Cosa può esserci oltre il maccartismo? Il trumpismo. Come fenomeno politico certamente autoritario, indubbiamente liberistissimo e sagacissimo interprete di un sentimento popolare che stava cedendo un po’ nei sondaggi in quanto a gradimento nei confronti del presidentissimo-magnate. L’assassinio di Charlie Kirk, come l’attentato contro Trump nel corso della campagna elettorale per la Casa Bianca, possono essere delle leve di ribaltamento della situazione, di costruzione di una nuova solidarietà collettiva nei confronti di un potere che ha in disprezzo l’architettura costituzionale statunitense, promulgata ormai due secoli e mezzo fa.
Il patriottismo di nuovissima generazione è, spesso, interpretato da vecchie cariatidi dell’economia o della politica (vedasi Putin e Orbàn da un lato, Trump dall’altro); ma può anche venire recitato a soggetto da istrioni al pari di Javier Milei che inizia, pure lui, a registrare qualche cedimento elettorale: le elezioni che hanno riguardato la capitale argentina ne sono un apprezzabile, ottimo esempio. Tuttavia, se qualche crepa si forma nel granitico moloch delle estreme destre alla guida di grandi nazioni, non è consentito affermare che siamo ad un redde rationem politico, ad una svolta, ad un passaggio di testimone. Nemmeno per idea. O per lo meno non nel senso che potremmo auspicare.
L’omicida di Charlie Kirk ora ha un nome e un volto: si chiama Tyler Robinson e ha appena ventidue anni. Figlio di uno sceriffo, di fede evangelica, pare si sia avvicinato alla politica recentemente e, nonostante provenga da una famiglia di osservanza repubblicana, ha imbracciato un fucile, è andato alla Utah University e ha fatto fuoco contro l’attivista ed influencer MAGA. Ciò che rimproverava Robinson a Kirk non è poi così falso e lontano dalla realtà: il giovane pupillo di Trump era, al pari del suo mentore, uno spargitore di odio a buon mercato ed esercitava questa attività (che fruttava alla sua associazione “Turning Point Usa” ha registrato un fatturato di ben 90 milioni dollari negli ultimi tempi) su tutti i social possibili.
I più meticolosi analisti e studiosi dei flussi elettorali affermano che è anche grazie a Kirk se gran parte del consenso giovanile si è indirizzato verso il secondo Trump permettendogli di vincere nonostante l’eversione del 6 gennaio 2021 culminata nell’assalto a Capitol Hill. Atti di violenza politica come quello perpetrato da Robinson hanno sempre come effetto certo quello di martirizzare l’avversario, di creare attorno a lui un’aura mistica e mitica al tempo stesso. Se poi si riflette un po’ su che cosa veramente sia la propaganda MAGA e la magnificazione glorificatrice che Donald Trump fa di sé stesso ogni giorno, tanto da suscitare reazioni come quelle del movimento “No Kings“, si comprenderà bene che la morte di Kirk verrà sfruttata in ogni modo per riconsolidare il consenso, chiudere le crepe e rilanciarsi nella mischia.
Robinson forse non lo sapeva o non lo sa, ma uccidendo Kirk ha posto un obiettivo circolare, un vero e proprio bersaglio sulla schiena di tutti coloro che sono antitrumpiani, democratici, di sinistra tanto moderata quanto più radicale. Il maccartismo, per questo, appare oggi come un fenomeno circoscrivibile entro una cornice molto meno rigida di quella che rischia di attendere ogni movimento, partito, sindacato statunitense d’ora in poi. Nemmeno a dirlo, il presidente si è già prodotto in una dichiarazione che, premessa fatta da lui medesimo, creerà molto scalpore: «Vi dirò una cosa che mi metterà nei guai, ma non me ne potrebbe importare di meno. I radicali di sinistra sono il problema». Ad Mussolini ed Hitler non sono serviti meno pretesti per instaurare un regime dittatoriale totalitario.
