Prima il minore, altro che «reato universale»

È incostituzionale il divieto che fino a ieri era imposto alla madre “intenzionale” di riconoscere come suo un figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (Pma) fatta all’estero....

È incostituzionale il divieto che fino a ieri era imposto alla madre “intenzionale” di riconoscere come suo un figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (Pma) fatta all’estero. È dunque il consenso e solo il consenso, nell’ambito di una progettualità familiare condivisa, a far nascere i doveri e i diritti che sono propri dei genitori.

Il consenso volontariamente assunto dalla madre biologica così come da quella intenzionale. Lo ha deciso la Corte costituzionale che al centro della sua pronuncia resa nota ieri ha messo l’interesse morale e materiale del minore, quale principio fondamentale riconosciuto e protetto dall’ordinamento internazionale, da quello sovranazionale e da quello interno. Il fine preminente è lo svolgimento della personalità del bambino e questa va promossa e valorizzata (anche) indipendentemente dal nesso tra legame biologico e genitorialità.

È un principio tanto evidente quanto fin qui messo in discussione dagli ufficiali di stato civile dei comuni che di frequente oppongono ostacoli alle coppie omogenitoriali. E peraltro non solo dalle amministrazioni comunali, con comportamenti eterogenei e imprevedibili riguardo alla possibilità di iscrivere o meno il nome della madre intenzionale del nato da Pma, ma anche dalle procure della Repubblica, che, più volte, negli ultimi anni, hanno richiesto la rettificazione dell’atto di nascita che già aveva riconosciuto entrambi i genitori, sia biologico che intenzionale.

Così è stato nel 2023 quando la Procura di Padova e quella di Milano hanno impugnato, rispettivamente, 33 atti di nascita iscritti a partire dal 2017, la prima, e 3 atti di nascita, la seconda. Imprevedibili sono state anche le decisioni che hanno fatto seguito a queste impugnazioni: di inammissibilità da parte del Tribunale di Padova (con conseguente “conferma” dell’atto di nascita impugnato) e di accoglimento da parte della Corte di Appello di Milano (con conseguente rettifica dell’atto di nascita impugnato).

A fronte di tali condizioni di incertezza, la Corte costituzionale ha rinvenuto un evidente contrasto con il diritto all’identità personale del minore (che si vede privato, sin dalla nascita, di uno stato giuridico certo e stabile) e con quello di vedersi garantito nelle situazioni connesse alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi che da ciò derivano. Stabilendo che è il superiore interesse del bambino il principio da tutelare in questi casi. Ma questo, affermano i giudici costituzionali, non può dipendere dall’essere eterosessuale od omosessuale la coppia che ha avviato il percorso genitoriale, l’omogenitorialità cioè «non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato».

Si aprono le porte, in questo modo, a un’idea di famiglia che non abbraccia (più), grazie all’evoluzione della società e dei suoi costumi, il modello composto da una coppia di genitori di diverso sesso uniti da vincoli affettivi. È la stessa Corte a confermarlo con un’altra importante decisione, anche questa resa nota ieri. Una sentenza che, pur rigettando la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Firenze in un caso proposto da una donna single, ammette che il legislatore possa consentire l’accesso alla Pma a diverse fattispecie di nuclei familiari, non essendo, il riferimento alla «famiglia tradizionale» una scelta costituzionalmente obbligata. Anche se la stessa sentenza esclude che possa ravvisarsi, in assenza di bilanciamento con il superiore interesse del minore, una pretesa costitutiva di un diritto assoluto alla genitorialità.

Si tratta nel complesso di pronunce destinate ad assumere un significato e una portata storica. E che ha anche il merito di sollevare pesanti dubbi di costituzionalità sulla contestata legge Varchi, quella che ha istituito il «reato universale» per chi, all’estero, ricorre alla gestazione per altri. Una legge che appare adesso incompatibile con i principi di quest’ultima pronuncia della Corte costituzionale.

Quale sarebbe altrimenti lo spazio, nel nostro paese, per la tutela del superiore interesse del minore? Ben poco, dal momento che la legge Varchi prevede l’incriminazione, la reclusione e il pagamento di ingenti somme di ogni coppia che rientra in Italia con un figlio e un certificato di nascita, regolarmente emesso sulla base della normativa straniera.

FRANCESCA PARUZZO

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria

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Politica e società

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