Rifondazione, dal precipizio ad una nuova occasione di utilità sociale

Ma perché bisogna sempre attribuire ad altri fini ciò che è invece palesemente evidente, almeno per chi scrive? La linea tracciata da Paolo Ferrero nel documento 2, proposta all’esame...

Ma perché bisogna sempre attribuire ad altri fini ciò che è invece palesemente evidente, almeno per chi scrive? La linea tracciata da Paolo Ferrero nel documento 2, proposta all’esame del Congresso nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, è incondivisbile. Sarà o no questo un motivo legittimo per poter fare una lotta in favore di una linea alternativa o si deve essere tacciati di “tradimento” delle posizioni venute fuori tre anni fa dalla vecchia assise del PRC?

Sembra quasi, in questa modernità tanto fluida quanto, quindi, inafferrabile, che le opinioni valgano soltanto se aderiscono ad una coerenza immarcescibile, che resiste ostinatamente ai tempi, che si fa beffe dei mutamenti repentini così come di quelli di medio e lungo termine. Pazienza se ci si ritrova in un letto di procuste, lì dove non si vorrebbe proprio stare e dove non si vorrebbe proprio far marcire la trentennale notevole esperienza politica, sociale e culturale rappresentata da Rifondazione Comunista.

Ciò che conta è la coerenza senza se e senza ma. Capiamoci: i firmatari e sostenitori del documento 2 la intendono come una sicura prosecuzione del tentativo di costruire un terzo polo della sinistra di alternativa con una serie di formazioni ultra minoritarie che escludono a priori il dialogo con importanti settori del progressismo politico, così come con una parte altrettanto importante del sindacato e dell’associazionismo di questa disgraziata Italia moderna del 2025. In sottofondo, ma poi nemmeno tanto, nel documento 2 di Ferrero c’è esattamente questo: una alterità che è prosopopeicamente alterigia.

Invece di rimettere a disposizione proprio della malsana evoluzione di questi tempi di economia di guerra, a tutto tondo, il progetto della rifondazione comunista (tutto minuscolo qui, perché non parliamo solamente del Partito, ma di ciò che lo ha ispirato fin dal principio), lo si vorrebbe ingessare, inquadrare, incasellare in un ennesimo tentativo di ristrutturazione della sinistra di alternativa che non ha oggettivamente spazio in un bipolarismo anomalo che, però, esiste e con cui tocca fare i conti.

I dirigenti nazionali che hanno sostenuto il documento 2 hanno dato ad intendere ad una vasta platea di compagne e di compagni che noi, che invece abbiamo sostenuto il documento 1 promosso dal Segretario nazionale uscente Maurizio Acerbo, volevamo fare la stampella del PD, rieditare la formula cossuttiana della “sinistra del centrosinistra“. Niente di più ipocritamente falso. E va detto senza mezzi termini, perché quando una menzogna è così platealmente espressa, altrettanto platealmente va smentita.

Speciale XII Congresso nazionale di Rifondazione Comunista

Nessuno ha mai pensato di far confluire Rifondazione Comunista in un nuovo centrosinistra, in una alleanza anche timidamente intesa come tale, in un progetto organico che inglobi il partito nel perimetro attuale del così impropriamente detto “campo largo“. Ma perdiana e anche pergiove, sarà invece possibile auspicare che il PRC possa dare un contribuito, nell’era del melonismo, alla costruzione di un fronte democratico, progressista, antifascista (eccetera, eccetera…) vasto, esprimendo così quel potenziale sociale e culturale che, da sempre, è pietra angolare del progetto rifondativo del comunismo italiano.

Un comunismo che deve essere un movimento reale e non un ingessamento di posizioni in recinti settari che guardano ombelicamente alla propria virtuosa coerenza, pur in un contesto analitico condivisibile nella maggior parte delle pagine dei due documenti portati alla discussione nazionale e che, quindi, è la prossimità più preziosa che ci concerne tutte e tutti e che ci fa stare nello stesso Partito. Dobbiamo mettere a valore la critica condivisa nei confronti del capitalismo neoliberista pertanto da una strategia di lungo corso e non riducendosi a stagnare in un tatticismo iperidentitario da un lato e ultragovernista dall’altro.

