordine internazionale. Che allinea l’Italia, in anticipo su altri paesi europei, al nuovo corso trumpiano, rafforzando ulteriormente, come solo la complicità nel crimine può fare, il legame che già avvinceva Giorgia Meloni al plutocrate d’oltreoceano.

Nuova e senza precedenti è anche la decisione del governo di sospendere i lavori del Parlamento in risposta alla richiesta delle opposizioni di riferire in aula. Se, sul piano internazionale, il malcelato disprezzo per la Cpi e l’Onu certifica la regressione verso una concezione assoluta della sovranità esterna (nelle relazioni tra Stati), l’attacco ai giudici e al parlamento segnala l’insofferenza nei confronti dei limiti alla sovranità interna (riguardante i rapporti tra lo Stato e i suoi cittadini). Ossia il ritorno a una concezione assolutistica, pre-costituzionale, del potere, in cui chi governa è al di sopra delle regole e non è tenuto a rispondere delle sue scelte né ai giudici né ai rappresentanti dei cittadini.

In fuga dal parlamento, la presidente del Consiglio si è rivolta direttamente al popolo, via video. Non per chiarire i contorni della vicenda che la riguarda, ma per evocare complotti, giurare che non è ricattabile, attaccare i giudici “politicizzati” che pretendono di governare al suo posto, senza il crisma della legittimazione elettorale.

Niente di nuovo sotto il sole, in questo caso. Nella forma e nella sostanza (seppur con una buona dose di aggressività in più), siamo in continuità con gli anni ruggenti del berlusconismo. Quelli che Giorgia Meloni ha attraversato in posizione tutt’altro che defilata, rivestendo la carica di ministro per la Gioventù nel quarto governo Berlusconi. Più a suo agio, in genere, nei panni di nipotina di Almirante che in quelli di frequentatrice di Arcore, la presidente del Consiglio mostra oggi di saper mettere a frutto la lezione di entrambi i suoi mentori.

Se questi due anni e mezzo di governo, all’insegna della guerra contro i poveri, hanno certificato la sua definitiva rottura con la tradizione della destra sociale (suggellata dall’abbraccio con Elon Musk), l’accanimento contro i migranti e l’ossessione per la “sostituzione etnica” rimandano alla radice mai recisa con la cultura del ventennio.

Ma è nella concezione della politica che si ritrova la perfetta sintesi di una storia all’insegna dell’eclettismo: populismo mediatico e repressione sistematica del dissenso. Un mix micidiale, con cui dovremo fare i conti ancora a lungo.

VALENTINA PAZEÉ

da il manifesto.it

foto: screenshot tv ed elaborazione propria

categorie
Politica e società

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