Dalle parti di Fratelli d’Italia la narrazione è questa: gli operai e i sindacati tentano di esacerbare il clima sociale, di esasperare i toni, di creare un vero e proprio stato di rivolta contro il decreto sicurezza. Quasi un atto di lesa maestà. Non sia mai! Peggio farebbero le opposizioni, sempre secondo la destra-destra al governo del Paese: soffierebbero sul fuoco di una tensione palpabile che, fondamentalmente, riguarda le difficoltà di arrivare ad una soluzione dei problemi del mondo del lavoro.
Di responsabilità di Palazzo Chigi nemmeno a parlarne. Non c’è da stupirsi. Così è, se gli pare. E gli pare proprio, sempre e comunque: il punto di vista, infatti, è quello dell’industria, dell’impresa e mai quello di chi lavora, di chi ha gli stipendi fermi da anni ed erosi dall’incedente aumento dell’inflazione, da una economia di guerra che pensa, per l’appunto, a foraggiare le casse delle produzioni belliche e a far dimagrire, di contro, quelle del residuo stato sociale.
I metalmeccanici di CGIL, CISL e UIL scioperano con punte dal 70 al 90% di adesioni (per Federmeccanica, come un po’ per le questure nei conteggi dei manifestanti di piazza, il dato sarebbe addirittura ridotto ad uno striminzito 20%) e con il fermo di numerose fabbriche in tutta Italia. Lo fanno perché il loro contratto nazionale non vede la luce, mentre il costo della vita aumenta, compresa quella benzina che, proprio a causa delle guerre in essere, sta riprendendo il volo.
Dunque, gli operai scioperano e decidono, in ben diecimila, di fare un tratto di corteo sulla tangenziale bolognese. Occupazione di sede stradale. Reato penale. Dal 1948 quasi ad oggi il tutto era, seppure non irrilevantemente, rubricato con una sanzione pecuniaria (ed era già grave quella…). Il governo dei patrioti ci ha aggiunto la galera: il gusto della repressione è nelle corde della destra. Il famoso “pugno duro“, il “mettere giudizio“.
Il celeberrimo “decreto sicurezza“, convertito in Legge dal Parlamento poche settimane fa, ora consente di punire le occupazioni stradali con pene pecuniarie fino a 4.000 euro e due anni carcere. Pensato ufficialmente per reprimere i sit in e i flash mob dei giovani ambientalisti, dei comitati contro le grandi opere e dei movimenti in generale, in realtà il famigerato decreto è un attacco anche e soprattutto al diritto di sciopero. Questa paradossale denuncia che prenderanno i metalmeccanici ne è, in tutta evidenza, la prova.
Da un lato la Costituzione, che garantisce il diritto di manifestazione, di sciopero, di critica, di associazione e di rivendicazione di tutte le tutele sociali possibili. Dall’altro il governo patriottico di Giorgia Meloni che vuole fare in modo di evitare che questi diritti siano propriamente tali: mantenuti al massimo formalmente, ma poco realmente godibili in quanto tali.
Nelle ore in cui si manifesta, da parte della questura bolognese, quello che viene presentato come l'”atto dovuto” ex legem, sottosegretari leghisti al lavoro mandavano a dire che, in fondo, questo diritto di sciopero andrebbe limitato solo ai giorni infrasettimanali e non dovrebbe essere permesso manifestare per i propri diritti e per averne di nuovi nei giorni in cui il turismo estivo abbisogna di tutti i servizi possibili e, quindi, non vuole scocciature: lunedì e venerdì, secondo Durigon sarebbero giornate extra-sciopero.
La maggioranza di governo è un profluvio di dichiarazioni sulla necessità che lo sciopero, “sacrosanto diritto” (sic!) dicono sempre dalle parti di Fratelli d’Italia (e della Lega), non divenga un’arma politica per attaccare il governo. In particolare nel periodo estivo. Insomma, care lavoratrici e cari lavoratori, non dovete rompere le scatole ai vacanzieri. Vale più un punto di PIL turistico e un plauso da Federmeccanica e dalle altre associazioni padronali, rispetto ad un aumento del salario di milioni di persone che non hanno un contratto rinnovato da tanto, troppo tempo.
Cosa chiedono i metalmeccanici? Duecentottanta euro in più in busta paga all’anno, meno ore di lavoro e la stabilizzazione dei precari. Sono richieste così esorbitanti? Siccome la già citata Federmeccanica, unitamente a Assistal e Unionmeccanica non intendono sedersi al tavolo delle trattative, cosa rimane da fare alle operaie e agli operai, a tutti i lavoratori? Scioperare, è naturale. Ma solo se non si dà troppo fastidio, se si dimostra di stare entro i “termini di legge“.
Il che vorrebbe dire non creare quel necessario disagio utile a portare davanti all’opinione pubblica il problema e, quindi, a spingere il governo nella direzione di una soluzione del problema. Da che sciopero è sciopero, l’astensione dal lavoro e le manifestazioni hanno, al prezzo delle giornate di stipendio che saltano, proprio la funzione di creare un effetto uguale e contrario che parli alla controparte per indurla ad uscire dal pervicace immobilismo.