Quest’ultima posizione è tipica di formazioni come Alleanza Verdi e Sinistra che, pure avendo molti punti di contatto con noi, non ci trova d’accordo sulla collocazione aprioristica nel centrosinistra che, del tutto chiaramente, esclude una critica indipendente e una elaborazione altrettanto tale dei programmi e dei progetti di lotta rispetto alle mosse del PD. Fondamentalmente del partito di Elly Schlein che, sottolineiamolo, non è più il PD di Matteo Renzi o di Enrico Letta. Ha ancora al suo interno una serie di aree moderate che lo attraversano.

Così come noi abbiamo al nostro interno nostalgici di questo o quel periodo politico o storico, sebbene siano sempre meno anche per raggiunti termini di età o per esaurimento delle illusioni lasciate dalla lunga scia del socialismo irrealizzato e dei feticismi che ne sono deleteriamente venuti fuori. Un comunismo nuovo, del XXI secolo dovrebbe invece respirare un’aria di libertarismo, concepirsi come rivoluzionario a partire da sé medesimo e non guardare più soltanto alla liberazione umana ma ad una liberazione di tutti gli esseri viventi da un antropocentrismo soffocante e omicidiario.

Noi ci fermiamo spesso sulla soglia della lotta al razzismo, che è preziosa e non derubricabile a subordinata rispetto ad altri diritti come quelli sociali che abbiamo, più che opportunamente, ritenuto a lungo di assoluta primaria importanza. Dobbiamo andare oltre quella soglia e pensare all’anticapitalismo come ad una lotta contro ogni forma di sfruttamento, sorpassando il concetto di “umanità“, facendolo nuovo in quello di “animalità“. Se non siamo noi comunisti a proporre una rivoluzione antispecista, che è quindi rivoluzione contro ogni forma di discriminazione, sfruttamento e appropriazione delle vite altrui, nessuno lo farà su un terreno squisitamente politico.

Nei due documenti questa capacità di evoluzione antropologica della nostra base concettuale, ideologica e anche squisitamente ideale, è quasi completamente assente. Noi ci perdiamo nelle disquisizioni sulla purezza dei nostri simboli, delle nostre linee di estrema coerenza, provando ad interpretare un superomismo molto posticcio per creare delle comuniste e dei comunisti indefessamente lucidi e avanguardisti nell’essere coloro che hanno capito più di altri in che mondo stanno.

Benissimo. Come mai questa attitudine marmoreggiantemente granitica, statuariamente imponente di un’etica politica al di sopra di tutto e tutti non riflette sullo sfruttamento, oltre che della specie umana, anche di tutti gli altri esseri viventi? Questo impulso scatta quando si parla della Natura con la enne maiuscola perché ci comprende tutte e tutti e lo percepiamo oggettivamente. Ma non scatta se pensiamo agli altri esseri viventi, agli “animali non umani“. Noi siamo animali ma continuiamo a sentirci solo umani e quindi altro dal resto dell’esistenza senziente nel suo complesso.

Sarebbe importante assistere ad una trasformazione culturale, sociale e anche morale del Partito della Rifondazione Comunista: lottare contro ogni forma di neoautoritarismo, andando al di là dell’autoreferenzialismo un po’ edonistico della riproposta del terzo polo come unica ragione di esistenza futura del PRC, e allo stesso tempo concepire il tutto in una cornice molto più ampia che sia la premessa di una riconsiderazione generale dei rapporti non solo di classe, ma anche di specie.

Tornando, però, alla questione di cui al principio, se ogni passo in avanti verso la liberazione degli esseri viventi e senzienti dallo sfruttamento del capitale e della sua torsione neoliberista (a far data almeno dagli anni Settanta del secolo scorso), è dato dalla sconfitta delle forze conservatrici, neofasciste, neoautoritarie e iperliberiste che oggi conoscono una stagione di espansione pressoché globale, non possiamo non assumerci la responsabilità di essere parte di un processo di resistenza a tutto questo.

Possiamo, in Italia, essere da soli i rappresentanti di questo fronte resistenziale? Possiamo pensarlo come giusto, retto e probo, utile quindi alla Causa con la ci maiuscola, se compiuto esclusivamente da forze politiche che non scendono a compromessi con niente e nessuno? Potremmo e saremmo contenti di tanta purezza ideale e pratica. Ma non è così. Dei rapporti di forza bisogna oggettivamente tenere conto, altrimenti si producono solamente dei miraggi, delle illusioni, dei compiacimenti che ci gratificano nell’immediato ma che non danno adito ad effetti reali per quella miriade di sfruttati che ci picchiamo di voler rappresentare.

