«Rientrando dal lavoro, e sentendo i Tg, ho scoperto che sono tossico. Così ha detto la presidente del Consiglio Meloni, almeno. Ma io non sono mai stato così bene. Sarà perché, abituato a condividere la mia vita con tanti tossici come voi, uno poi si abitua. Ma vorrei rincuorare chi ha queste paure: se questo paese è democratico, dove addirittura quelli che oggi governano lo hanno fatto attraverso il voto, è grazie alle lotte di tutti quelli che loro chiamano “tossici”. Sono i lavoratori in carne ed ossa. Senza il conflitto democratico che hanno condotto nella storia di questo paese non ci sarebbe la democrazia».
Il segretario della CGIL Maurizio Landini ha risposto con ironia all’attacco di Meloni durante un intervento all’assemblea nazionale della Cisl. Lo ha fatto all’assemblea generale della Cgil che si è tenuta al Paladozza di Bologna. Davanti a i 3 mila delegati di tutte le categorie nazionali e dello Spi ieri è iniziata la campagna referendaria contro il Jobs Act e per la cittadinanza. Il voto è previsto tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Il conflitto che Meloni ha stigmatizzato come «tossico» è stato rideclinato da Landini come quello tra la «libertà del mercato e del profitto», e la «libertà della solidarietà». «Siamo in un passaggio d’epoca» ha detto il segretario della Cgil riferendosi al fatto che il capitalismo si è fatto Stato con Musk e Trump, e crescono nuove ipotesi autoritarie e conservatrici. Lo strumento per opporsi è la partecipazione. Da qui passa la «rivolta» di cui Landini parla da tempo. L’idea è stata ripresa nel titolo dell’assemblea generale: «Il voto è la nostra rivolta».
«L’obiettivo di portare a votare 26 milioni di persone non è facile – ha riconosciuto Landini- Ci dobbiamo credere in primo luogo noi, se non lo facciamo è difficile convincere qualcun altro. Credo davvero che noi non solo abbiamo ragione ma che possiamo avere la forza per dimostrare che la maggioranza di questo paese ritiene che la libertà non è il profitto, ma è solidarietà, ciò che mette insieme e si prende cura».
Quorum, questo è il problema. Per raggiungerlo Landini ha riproposto uno schema che ricorda quello dei cerchi concentrici: «Noi abbiamo più di 5 milioni di iscritti – ha detto – Sarebbe sufficiente che ognuno di noi convincesse 5 non iscritti, allora avremmo già 25 milioni di votanti al referendum». Alla platea dei delegati che hanno riempito il palazzetto dello sport Landini ha rilanciato l’invito a una mobilitazione generale: «Abbiamo bisogno dell’umiltà di parlare e ascoltare con tutti. Andiamo a parlare con chi non ha fiducia, e non va a votare, soprattutto con loro. Non solo nelle assemblee, ma con chiunque: al bar, alla palestra, sui social. Non so se riusciremo a convincerli tutti, ma questa azione è la condizione per raggiungere il quorum».
«Stai facendo politica, mi diranno. Sì, perché la Cgil nella sua storia l’ha sempre fatta – ha aggiunto Landini – Il sindacato per essere sindacato deve sempre avere questa mansione. Siamo un sindacato che rappresenta le persone, non solo nei luoghi dove lavorano, ma nella società balorda che sfrutta le persone».
Oltre alla lotta contro la sfiducia, quella che impedisce di immaginare il futuro perché siamo oppressi dal presente, il referendum per Landini è l’occasione per innescare un processo democratico più ampio. «Il valore di un voto dove è la persona a decidere direttamente di cambiare è il primo passo per aprire la strada in Italia e in Europa a un cambiamento di modello sociale». Questo significa smontare le norme che precarizzano il lavoro dal Jobs Act, quelle che moltiplicano subappalti o dare la cittadinanza a oltre due milioni di ragazzi nati in Italia da genitori senza la cittadinanza.
Rispetto alle critiche rivolte dall’ex segretario della Cisl Sbarra, in particolare sulla legge sulla partecipazione dei lavoratori, Landini non si è tirato indietro. «Il diritto dei lavoratori a partecipare in quella legge lì non esiste. Il testo è stato costruito perché Confindustria ha voluto che venisse scritto così. Non siamo un sindacato di mestiere, né corporativo. La democrazia è fatta nei luoghi di lavoro e nella società. Seguiamo una regola: non sono i sindacati o le imprese che nominano i lavoratori, ma il contrario: sono i lavoratori che nominano i propri rappresentanti».
«Si stringe i denti e si tira il carro» risponde Luca Scacchi, responsabile del Forum dei docenti della Flc Cgil alla domanda se sarà raggiunto il quorum al referendum contro il Jobs Act e per la cittadinanza. «È un obiettivo ambizioso- aggiunge- Abbiamo una possibilità: accompagnare questi referendum agli scioperi dei metalmeccanici sui rinnovi contrattuali, alle occupazioni dei precari dell’università, alla difesa del diritto di sciopero dei ferrovieri. Serve veramente costruire una rivolta perché un voto diventi momento di svolta sociale».
«Bisogna fare un bel percorso vista la bocciatura dell’autonomia differenziata – osserva Francesca Priami, segretaria provinciale della federazione dei trasporti Filt Cgil di Lucca – Io lavoro negli appalti ferroviari, a volte gli stipendi arrivano in ritardo dagli enti appaltatrici, altre volte non vengono pagati. Questo è un vero problema. Se non esistessero questi intermediari la nostra vita sarebbe più sicura e trasparente. Ecco, uno dei referendum che andremo a votare cambierà la vita a tantissimi lavoratori. C’è anche un elemento politico: avere già un voto in più rispetto alla maggioranza che ci governa».
«Porteremo a votare chi non vota alle politiche – sostiene Simone vecchi, segretario della Fiom di Reggio Emilia che ha individuato un’altra questione discussa tra i delegati – La metà dei nostri operai ad esempio non lo ha fatto. Quello del referendum è un voto utile perché c’è la possibilità concreta di cambiare una condizione di precarietà generalizzata. Diremo alle persone che hanno ora il potere di modificare la realtà senza mediazione mentre c’è un parlamento dove i lavoratori non sono rappresentati sufficienza. Questa situazione tocca tutti: in ogni famiglia c’è un precario o chi vive negli appalti».
A Roberto Iovino, segretario della Cgil Roma e Lazio abbiamo chiesto qual è il clima tra i lavoratori. «Nelle assemblee emerge la consapevolezza di mettere in campo iniziative forti, perché così non si può lavorare né vivere. Sono tutti consapevoli delle difficoltà, ma sentono anche che è un’occasione di riscatto, attraverso la partecipazione. Questo in fondo è il senso della rivolta di cui abbiamo bisogno”.
«Tutti ci indigniamo quando c’è un morto sul lavoro, ora c’è la possibilità di fare qualcosa di concreto – osserva Simona Marchesi, coordinatrice Flai Cgil Umbria della Rsu Perugina Nestlé, prima donna eletta in questo ruolo – Non basta mettere più un “mi piace” sui social. I referendum sono un bivio: o siamo complici, o dimostriamo il nostro dissenso».
ROBERTO CICCARELLI
foto: screenshot tv