Quesiti respinti con perdite, astensione come scelta attiva

Schede rifiutate anche dove si votava per i sindaci, nei grandi centri i Sì vanno in minoranza

Sono stati referendum dei record, tutti negativi per i promotori. L’affluenza più bassa della storia delle votazioni nazionali, appena 9.660.586 elettori (per il quesito meno votato, il quinto) che significa (in media sui cinque quesiti) il 20,8% degli aventi diritto, circa un milione e mezzo di elettori meno del peggior precedente (il primo quesito dei referendum elettorali del 2009). Ma il fallimento dei referendum voluti dalla Lega e dal partito radicale – e sostenuti, sulla carta, da uno schieramento di partiti che nei sondaggi è accreditato della maggioranza assoluta dei consensi – va ben oltre.

È la prima volta che, malgrado la grande maggioranza dei contrari abbia fatto, com’è ormai abitudine, la scelta tattica dell’astensione, dallo scrutinio il No non esca travolto ma in qualche caso sfiori la vittoria o addirittura vinca. Non è l’unico elemento che descrive un rifiuto netto delle proposte referendarie che si è espresso anche, ma non solo, con l’astensione. Un’astensione dunque «attiva», scelta politica ragionata che si è aggiunta ai già visti disinteresse e rassegnazione. Per questo il non voto raggiunge una vetta.

Il primo dato interessante è che la partecipazione ai referendum è rimasta bassa anche dove gli elettori erano chiamati alle urne per le amministrative. Su 26 capoluoghi coinvolti nel voto amministrativo, solo in 8 casi il referendum ha raggiunto il quorum di validità. Con uno scarto in negativo che in città come Rieti, Pistoia, Padova, Lodi, Cuneo e Catanzaro ha superato, talvolta di molto, il 7%. Stiamo parlando di una significativa percentuale di cittadini elettori che sono andati al seggio per votare alle comunali, ma hanno esplicitamente rifiutato le schede del referendum.

Scelta, evidentemente, consapevole. Il risultato è tanto più significativo considerato che l’affluenza alle amministrative è tenuta artificialmente bassa dalla presenza nelle liste elettorali dei residenti all’estero. Una conferma di questa lettura arriva dalle altre grandi città non coinvolte dal turno amministrativo, città dove tradizionalmente è più forte la quota di voto informato e di opinione. Lì la percentuale di affluenza è rimasta al di sotto della media nazionale: dall’8,4% di Napoli al 17% di Firenze.

Guardando allo spoglio, nelle grandi città metropolitane come nei 26 capoluoghi che hanno rinnovato i consigli comunali, i No hanno raggiunto percentuali mediamente più alte. Addirittura affermandosi – malgrado i contrari, ripetiamolo, abbiano soprattutto disertato le urne – nei primi due quesiti, quelli più immediatamente politici (e comprensibili): abolizione della legge Severino e limitazione delle misure cautelari.

Su questi due referendum i No sono risultati in maggioranza a Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Genova, Palermo, Parma, Taranto, Messina. A Roma, a Torino e a Verona c’è stata una maggioranza di Sì al primo quesito e di No al secondo. Unica eccezione tra le grandi città Milano, dove il Sì è risultato in maggioranza in tutti i quesiti, primi due compresi.

A livello nazionale, la percentuale dei Sì nei primi due quesiti è anche in questo caso la più bassa della storia referendaria: 53,09% al primo e 55,37% al secondo.

Per avere un metro di paragone, si deve considerare che nella storia dei referendum abrogativi, nei (tanti) casi di quorum fallito i Sì hanno oscillato tra il 91,5% e il 69%. E guardando con attenzione allo scrutinio del primo quesito, si scopre che malgrado i contrari si siano anche in questo caso soprattutto astenuti, anche tra i pochi che al seggio ci sono andati una maggioranza ha fatto una scelta contro il Sì, che dunque risulta percentualmente in vantaggio solo rispetto ai voti validi, ma è in svantaggio considerando anche le (tante) schede bianche e le schede nulle.

Sono stati allora cinque referendum, nel complesso, respinti con forza dagli elettori ben oltre il disinteresse (che ha dominato tra gli elettori all’estero, con meno del 16% che ha restituito le schede esprimendo un voto). Neanche la riforma di cui si è più volte parlato sarebbe servita a nulla. Se si fosse preso come riferimento il numero degli elettori alle ultime politiche, infatti, e non il totale degli aventi diritto, l’affluenza sarebbe salita al 28,4%, restando però lontanissima dalla soglia di validità.

ANDREA FABOZZI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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Politica e società

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