Viviamo in una insufficienza che è il prodotto di una sconfitta storica. Non solo nel ristretto ambito nazionale italiano. Il mondo del lavoro è dentro questa flessione partecipativa che riguarda non solo la coscienza di classe, ma l’essenza stessa delle ragioni di una lotta costante per una rivendicazione dei diritti sociali come premessa per l’affermazione di un vero e proprio mondo di diritti negati.

Tutta una serie di conquiste che abbiamo dato per scontate, oggi vengono invece messe in discussione da un revanchismo di una destra che mette da parte la democrazia e si salda col capitale. Il capitalismo, in questa nuova stagione di emersione di una sorta di internazionale nera sovranista, populista che parla e mette in pratica deportazioni di esseri umani da una parte all’altra dei mari, che progetta nuove nakbe per il popolo palestinese, che, con grande disinvoltura, progetta annessioni di altre nazioni come se si stesse giocando davvero a Risiko, mostra davvero un volto nuovo.

Le destre che in Italia rappresentano politicamente questo volto, lo sostengono e lo tutelano dalle critiche sociali, spacciano per popolari interventi governativi che intaccano mortalmente il diritto ad un’esistenza dignitosa per milioni di lavoratori e di senza lavoro, per milioni di precari e di disoccupati di lungo termine. Rifondazione Comunista ha il dovere di essere, in tutto ciò, un partito UTILE ma non utilitarista; un partito AUTONOMO ma non isolazionista; un partito INDIPENDENTE culturalmente ma non impermeabile alle altre culture.

Il documento proposto da Paolo Ferrero, anche ammesso che non voglia – e questo posso crederlo sinceramente – portare il PRC in quelle secche ultraminoritarie, finisce col farlo almeno indirettamente perché esclude il confronto con tutta una serie di realtà sociali, politiche e civili che sono considerate irrecuperabili per il loro passato compromissorio con le influenze liberiste sul terreno squisitamente istituzionale e della rappresentanza, quindi, antisociale.

Ma, ce lo insegna prima ancora di Marx l’essenza stessa del processo dialettico storico, nulla è mai uguale a sé stesso nella mutazione dei tempi che non è affidata ad un principio astratto, bensì, appunto, al divenire dei rapporti di forza che sono parte della lotta fra le classi nel corso dei millenni. Possiamo, dunque, noi non tenere in considerazione questi mutamenti?

Possiamo escludere alleanze con il centrosinistra ma, al contempo, pensare di dialogare anche con il PD di Elly Schlein, anche con il Movimento 5 Stelle di Conte e con AVS di Fratoianni e Bonelli, oltre che con altre forze minori? Non solo possiamo, ma dobbiamo farlo. Questo non vuol dire allearsi, nemmeno presupporre accordi. Ma vuol significare porsi nell’ottica e nella pratica di una politica concreta: una politica che valuta, di volta in volta, senza tradire i princìpi della sua ragion d’essere, il da farsi. E non si preclude nulla e non ha pregiudiziali se non una: l’antifascismo.

Per quanto mi riguarda un partito comunista ha un valore aggiunto rispetto alle altre forze politiche non soltanto se continua ad esserne differente per obiettivi e per critica dell’esistente, ma soprattutto se muove delle contraddizioni, se agita le acque stagnanti del conformismo, dell’adeguamento, di quello che un tempo chiamavamo il “pensiero unico“.

Nonostante tutta la buona fede possibile, la linea tracciata da Ferrero ci condanna ad una irrilevanza che prescinde, proprio per questo, dai rapporti di forza e dalle contingenze attuali. Ed è per questo motivo che va respinta. Sull’analisi complessiva dell’attuale fase si conviene e si deve convenire: la critica al sistema delle merci e dei profitti non può essere contrattabile, così come non possono esserlo le nostre storiche rivendicazioni sui diritti del mondo del lavoro, dello studio, dello stato sociale nel suo complesso.

La coerenza dei princìpi, la rivendicazione delle lotte, la concretezza del confronto col mondo più vicino a noi. Su questo trittico deve poggiare il processo di rifondazione comunista per i prossimi anni. Per una sinistra di alternativa che venga sentita dagli sfruttati come naturale referente politico. Ancora una volta, ancora e ancora.

MARCO SFERINI

8 febbraio 2025

foto: screenshot ed elaborazione propria

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