Quando Sigmund Freud avanzò l’ipotesi dell’esistenza delle pulsioni di morte, con la pubblicazione nel 1920 di Al di là del principio di piacere, le contestazioni furono virulente, come se il corpo intellettuale e sociale si fosse ribellato a una forma di violazione dell’immagine che aveva di sé. Ipotizzare che la spinta verso la morte possa venire dall’interno del soggetto, sia esso individuale o collettivo, e che possa essere desiderata a volte anche a sua insaputa, non significava in realtà privare l’umanità di una delle sue credenze fondamentali, cioè la ferma convinzione del suo amore per la vita?
La nostra epoca sta subendo uno scatenamento senza precedenti delle pulsioni di morte, come se queste fossero diventate onnipresenti, strutturando le tecnologie, il discorso politico, traboccando da tutti i quadri sociali e psichici. Questo scatenamento si produce simultaneamente su diversi livelli.
A livello ecologico la pulsione di morte è incarnata nell’Antropocene che potrebbe essere definito come la capacità delle società più ricche di modificare profondamente la Terra, dal suo sottosuolo fino alla sua atmosfera.
Insistere su questa capacità produttiva, estrattivista e trasformativa, vedere il cambiamento climatico, l’estinzione delle specie, l’acidificazione degli oceani, la deforestazione, l’inquinamento, etc, significa avere un odio sostanziale per la natura terrestre; di questo tipo è il desiderio inconscio dell’Antropocene: un ecocidio; la messa a morte di Gaia.
A livello politico la pulsione è incarnata nel fascismo. Non intendo identificare il fascismo storico, mussoliniano o meno, ma una modalità psico-politica, un “fascismo primitivo ed eterno” (Umberto Eco) che sarebbe identificabile per un modo di rapportarsi a questioni politiche fondamentali, che in un certo senso ha preceduto il fascismo storico e può ancora incarnarsi nei regimi politici contemporanei (in alcuni lo è già di fatto).
Uno Stato concepito e generato come fascista, cioè con un presunto leader carismatico, che concentra la sovranità (la propria e quella della “natura” o della razza) in cui regna la paura, l’insicurezza psichica, l’impossibilità di condurre un’esistenza piena. Un tale Stato, in quanto sempre storicamente foraggiato dalle élite industriali, arruola, quasi sempre, un programma neoliberale ma ha una sua logica propria, e non può essere ridotto solo a derivazioni economiche.
L’obiettivo fascista è distruggere alla radice i sogni e le speranze di società alternative, di mettere a morte le forme di vita che portano questi sogni, cercando di abolire l’impulso alla sovversione che innerva l’emancipazione di cui il comunismo è un nome. Da qui il sadismo proprio del fascismo, inteso come il plusvalore del godimento concesso dalla distruzione del sogno di libertà e che oggi si diffonde in quelle che possiamo chiamare “formazioni soggettive corazzate”.
Ma fascismi e distruttori delle risorse della terra non sono nozioni generali e vuote, presuppongono soggetti che li producono e li riproducono, e li fanno evolvere.
Qua diventa utile l’opera di Wilhelm Reich, la sua analisi psichica e libidinale, che fa del fascismo l’organizzazione politica di un certo tipo di soggettività, identificabile con la sua “corazza caratteriale”, cioè il blocco delle eccitazioni emotive, che si traduce nella rigidità del corpo, nella mancanza di contatto emotivo e nel torpore.
Possiamo chiederci se le sue analisi non possano anche descrivere un certo tipo di soggettività contemporanea che ha come supporto fondamentale le tecnologie della comunicazione.
Siamo alla prima generazione che passa tutta l’adolescenza con gli smartphone, caratterizzata da alti tassi di depressione e da una tendenza al suicidio. Le cosiddette “i social” producono desocializzazione, solitudine, meno tempo trascorso con gli amici, meno sonno, meno appuntamenti, meno sessualità e anche meno memoria, in breve, una persona la cui vita psichica è danneggiata.
Si pensi al modo in cui il movimento cospirativo di estrema destra QAnon si forma attraverso le reti sociali in cui si intrecciano il fascismo e le tecnologie, la cui forma egemonica di comunicazione consiste nel creare realtà parallele, multiversi virtuali che si scaricano talvolta in attualizzazioni violente: nel caso fascista, questa scarica avviene come attacco razzista, suprematista, o come tentativo di colpo di stato (come il 6 gennaio 2021 negli Stati Uniti), nel caso della generazione iGen, il passaggio all’atto rientra piuttosto nel suicidio, non sadismo, ma nel rivolgere le pulsioni di morte contro il soggetto. La formazione soggettiva corazzata si rivela allora una struttura precaria, poiché il processo di de-soggettivazione permette comunque alla persona di tornare alla sua soggettività sofferente.
Ricordiamo che Freud non oppone, come si dice troppo spesso, Eros e Thanatos. In effetti, le pulsioni di morte sono plurali e innominabili, e non sono simmetriche alle pulsioni di vita: la metapsicologia freudiana delle pulsioni non porta né a un dualismo rigido né a un monismo puro, ma a un’unità fratturata, un’immanenza lacerata, dove la legge generale è quella delle pulsioni di morte, mentre quelle di vita rappresentano l’eccezione. Tutto parte dall’“inanimato” e vi ritorna.
Possiamo però servirci delle pulsioni di morte per scolpire la nostra soggettività, perché esse sono anche ciò che ci permette di forgiare astrazioni e simboli, in quanto, come diceva Jacques Lacan, “il simbolo si manifesta innanzitutto come uccisione della cosa, e questa morte costituisce nel soggetto l’eternizzazione del suo desiderio”.
Le pulsioni di morte possono così essere messe al servizio della vita dello spirito, quella che si avventura verso ciò che è estraneo, quella che intuisce ciò che non c’è più o non c’è ancora, quella che immagina ciò che dovrebbe essere, quella che crea una libertà nel cuore stesso degli apparati di oppressione, riuscendo talvolta a sfuggirvi e a smantellarli quando diviene necessario.
Ciò significa che il problema non è cercare di sbarazzarsi delle pulsioni di morte, ma, per riprendere il discorso precedente, riconoscerle e sottrarle dalle mani dei poteri della distruzione limitando la capacità delle industrie estrattiviste, inventando Costituzioni che non diano dominio all’esecutivo e assoggettando i giganti del web a principi etici e democratici.
Invece di scommettere sulla sopravvivenza in una comunità chiusa, scommettiamo sulla necessità di un presente più intenso, più esigente, soggettivamente e politicamente, sostituendo la paura con l’attrazione per ciò che è estraneo. Se siamo eccezioni viventi, se la Terra stessa è un guizzo nell’oscurità dell’universo, allora abbiamo il dovere di esistenze avventurose, sia sul piano amoroso che politico. Esistenze senza quelle corazze che impediscono alla vita di avventurarsi verso il suo desiderio.
LUCA PAROLDO BONI
15 aprile 2025
Foto di Dan Cristian Pădureț