Il primo, dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti, ha dato seguito alle cosiddette “leggi fascistissime” che, di fatto, hanno cancellato ogni libertà democratica, ogni pluralismo, ogni opposizione, ogni organizzazione del mondo del lavoro e del libero intellettualismo per aprire la fase dura del regime. Il secondo, con l’incendio del Reichstag addossato ai comunisti, ha fatto uguale, identica mossa: tutto il potere in mano al cancelliere divenuto anche presidente della Germania dopo la morte del maresciallo Hindenburg. I tempi mutano, cambiano le forme, i nomi, gli emblemi e, naturalmente, le persone che possono veicolare tali tragedie; ma quando si creano delle condizioni date, si rischia di ripeterle quelle tragedie.
Chi oggi non legge l’assassinio di Kirk utilizzando questi parametri quanto meno prudenziali, o non vede il pericolo o finge di non vederlo. I giornali italiani di destra si sbizzarriscono nella crudezza dei loro titoli: «L’assassino partigiano» (per via delle pallottole ritrovate che, pare, avessero sopra le scritte “Bella ciao, ciao” e altre scritte con slogan antifascisti) scrive “Il Giornale“; «Ammazzato a colpi di “Bella ciao”» per “La Verità“. Mentre “Libero” sceglie parole meno cruente e più cronachistiche: «La firma del killer: Bella ciao». Il messaggio è abbastanza chiaro o, per lo meno, dovrebbe esserlo: la sinistra – come sostiene Trump – è pericolosa, antipatriottica, sovversiva e va marginalizzata, messa all’angolo non solo politicamente ma socialmente. E quindi va esclusa dal dibattito, dalla dialettica, dalle regole democratiche.
La morte di Charlie Kirk è una opportunità per il governo MAGA: la repressione che può seguire potrà tentare la strada del veloce ridimensionamento delle prerogative e dei diritti costituzionali, così da depotenziare l’azione sociale, quella sindacale e quella del movimento del mondo del lavoro in senso molto più ampio. I risvolti saranno tanti come le ricadute in termini di tenuta di tutte le organizzazioni che esprimono il diritto di lottare per incrementare la giustizia sociale.
Per Robinson il presidentissimo invoca la pena di morte e nessuno nella sua cerchia, a parte il governatore dello Utah, osa contraddirlo nell’alzamento dei toni: anzi, questo è il momento dell’esacerbazione a tutto tondo. Il ferro va battuto fin che è caldo. Non bastano nemmeno le condanne unanimi sulla violenza e l’omicidio politico. Non serve che Bernie Sanders spieghi che la democrazia è confronto anche con chi la pensa esattamente all’opposto rispetto a noi. Non serve perché è già stata decisa, nel momento in cui Kirk è stato brutalmente ucciso, che si sarebbe scatenata una caccia ai movimenti di sinistra radicale e, chissà…, magari anche contro gli stessi democratici.
L’accusa è tanto ipocrita quanto bugiarda e, proprio per questo serve a rimestare nel torbido delle passioni popolari: è l’estrema sinistra che fomenta la violenza. Dunque da lì magnate-presidente intende partire. C’è un rischio, tra gli altri. Che questa campagna di caccia al marxista, al comunista, al socialista che sia, può sfuggirgli di mano nel momento in cui il primo esagitato fanatico MAGA prenderà anche lui un fucile e sparerà a chi ritiene essere un avversario da abbattere. La specularità delle azioni è prevedibilissima e Trump dovrebbe tenerne conto. Perché, se oggi una decina di deputati repubblicani scrivono addirittura una mozione congressuale per far erigere una statua di Charlie Kirk in Campidoglio o nei pressi, domani potrebbero trovarsi a fronteggiare nuove tragedie dall’una e dall’altra parte.
Non si può fare appello a nessuna avvedutezza in questi casi, ma bisogna creare invece dei rapporti di forza culturali e, quindi, sociali per contrastare l’avanzata della caccia alle streghe, del neomaccartismo in salsa trumpiana che agiterà lo spettro della destabilizzazione degli Stati Uniti da parte di coloro che da sempre sono visti come “il problema“: i rossi, i comunisti e tutte e tutti coloro che disapprovavano ieri il reaganismo, come massima espressione del peggiore conservatorismo di destra, e che oggi ritrovano gran parte di tutto ciò nel nuovo fenomeno governativo che unisce trivialità a smargiassate, prepotenza a violenza vera e propria quando sostiene (ed è sostenuto) dalla potente lobby delle armi. Le stesse che sono in mano a centinaia di migliaia di americani.
La destra estrema rappresentata da Kirk, abilissimo comunicatore, piange oggi un elemento di prim’ordine nella lotta contro un livello di democrazia che è tollerata in quanto permette di salvare le apparenze (si fa per dire, ma molto, molto per dire…) e sembrare quindi aderenti e afferenti ai princìpi costituzionali. Ma le premesse per una svolta nettamente autoritaria oggi negli Stati Uniti ci sono proprio tutte. Trump può vantare l’imposizione dei dazi ad un’Europa che gli è andata incontro genuflettendosi e accettando il 15% (con la promessa di esigere da India e Cina il 100% e più degli stessi da parte di Bruxelles e Francoforte). Può vantare altresì gli ipocritissimi, falsi tentativi di pacificazione in Palestina e in Ucraina. Può vantare il pugno duro contro i migranti al confine con il Messico.
Dunque, può spendere davanti all’opinione pubblica due carte attualmente vincenti: il ruolo degli USA nelle questioni internazionali, come parte terza, e la fermezza del governo all’interno nel mettere al primo posto l’interesse nazionale facendolo sposare con una recrudescenza sovranista, etnocentrica e dai tratti suprematisti bianchi, evangelici e iperconservatori, tali e quali erano descritti da Kirk nei suoi comizi nei campus universitari e in quelli parimenti aggressivi che si possono vedere su Internet. La battaglia del riarmo si gioca anche su questi terreni scoscesi: fare intendere alla pubblica opinione che c’è la necessità di una difesa oltre i confini degli Stati Uniti e dentro gli stessi, Stato per Stato, contea per contea.
Esiste un rapporto di reciproco condizionamento tra le faccende che concernono lo sviluppo multipolare e ciò che avviene in ogni singola potenza emergente oggi. Non è possibile pensare che il problema Trump sia solamente una questione statunitense o più latamente dell’America settentrionale. Ci siamo già dimenticati delle avvisaglie di neoimperialismo a stelle e strisce quando il presidente ha minacciato, carta geografica alla mano, di annettere il Canada e di fare della Groenlandia e di Panama due centri strategici dello sviluppo bellico e commerciale del Grande Paese? Ancora una volta tutto si tiene pericolosamente insieme e tutto influisce altrettanto pericolosamente sui destini del globo intero.
Dall’altra parte dell’oceano si prepara uno scenario di guerra mondiale: quarantamila soldati polacchi schierati al confine con la Bielorussia. Esercitazioni delle truppe di Minsk e di Mosca agli stessi confini. La NATO riarma, Trump riarma, Putin produce più armi di tutta l’Alleanza atlantica ogni anno. Gaza e il Medio Oriente sono in fiamme e l’incendio divampa sempre più. Per sostenere questo clima di guerra servono animi popolari che siano incasellati in uno spirito bellico, da conflitto permanente. Kirk faceva esattamente questo: creava, come Trump e Vance, i presupposti per allargare una sfera di consenso che si fondasse su una crociata moderna contro la sinistra, contro i democratici, contro tutte e tutti coloro che, magari, non sono nemmeno progressisti ma che hanno il torto di osteggiare il sovranismo come nemico primo della nazione stessa.
Hanno ragione coloro che scrivono che la morte di Charlie Kirk è una doppia, forse anche tripla tragedia: lo è in quanto morte di un uomo; lo è in quanto morte di un politico; lo è in quanto permette di creare i presupposti per una stretta repressiva senza alcuna remora da parte del governo americano. Un tempo si sarebbe detto che esistevano i pesi e i contrappesi nel sistema e che gli anticorpi democratici avrebbero salvato la Repubblica degli Stati Uniti d’America da questa terribile eventualità. Oggi non c’è più questa certezza. E questo, di per sé, dovrebbe allarmare chiunque, al di là dei colori e delle distinzioni politiche, sociali, civili e morali.
MARCO SFERINI
13 settembre 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria







