Se Terracini è uguale a Goebbels, il problema non è solo a Genova

Nonsolodraghi. Potrebbe essere un titolo per queste righe che leggerete, per incuriosire e per non anticipare del tutto ciò che scorrerete tra poco: si tratta, in fondo, della solita...
I soldati dell'Armata Rossa hanno liberato Berlino e issano la bandiera rossa sul Reichstag (2 maggio 1945)

Nonsolodraghi. Potrebbe essere un titolo per queste righe che leggerete, per incuriosire e per non anticipare del tutto ciò che scorrerete tra poco: si tratta, in fondo, della solita piccola storia ignobile di equiparazione del nazismo e del fascismo al comunismo. I tentativi di revisionismo storico sono una quinta teatrale, davanti a cui recitano attori che vogliono imporre un copione che si inserisce benissimo nella scenografia, preparata in decenni di allenamenti demagogici, di richiami alla parificazione tra vinti e vincitori, tra repubblichini di Salò e partigiani.

E’ la cosiddetta “memoria condivisa“, che viene elevata a virtù nazionale, a nuova traduzione attuale di una frattura storica che, giustamente, si è riversata anche nel dopoguerra come linea discriminante di demarcazione netta tra i valori della nostra Repubblica e i disvalori dei neofascisti che, in svariati modi, tra tentativi di colpi di Stato, strategie della tensione e speculazioni sulle foibe, hanno provato a fare strada ad una narrazione alternativa dei fatti accaduti nel corso del ventennio criminale di Mussolini e nei cinque anni di guerra che ne sono stati il tragico epilogo.

Accade, dunque, che nel Consiglio Comunale di Genova venga approvata una mozione che richiede, accanto alla costituzione di una anagrafe antifascista e antinazista anche una anticomunista. Fascismo, nazismo e comunismo messi sullo stesso piano, tutte dittature. Stando a questo livellamento ineguale della storia, della politica e delle ideologie (non è una brutta parola, tranquillizzatevi), chi ha combattuto i nazisti e i fascisti in Italia, in Europa e nel mondo nel nome di una società democratica, libera, fatta di uomini e donne con gli stessi diritti sociali e civili, è praticamente equiparato ad Hitler, Goebbels, Himmler, I gaulaiter del Terzo Reich uguali ai sindaci antifascisti e comunisti di tante città dell’Italia liberata dai partigiani e dalle truppe alleate.

Provate a prendere qualunque soldato dell’Armata Rossa e mettetelo accanto ad un SS delle Einsatzgruppen organizzate dall’esecutore della “soluzione finale del problema ebraico“, il famigerato Reinhard Heydrich, che lo stesso Hitler amava chiamare “l’uomo dal cuore di ferro“. Sono soldati tutti quanti: gli uni portano divise a cachi e una stella rossa sul berretto; gli altri vestono di verde scuro, gli ufficiali rigorosamente in nero, e sul berretto hanno la testa di morto. Ma i primi avanzano da Est per liberare l’Europa da una tirannia che opprime l’Europa e manda i popoli non ariani nelle camere a gas di Sobibor, Treblinka, Chelmno, Auschwitz, gli altri hanno costruito i campi di sterminio e li difendono nel nome della razza superiore, del progetto di eliminazione di ogni “essere inferiore“, indegno di vivere…

Il nazismo e il fascismo uguali al comunismo. Ma quale comunismo? Non esistono nazismi diversi nella storia del ‘900. Esiste “il” nazismo che non si declina in nessuna altra forma che ne edulcori la visione razzista, antisemita, anticomunista. L’ideologia hitleriana nasce da una commistione di nazionalismo esasperato dal Trattato di Versailles, dalla debole democrazia di Weimar, dalla grande povertà dilagante in Germania negli anni ’20 e si consolida proprio in funzione anticomunista sul piano politico, mentre su quello sociale è ferocemente e violentemente antiebraica.