Qualcuno dovrebbe spiegare alle destre che la funzione dello sciopero è esattamente questa: alterare quello che il padronato vorrebbe fosse un normale corso degli eventi, costringendo magari lavoratrici e lavoratori a subire gli effetti, le conseguenze delle contingenze dettate da scelte economiche solo e soltanto imprenditoriali: dunque volte esclusivamente alla tutela dei profitti e non invece dei salari.
Fa bene il governo a preoccuparsi della tenuta della sua eversivo-repressiva “Legge sicurezza“, perché è una disposizione che contrasta con l’impianto costituzionale nel suo insieme e, nello specifico, con quei diritti fondamentali che riguardano i cittadini che sono ciò su cui si fonda la Repubblica: sono il mondo del lavoro. Ma non è soltanto un punto di diritto, di tecnicismi legali.
Qui è in gioco davvero la tenuta di un insieme di tutele che si reggono le une con le altre: con il diritto di sciopero sempre più limitato, con una informazione acquiescente nei confronti dell’esecutivo, quali garanzie rimangono di bilanciamento tanto delle istanze sociali con quelle del profitto, quanto di quelle politiche e civili? La sconfitta referendaria viene, infatti, presa come un dato di fatto: una legittimazione delle posizioni del governo in materia di occupazione.
Niente di più falso e meschino. La disperazione operaia è tanta che fa dire a molti lavoratori: ci denuncino pure, il rischio di subire un processo e di finire magari anche in galera è niente rispetto alla povertà che avanza e che è praticamente una inquietante e devastante certezza. L’interruzione annosa delle trattative, da parte delle associazioni padronali, è di nocumento a tutti i comparti produttivi e rischia veramente di provocare una paralasi economica per il Paese.
Il governo pensa di risolvere questa situazione mettendo mano alla repressione, provando un disincentivo nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori basato sulla coercizione? Verrebbe da dire che non c’è nulla di più coerente di un esecutivo conservatore e reazionario che fa il cavalier servente della classe imprenditoriale. Ma è una coerenza che costa carissima. I numeri sono tutti dalla parte del sindacato: nonostante le minacciose parole degli esponenti della maggioranza meloniana, gli operai scioperano e costringono le fabbriche alla chiusura.
Se il movimento sindacale e il mondo del lavoro non riescono a fermare l’autoritarismo del governo, difficile che possa riuscirvi un atomizzato fronte delle opposizioni. Dalle rivendicazioni sociali deve venire il primo impulso per una riemersione della coscienza critica, diciamo proprio “di classe“, che evidenzi come l’argine alla deriva ipertrofica dell’a-democraticità delle forze di destra comincia dalle rivendicazioni necessarie per impedire un pauperismo sempre più esponenziale.
La povertà dilagante è campo minato in cui la sicurezza viene meno e permette proprio alle peggiori forze reazionarie di campare di rendita da un lato, di conquistare nuovi pericolosissimi spazi dall’altro. Gli anticorpi moderni nei confronti di questa impostazione eversiva contro le fondamenta della Repubblica stanno nella capacità di risaldare il movimento dei lavoratori con quello degli studenti, con un vasto mondo della cultura che non ha perso la capacità di indignarsi ma è stato opacizzato dalle protervia vera e propria delle destre.
Il fine non è il governo del Paese ma il mantenimento del potere col fine di compiacere coloro che sostengono le attività politiche dei partiti di maggioranza. Il quadro complessivo dell’istituzionalismo democratico cede sotto il peso di una sempre maggiore condiscendenza verso il privato, verso l’interesse di una classe dirigente che esige lo sfruttamento del lavoro per avere più competitività sui mercati. In nome di ciò, qualunque repressione è legittima.
Contro questo paradigma, tutt’altro che nuovo, va ricostruita la rete di rapporti che mette avanti a tutto la democrazia sostanziale, fatta di diritti sociali e civili, di inclusione, di uguaglianza a tutto tondo per tutti coloro che vivono o sopravvivono in Italia. La vicenda dei metalmeccanici di Bologna ci deve dare nuova, ulteriore forza per rivendicare la disobbedienza nei confronti delle leggi che non regolano gli interessi comuni ma che restringono gli spazi di partecipazione.
Senza partecipazione non c’è confronto e non c’è crescita civica, civile e sociale. Quella deviazione del corteo operaio sulla tangenziale, quell’atto di consapevole violazione della Legge ingiusta sulla sicurezza, sono la premessa di una pacifica ma risoluta presa in carico da parte degli operai di un compito: non farsi intimidire, non avere paura, non mostrarsi remissivi davanti alla prepotenza governativa e imprenditoriale.
Chi aveva sostenuto che la lotta di classe fosse un retaggio ormai novecentesco ora, forse, può provare a ricredersi: i presupposti perché si riabbia dai suoi frequenti mancamenti ci sono tutti. A noi il compito di sostenerla nel solco della tradizione del movimento operaio, di quello degli studenti e dei tanti movimenti sociali e culturali presenti nel Paese: nonostante tutto, un rigurgito anticapitalista e antigovernativo c’è e può farsi sentire. Senza se e senza ma.
MARCO SFERINI
21 giugno 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria