Qualcosa sta cambiando. Non così velocemente come avrebbe dovuto essere, ma tant’è qualcosa sta cambiando. David Grossman, intellettuale israeliano conosciuto in tutto il mondo per le sue opere letterarie, ha dichiarato che ormai, visto quello che sta accadendo a Gaza, non ci si può più esimere dal pronunciare la parola “genocidio“. Questo termine che sembrava un tabù fino a poche settimane fa e che, per alcuni, lo è ancora, descrive l’entità del dramma, l’atrocità delle violenze che sono perpetrate dall’esercito sotto il comando di un governo che risponde soltanto alla propria ambizione di fare di Israele l’unico Stato in Palestina, la nuova potenza egemone nel Medio Oriente.
La prepotenza della destra religiosa, fanatica e colonialista è tale da destare qualcosa di più di una preoccupazione: se una democrazia può trasformasi ancora oggi in un regime genocida, bisogna mettere immediatamente mano agli anticorpi necessari, sostenere l’opposizione israeliana contro Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir. Un triumvirato dell’omicidio perpetrato su vasta scala, bombardando la popolazione della Striscia, lasciando solo poche zone “libere” dalle ostilità. Salvo poi prendere di mira anche i campi profughi e, quotidianamente, la gente, i bambini che cercano cibo, che cercano acqua.
Sarebbe questa la rappresaglia per i fatti del 7 ottobre? Se le vittime della strage di Hamas fossero vive, avrebbero sostenuto questa “vendetta” per la loro criminale uccisione da parte della fazione jihadista? Avrebbero davvero voluto una ritorsione tale da fare di Gaza un orizzonte piatto, senza più case, senza più scuole, ospedali, edifici di ogni tipo. Senza più reti stradali, senza più cibo, acqua, luce, gas… Senza niente altro che una disperazione di cui ci si nutre ma non sazia la fame, perché ne è parte integrante, ne è pieno deplorevole sostegno.
Oggi il mondo non ha più scuse: non può dire di non sapere. Parte del pianeta può, anche in buona fede, aver ritenuto giusto attaccare Hamas. Ma quando, dopo due anni, uno dei più potenti eserciti al mondo non è riuscito ad avere ragione delle brigate al-Qassam, cosa si deve pensare? Il tutto nel mentre con potentissimi droni venivano centrati, direttamente nelle loro abitazioni, i massimi dirigenti jihadisti, nonché alti comandanti iraniani. Tanto in Siria quanto in Iran. E con queste tecnologie avanzatissime, Israele non è stata in grado di debellare Hamas in pochi mesi?
Quanto è potente allora l’organizzazione islamica? Quanto ancora potrà esserlo, se è vero che resiste ad un esercito potentissimo per mezzi e risorse. Tsahal può rifornirsi di continuo di tutto. Hamas da chi può ricevere aiuti in una situazione simile, circondata da ogni lato della Striscia, dal deserto al mare? Parliamo di un territorio estremamente piccolo ed esile. Non ci sono centinaia di chilometri da penetrare con le fanterie e decine e decine di città da assediare. Ormai è sotto gli occhi di tutti quella che Grossman definisce come una “valanga che non fa che crescere“. La parola “genocidio” è questa stessa valanga, è uno tsunami che investe tutte e tutti, che non risparmia nessuno.
Per primi gli israeliani devono vedere questa dinamica terrorista e assolutamente criminogena: il governo della loro repubblica sta mettendo in essere un piano di vero e proprio sistematico sterminio. Chi lo nega, se non se avvede oggi, se ne pentirà forse domani. Chi lo constata, non può che, per scuotere le coscienze, invocare il monito della Storia. Ha ragione Grossman quando afferma che ormai ogni tentativo di non pronunciare la parola tabù è impossibile, perché i fatti parlano molto meglio delle stesse parole e sono evidenti.
Li negano soltanto coloro che li stanno producendo dai loro posti di comando e che devono continuare a raccontare l’opposto di ciò che a Gaza sta avvenendo. Non si può dare torto allo scrittore israeliano quando sostiene che riferire allo Stato ebraico una parola che ha riguardato i peggiori regimi criminali della Storia, tra cui uno dei primi posti spetta al Terzo Reich di Adolf Hitler, fa venire i brividi. Una nazione che diviene genocida contraddice palesemente sé stessa: perché lo sterminio di massa è fatto nel nome di un popolo contro un altro popolo. Nel nome di una patria contro un’altra patria. Nel nome di una cultura contro un’altra cultura.
Il genocidio presuppone che non possa esservi condivisione, convivenza, collaborazione. L’apartheid in Cisgiordania, il neocolonialismo praticato con la connivenza esplicita del governo (anche laddove le colonie sono, per il diritto e la legge dello Stato ebraico, in aperto contrasto con le leggi) – come ha opportunamente osservato Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per il Territorio palestinese occupato (e sanzionata dagli USA per le sue denunce su quanto avviene a Gaza) – vengono portati avanti un momento storico, che dura ormai da più di mezzo secolo, in cui questi regimi di oppressione hanno lasciato il passo alla costruzione di nazioni indipendenti.
