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Politiche per il clima? Per Trump non esistono

Terremoti, inondazioni, tempeste e altre sciagure sono definite in italiano “catastrofi naturali”. In inglese si chiamano “God’s Acts”, “atti di Dio”, e danno ancor più per scontato che le politiche umane non c’entrino niente col loro scatenarsi. E non serva tentare di prevederle.

Trump è l’interprete più coerente di questa opinione. Il suo ordine esecutivo dell’otto aprile intende contrastare l’idea del “presunto, ideologico, cambiamento climatico”, vietare le leggi (contrarie all’utilizzo dei combustibili fossili) varate da alcuni Stati degli USA, rimuovere gli ostacoli “illegittimi” alla ricerca di tutte le forme di energia, “essenziali per la sicurezza degli Stati Uniti” e per confermare la Nazione “dominante energeticamente”.

Con Trump le energie rinnovabili sono rimesse ai margini, riprende lo sfruttamento del carbone e il suo utilizzo nelle centrali (l’ultima grande delle quali era stata costruita nel 2013), si diffondono ulteriormente la perforazione idraulica (il fracking), anche nelle terre federali, e la realizzazione di pericolosi oleodotti, contestati da tempo dalle comunità che li attorniano perché corrono il rischio di sversamenti (peraltro già avvenuti).

Un manna per le Big Oil internazionali, a cui Trump ha lanciato un appello onde colgano l’occasione della deregolamentazione ambientale statunitense. Lo slogan della “televendita” è “No Environmental Delays. Don’t Wait. Do It Now!”; come a dire “Fatevi avanti, non ci sono sono più fastidiosi intoppi ambientali!”.

L’intreccio tra governo e affaristi negli USA è portato all’estremo: ad esempio, il segretario all’Energia, Chris Wright, è un accanito negazionista del cambiamento climatico e uno dei fondatori di Liberty Energy, impresa che sfrutta il 20% dei pozzi terresti statunitensi scavati col fracking. l’estrazione di gas naturale e petrolio dal sottosuolo, iniettandovi acqua, sabbia e sostanze chimiche ad alta pressione per fratturare le rocce e indurre la fuoriuscita di idrocarburi.

Alle compagnie petrolifere e del gas, proprietarie delle risorse del Paese, s’inizia anche, riducendo le regole già esistenti, a concedere trivellazioni nei terreni pubblici tutelati, a partire nuovamente dall’Alaska e dalle acque costiere, e nei parchi nazionali. Si procede con innumerevoli ordini esecutivi anche a revocare i progetti centrati su energia pulita, foreste, difesa delle specie in via estinzione, giustizia ambientale. Tutto ciò condito da una buona dose di ignoranza che aborre la scienza e la cultura e i loro propagatori: Trump sta infatti interrompendo i finanziamenti alla ricerca scientifica sul clima, attaccando i posti di lavoro e le funzioni sociali dei dipendenti federali (nello specifico, anche di quelli che lavorano nel settore ambientale), cancellando dai siti web federali parole come “cambiamento climatico”, “inquinamento” e “risorse naturali”, che prefigurino una critica sull’utilizzo dei combustibili fossili.

È pure in itinere in Congresso l’indebolimento delle leggi, firmate da Nixon negli anni ’70, sulla protezione delle specie in pericolo (Endangered Species Act) e dei mammiferi marini (Marine Mammal Protection Act), la cui ratifica porterebbe a rischi di estinzione di animali come l’orso grizzly.

I tagli dell’amministrazione Trump colpiscono tutte le agenzie federali, ed anche il personale dei parchi nazionali e delle foreste protette. È già stato allontanato dal lavoro il 10% del personale del National Park Service; cioè 3.400 ranger, ricercatori ed educatori naturalistici al servizio dei visitatori dei parchi e delle foreste protette (che hanno quasi 500 milioni di visite annue).

Mettendo anche in discussione le previsioni meteorologiche quotidiane, gli avvisi sugli incendi e il monitoraggio degli incendi boschivi, l’intenzione della presidenza USA è chiaramente di ridurne, non il pericolo affrontandone le cause, ma di sottacerne il collegamento col peggioramento della salute della Terra.

L’alluvione-lampo (flash flood) di inizio luglio in Texas ha portato nella contea di Kerr ad un’ondata di detriti alta 8 metri trascinata dal fiume Guadalupe. I finora 140 morti e le decine di dispersi hanno messo in evidenza i risultati di tale politica negazionista: “molte di quelle vite perdute avrebbero potuto essere salvate se gli anelli della nostra catena di risposta ai disastri non fossero stati rotti”, ha affermato Monica Medina, ex funzionaria della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’amministrazione federale che, tra gli altri compiti, monitora le condizioni meteorologiche estreme. La NOAA è stata colpita, col ritorno di Trump alla Casa Bianca, da grandi tagli ai finanziamenti e al personale, nonostante la crescente frequenza e intensità dei disastri naturali causati anche dai cambiamenti climatici. Ad esempio, l’arrivo della tempesta tropicale che ha colpito il Texas era prevedibile, e contenibile nei suoi effetti, essendo risalita dal Messico dove aveva procurato ingenti danni.

Lo stesso giorno delle inondazioni in Texas, il presidente Trump ha firmato la legge di bilancio che ridimensiona i sostegni pubblici di cibo e sanità per i poveri destinando i risparmi alla diminuzione ulteriore delle tasse dei ricchi. Nella legge si taglia anche il sostegno alle energie rinnovabili in favore di un’economia basata sui combustibili fossili.

La segretaria alla sicurezza interna Kristi Noem ha dato la colpa del disastro del Texas alla FEMA, l’Agenzia federale per la gestione delle emergenze, accusandola di una risposta “lenta” e chiedendone nuovamente l’eliminazione. La risposta della FEMA è stata che l’imposizione della stessa Noem di voler firmare preventivamente qualsiasi intervento con un costo prevedibile di più di 100.000 dollari è stata una delle cause dei soccorsi tardivi.

Si è venuto a sapere che, due giorni successivi all’inizio delle inondazioni improvvise, Noem era impegnata a inviare foto su Instagram di se stessa, chiedendo ai suoi follower di scegliere quale dovesse essere un’immagine ufficiale di lei a cavallo. Esaurita la difficile scelta della foto, Noem ha negato il fatto che lei abbia rallentato l’intervento urgente della FEMA, senza tener presente che il governo di cui lei fa parte ha eliminato il 20% del personale di quell’agenzia.

Altri settori di tipici elettori di Trump hanno diffuso in rete ennesime tesi cospirative, dando anche qui la colpa dell’alluvione in Texas al cosiddetto Deep State, un’entità statale sotterranea, che si sono inventati da anni, che agirebbe nell’ombra. L’attacco era basato sull’uso, invero inquietante, del cloud seeding, l’”inseminazione delle nuvole”: la dispersione in esse di sostanze, come lo ioduro d’argento, che dovrebbero stimolare la caduta di pioggia o di neve. La diceria del collegamento con l’alluvione è stata comunque negata anche dall’amministrazione texana, di stretta osservanza trumpiana.

Monica Medina ha ulteriormente affermato che le politiche presidenziali, mettendo in pratica il “Project 2025” (scritto prima delle elezioni da settori reazionari per indirizzare i provvedimenti dell’amministrazione Trump), “hanno tagliato settori cruciali del servizio meteorologico: la ricerca, la raccolta dei dati, i satelliti che ci danno la possibilità di essere preparati a queste tempeste … che con il cambiamento climatico si stanno intensificando in modo più rapido e più grave. Ma, proprio nel momento in cui abbiamo bisogno di migliorare il nostro intervento nella preparazione e risposta alle catastrofi, si tagliano i sistemi di allerta e di salvataggio”.

Ma un altro grande problema di futura sopravvivenza dell’umanità si profila in modo netto: l’acqua potabile, che sarà la lotta del futuro. India e Pakistan guerreggiano già per le dighe che l’India costruisce sull’Indo, Trump attacca il Canada da cui è rifornito di acqua e anche per questo ha vaticinato la sua annessione agli USA.. Lo fa anche perché la messa in discussione delle area protette da decenni e l’apertura di luoghi incontaminati al nocivo fracking metterà in discussione l’acqua potabile di più di 60 milioni di persone che negli Stati Uniti ottengono la loro acqua potabile dai corsi d’acqua che scorrono dalle foreste nazionali (finora) tutelate.

Il caso di Las Vegas è significativo: nata nel 1905 e costruita in pratica nel deserto Mojave nel New Messico, oggi ha un’area metropolitana di quasi 2 milioni di abitanti (e un assurdo spreco di acqua per fontane e giardini) che dipendono soprattutto dall’acqua trattenuta dalla diga di Hoover. Ma il contenuto dell’invaso è in calo e, dopo tre anni senza piogge significative, nel 2022 un incendio non lontano da Las Vegas è andato fuori controllo e la sua estensione, incentivata dal vento, ha messo a rischio le fonti idriche della città. Le successive piogge hanno creato un effetto alluvionale. Mentre una nuova struttura, in grado di produrre acqua potabile da quella fangosa e piena di detriti e che costerà oltre 100 milioni di dollari, è in costruzione, una parte della popolazione beve acque che è difficile definire sempre limpide e spesso sono tossiche.

L’amministrazione Trump dunque col ritorno al carbone, la prossima abrogazione degli standard salvavita su mercurio e sostanze tossiche nell’aria e di tutti i limiti all’inquinamento da carbonio proveniente dalle centrali elettriche alimentate a combustibili fossili, l’estensione delle concessioni di terre pubbliche dei parchi nazionali alle imprese trivellatrici, il blocco delle misure per la transizione energetica, mette a rischio la salute dei cittadini statunitensi e contribuisce al degrado del pianeta. Ed è dotata di un’immensa forza: i miliardi di contributi dei petrolieri alle politiche anti-clima di questo governo e i colpi della magistratura (come la multa di 667 milioni di dollari comminata a Greenpeace a marzo per il suo appoggio alla lotta delle comunità dei nativi Sioux del Dakota contro la realizzazione dell’impattante oleodotto Dakota Access Pipeline).

Di fronte a ciò, l’opposizione democratica e ambientalista non sempre appare in grado di organizzare iniziative unificanti e soprattutto persistenti: dopo quelle del movimento di base 50501 il 17 febbraio, il 4 marzo, il 19 aprile e il Primo Maggio, l’ “Hands Off!” (Giù le mani) del 5 aprile, il “No Kings!” (“Non ci sono re” negli Stati Uniti) del 14 giugno e le leggi pro-ambiente votate in vari Stati dell’Unione, permane infatti la storica difficoltà di tenere assieme le varie anime di un auspicabile movimento progressista generalizzato che tenga assieme i temi del lavoro, dell’ambiente, dello Stato sociale e della democrazia e contrasti gli attacchi del governo dei miliardari e dell’autoritarismo.

Le suddette iniziative, però, coi suoi milioni di partecipanti, diffusi nelle grandi e anche nelle piccole città, hanno comunque indicato la via da percorrere. Quella dell’organizzazione dal basso per lottare contro un governo pericoloso per i suoi cittadini e per il mondo intero.

EZIO BOERO

29 luglio 2025

Foto di Markus Spiske


Fonti principali:
– Ex-NOAA Official on TX Flood: Trump Breaking “Disaster Response Chain” as Climate Crisis Escalates, Democracy Now, 11.7;
– K.Mohr, First Came the Wildfires, then the Floods and the Water Crises, Mother Jones, 12.7;
– https://www.sierraclub.org/

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