Il fascismo italiano, che del nazismo è il prodromo, ha declinazioni egualmente autoritarie e totalitarie in diverse parti del mondo: ad iniziare dalla Spagna che soccombe sotto il colpo di Stato di Francisco Franco e che esce esangue da tre anni di guerra civile. Il regime falangista durerà ben oltre la fine del fascismo mussoliniano, fino al 1978. Ciò avviene perché la mutuabilità del fascismo è consentita da un adattamento dell’originale italiano nei differenti Stati dove riesce a prendere corpo; mentre il nazismo è rigidamente ed esclusivamente teutonico. Nessun regime totalitario del XX secolo si richiamerà mai esplicitamente al regime di Hitler e tanto meno sarà così equiparato dagli storici e dai cronisti come sua emulazione. Mentre si parlerà invece di fascismo portoghese, greco, argentino, utilizzando questa definizione per identificare qualunque giunta militare al potere (Videla, i colonnelli, Peron).

Il comunismo cui ci si riferisce, per tentare la goffa equiparazione con nazismo e fascismo, è quello staliniano dell’Unione Sovietica dopo la morte di Lenin, a cui davvero antistoricamente, fuorviando la cronologia logica degli eventi ottocenteschi e novecenteschi, si vorrebbe far riferire l’intero movimento operaio e del lavoro, il complesso e complessivo mondo dell’anticapitalismo internazionale. Come se i comunisti, ad un certo punto della storia, fossero divenuti tutti stalinisti, sovietisti e non si fosse prodotta alcuna separazione tra la negazione del comunismo stesso fatta tramite la sua burocratizzazione statalista e la trasformazione della medesima in un regime che non permetteva l’espressione dell’essere umano nella sua pienezza, ma che negava tutti quei diritti per cui in Italia, ad esempio,  comunisti come Antonio Gramsci, Camilla Ravera, Umberto Terracini, Luigi Longo ed Enrico Berlinguer si sono battuti.

Terracini può essere messo sullo stesso piano di Mussolini? Secondo la mozione approvata dal Consiglio Comunale di Genova, sembrerebbe di sì: il condannato dal Tribunale Speciale fascista per la difesa dello Stato a 22 anni e 9 mesi di carcere solo per il fatto di essere antifascista, membro del Partito Comunista d’Italia, sarebbe eguale al dittatore che per un quarto di secolo ha distrutto le basi liberali, democratiche e sociali del nostro Paese.

Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italia, la cui firma sta in calce alla Costituzione stessa, sarebbe d’un tratto uguale al maresciallo Graziani o ad Alessandro Pavolini? Secondo il Consiglio Comunale di Genova, sì, se nazismo e comunismo sono la stessa cosa insieme al fascismo. Non esiste altro modo per dimostrare la cattiva fede (politica) e la presunta (voluta) ignoranza della Storia di chi ha redatto quella mozione revisionista, se non metterne i redattori e coloro che l’hanno approvata, nonché coloro che ne hanno permesso l’approvazione con un voto di astensione veramente incredibile, davanti ai fatti, partendo dalle origini dei medesimi, scavando nel recente passato, visto che la vittima prima di tutto ciò sembra essere la memoria.

Ancora una volta, questi tentativi di messa fuori legge dei comunisti, dei simboli storici del movimento dei lavoratori (falce e martello) come emblemi di morte e tirannia, avvengono in prossimità della “Giorno del ricordo“, voluto proprio dalle destre per celebrare la tragedia delle foibe astraendola dal contesto in cui si è venuta a creare nel corso della Seconda guerra mondiale.

La storia va raccontata interamente, gli episodi non possono essere prelevati dai contesti e studiati singolarmente come se potessero vivere una esistenza separata dal contesto in cui hanno preso a nascere e ad evolversi. Altrimenti si offre un terreno fertile alle strumentalizzazioni e al successivo passo revisionista. Per questo, se “Giorno del ricordo” deve essere, che allora si dica anche come mai in quel preciso punto del teatro tragico europeo della Seconda guerra mondiale, si verificarono gli infoibamenti: non solo perché nel Carso e nella Venezia Giulia vi erano caverne adatte a nascondere le vittime. Non è una questione geologica: è una questione sociale, politica.

Per oltre vent’anni gli italiani e i fascisti italiani avevano perseguitato le popolazioni slave, proibendo le lingue nazionali autoctone, impedendo loro di comportarsi come croati e sloveni. Avevano imposto lo stesso fascismo che vi era nel resto d’Italia in una parte del Paese conquistata soltanto dopo la fine della Prima guerra mondiale e precedentemente, per secoli, terra di confine tra la Serenissima Repubblica di Venezia e il mondo asburgico.

Una terra contrastata, un confine conteso da sempre. Le foibe sono una delle tante tragedie delle guerra e vanno studiate entro il contesto storico, sociale e politico in cui si formarono: il secondo conflitto mondiale, la resistenza jugoslava al Terzo Reich e alla Repubblica fascista di Salò. Si fa invece opera di revisionismo quando si decontestualizza e non si vuole raccontare tutta la verità, ricordare tutto ciò che la Storia, la memoria possono dirci.

Le destre italiane hanno lavorato in questa direzione approfittando, col passare del tempo, di un progressivo logoramento dei valori costituzionali fondati sull’antifascismo: tutte le ferite, anche quelle più profonde, prima o poi si rimarginano e le cicatrici, per quanto evidenti possano essere, non mostrano la lacerazione viva, quella che era ancora percepita come dicotomia naturale nella Repubblica nata nel 1946, difesa proprio dai comunisti italiani ogni volta che si è cercato di minare la giovane democrazia con eversioni neofasciste, simili a quelle elleniche o portoghesi.

Le foibe sono una tragedia? Certo che sì, ma non possono essere l’unico metro di giudizio della Resistenza jugoslava o quella italiana al Terzo Reich ed al fascismo. Dietro il più colpevole dei partigiani c’era una idea giusta di libertà, uguaglianza e giustizia sociale. Dietro al più umano dei fascisti c’era sempre e solo dittatura, oppressione e repressione brutale. Comunismo, nazismo e fascismo possono essere uguali soltanto per chi ha interesse a rimettere in discussione quella democrazia di cui tutti si sentono partecipi, che esibiscono come nuova cultura per i loro partiti che ancora conservano la fiamma tricolore nel simbolo, che voglio accreditarsi come presentabili e rispettabili.

Spesso si invoca proprio la libertà di espressione per giustificare le intolleranze antisociali, nonché le falsità storiche: proprio come quelle scritte nero su bianco nella mozione approvata dai consiglieri comunali di Genova. E’ una benevola contraddizione della democrazia: consentire anche a chi la disprezza di poterla usare per contrastarla, per combatterla facendo finta di amarla e venerarla come conquista non più archiviabile o superabile. La migliore difesa della democrazia non sta nel dirsi democratici e rispettare le idee di tutti: sta nel saperle coniugare una giustizia sociale che manca, che apre grandi orizzonti alle destre peggiori che si apprestano a far parte della maggioranza che sosterrà il governo Draghi.

Si può anche battersi il petto, dire che lo si fa per l'”interesse del Paese“, ma è proprio così che si legittimano forze politiche e posizioni che, rinvigorite dalla disperazione popolare per la crisi pandemica, economica e sociale in cui siamo, altrimenti sarebbero destinate ai margini della vita pubblica, poiché propongono una visione esclusivista della società, fomentando odio, discriminazione e separazione ancora una volta su base etnica, religiosa, intellettuale.

Non c’è spazio nella Repubblica per la sua Costituzione e per una mozione come quella genovese che equipara i comunisti a nazisti e fascisti. Se questo spazio si viene a creare e riesce ad accrescersi, il problema della vigilanza antifascista deve rimanere di stretta attualità, mediante un recupero della cultura, delle memoria e della Storia del nostro Paese e dell’Europa. La politica da sola può essere utile fino ad un certo punto: senza nuove generazioni consapevoli dei valori che i comunisti, insieme a tutti gli altri antifascisti, hanno difeso prima, durante e dopo il fascismo, è a rischio la tenuta civile, morale e sociale dell’Italia di oggi e di domani.

MARCO SFERINI

11 febbraio 2021

foto tratta da Wikipedia

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