Tutto quello che il governo israeliano ha praticato in questi decenni, infischiandosene delle risoluzioni delle Nazioni Unite, dal confinamento fisico alla demolizione delle abitazioni, dall’applicazione delle restrizioni di libertà alla carcerazione con annesse e connesse torture che violano i più elementari diritti umani; dalla confisca delle terre all’espropriazione forzata e violenta da parte dei coloni che sono il braccio armato della destra iper-religiosa nella West Bank, tutto questo non è tipico di una democrazia, ma di un regime autoritario e oppressivo.
Quindi, così come la guerra contro Gaza non è una guerra ma una operazione sistematica di espulsione e sterminio dei palestinesi (come chiamereste 111 morti in un solo giorno? Erano palestinesi, civili che aspettavano i rifornimenti…), altrettanto la colonizzazione della Cisgiordania è la premessa di una volontà annessionistica che non intende lasciare nessuno spazio al dialogo con l’Autorità Nazionale Palestinese che, almeno formalmente, ha ancora la giurisdizione su quelle che Israele torna biblicamente a chiamare province di Giudea e Samaria.
Esiste da tempo un “dualismo legale“, ipocrita, segregazionista, che tratta i palestinesi con la durezza delle legge marziale e i coloni con il blando ricorso alle normative civili. La somma di tutte queste discriminazioni conclamate, che non nascono dopo il 7 ottobre ma che sono un po’ la orribile storia dello Stato di Israele da quaranta e più anni a questa parte, sta diventando qualcosa di insostenibile anche per un governo criminale come quello che tiene le sorti del conflitto a Gaza e su tutti gli altri fronti aperti nel Medio Oriente.
Israele, nella oggettiva considerazione comune, anche di analisti tutt’altro che definibili come “amici” dei palestinesi o della pace tra i due popoli, ha oltrepassato qualunque linea rossa, perché non risponde a nessun criterio di collaborazione internazionale ed agisce, proprio come Putin in Ucraina (seppure le premesse di partenza dei conflitti sono molto differenti fra loro) senza tenere in considerazione niente altro se non il proprio centro nella dimensione regionale e in una più ampia fascia di contenimento di interessi che riguarda il piano globale dell’economia (quindi la sponda atlantica).
Intendiamoci, l’accusa di “antisemitismo” la si rischia anche oggi da parte degli esponenti tanto del gabinetto di guerra di Tel Aviv quanto di comunità ebraiche che non riescono a farsi un esame di coscienza tra passato e presente, tra orrori di ieri contro loro e orrori di oggi contro i palestinesi. Così, come la si rischia parlando, naturalmente, di “pulizia etnica” o di “genocidio“. Probabilmente daranno dell’antisemita anche a Grossman… La situazione di Gaza è da prigione a cielo aperto da qualcosa di più del 7 ottobre 2023. Per lo meno dal 2007, quando le relazioni dell’ONU definivano non solo la Striscia ma l’intero Territorio palestinese occupato in quel modo. E questo perché le condizioni di invivibilità nella West Bank non erano rispetto a Gaza stessa.
I processi di disumanizzazione del popolo palestinese non da oggi si verificano con la immane tragedia dei gazawi. Nell’attualità storica del presente che si avvicenda di giorno in giorno le colpe dei governi e anche delle organizzazioni internazionali non vanno sottaciute. Per una concatezione di interessi bi-trilaterali, orchestrati sapientemente dal capitalismo occidentale, dall’asse tra Tel Aviv e Washington, le coperture fornite ad Israele (e le tante forniture di armi mai del tutto dismesse dai più importanti paesi della “civile” Europa) hanno implementato gli effetti dell’occupazione militare, del colonialismo e della sua torsione in apartheid moderno.
Bisogna, in tutto questo apocalittico scenario, distinguere, non perdere la bussola della differenza e, quindi, evitare di cadere nel semplificazionismo, in un altra banalità del male che è quella che sostiene, nel vuoto più totale dell’analisi circostanziata dei fatti, l’unicità tra ebrei, israeliani e governo israeliano. Così come non si possono mettere sullo stesso piano – come fanno Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir – le Brigate Ezzedin al-Qassam con l’intero popolo palestinese e col mondo arabo nel suo insieme, altrettanto non si deve fare sul fronte israeliano.
Ciò non impedisce di denunciare i crimini del governo, che rimangono crimini dell’esecutivo a cui il popolo dello Stato ebraico deve ribellarsi. Senza uno stravolgimento degli equilibri politici interni non ci potrà essere una vera svolta nella questione di Gaza, così come in quella della Cisgiordania. Qualcosa di più della miserevole, razzista, suprematista sionista incultura dell’inciviltà rappresentata dal governo Netanyahu l’ebraismo lo può essere ancora, dopo tremila e più anni di storia… Se così non fosse, lo Stato di Israele non si fonderebbe che sulle macerie di un popolo.
Non sul diritto, ma sull’appropriazione indebita di una terra in cui c’era e c’è posto per tutti, così come nel grande continente americano vi sarebbe stato posto per i nativi e per i coloni inglesi divenuti statunitensi. Ma la logica della conquista è naturalmente intrecciata a quella della prevalenza, della sopraffazione. Si deve mettere fine a questa impostazione disumana che non ha nulla a che vedere con la libertà e la democrazia a cui tanto si fa riferimento. Sempre molto, ma molto impropriamente e inopportunamente. Un alibi che non può durare ancora a lungo.
MARCO SFERINI
1° agosto 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria







