«Palestina libera!». Quel grido che deve diventare corale

L’altra notte, poco al largo di Malta, probabilmente da un drone israeliano (vista la “sospetta” presenza di un Hercules di Tel Aviv nei cieli del Mediterraneo proprio in quei...

L’altra notte, poco al largo di Malta, probabilmente da un drone israeliano (vista la “sospetta” presenza di un Hercules di Tel Aviv nei cieli del Mediterraneo proprio in quei momenti…), è partito un attacco ad una nave della ONG “Freedom Flotilla“: 30 operatori umanitari a bordo, viveri e generi di prima necessità per Gaza. Sulla “Coscience” sarebbe dovuta salire anche Greta Thunberg. Ma per ora l’imbarcazione è ferma in mezzo al mare, danneggiata, senza corrente elettrica e in balia di onde più bucocratiche che marine. Le si vuole impedire di arrivare, naturalmente, sulle coste della Striscia martoriata.

Israele non fa passare nessun tipo di rifornimento da mesi e i gazawi muoiono, oltre che sotto le bombe dell’IDF (le forze aeree dello Stato ebraico), soprattutto di stenti. L’ultimo ospedale attivo è stato distrutto qualche settimana fa. Non c’è più nessuna rete di servizi che possa dire di essere organizzata per affrontare l’emergenza umanitaria in corso. Il genocidio continua e ormai, agli occhi di tutti coloro che vogliono davvero soppesare i rapporti di forza nello scontro in atto, è evidente la sproporzione.

I fatti del 7 ottobre 2023 hanno avuto come effetto l’omicidio terroristico da parte di Hamas di oltre 1.400 persone e una reazione che sta distruggendo totalmente Gaza, che infierisce su una popolazione inerme, che non ha portato a casa il risultato di salvare gli ostaggi. Si vocifera che vivi ne restino appena una ventina. Quindi anche questa motivazione è ormai consegnata al recentissimo passato di una guerra totale voluta da Netanyahu e Gantz, da un gabinetto che ha fatto dell’azione genocidiaria il presupposto per l’eliminazione di quello che per loro è “Il problema” dei problemi.

Questo problema è la presenza dei palestinesi in Palestina. Davanti ad uno scenario veramente apocalittico, in cui le immagini che arrivano riportano soltanto macerie, morti e niente più, possono le comunità ebraiche italiane e del resto dell’Europa avere parole di solidarietà soltanto per Israele e nessuna nei confronti delle decine di migliaia di palestinesi assassinati da Tsahal e dall’IDF per conto del governo di Netanyahu? Possono e lo fanno. E questo, francamente, non è solamente incomprensibile ma anche piuttosto deprecabile.

Perché chi ha subito, nel corso di duemila anni di Storia, le persecuzioni e le ghettizzazioni più atroci, dovrebbe oggi rendersi conto che il loro Stato si è trasformato da democrazia in stile occidentale situata in Medio Oriente in un grande assassino, in uno spietato killer che va oltre il seriale, che stermina perché intende espandersi e farla finita con i palestinesi, creando le condizioni per una pacificazione con una parte del mondo arabo che apprezza questo dualismo in termini ovviamente economici e finanziari.

Ormai Gaza è un deserto fatto di cemento sbricciolato, di corpi dilaniati e per le sue sempre più irriconoscibili strade si aggirano persone private di tutto tranne che dell’ultimo soffio vitale. Un qualcosa di raro, che rimane alla mercé delle bombe che piovono ogni giorno sui campi profughi e persino nelle case dove si celebrano i funerali delle vittime di qualche ora prima… Perché le comunità ebraiche non riescono a discernere tra legittima ritorsione contro Hamas e guerra al popolo palestinese?

Perché fanno della loro sacrosanta identità culturale e religiosa un presupposto nazionalista per sostenere l’azione genocidiaria di un governo che la stessa comunità internazionale bolla come criminale nel ricercare, proprio per crimini contro l’umanità, il suo capo e i suoi collaboratori militari? Esistono molti ebrei che si sono organizzati e si dicono tutt’oggi contro l’occupazione tanto della Cisgiordania quanto di Gaza. Ma questi stessi appartenenti alle varie comunità israelitiche nel mondo vengono quasi tacciati di collaborazionismo con Hamas.

Invece è solamente empatia umana nei confronti di un popolo che viene sterminato, al pari degli originari delle terre americane conquistate dai coloni statunitensi via via che la frontiera avanzava dall’Atlantico al Pacifico. La condanna dei crimini di Hamas deve poter ritrovare la sua giusta collocazione morale in un perimetro di giustizia internazionale, di rivalutazione del ruolo delle Nazioni Unite come elemento dirimente per una interposizione fra le parti. La politica espansionista e ipersionista di Netanyahu, così come di altri fanatici di destra è nemica della sicurezza di Israele.

Sono concetti semplici, dettati dalla mera osservazione dei fatti e che persino un bambino capirebbe se, a domanda altrettanto semplice (come solo i piccoli cuccioli d’uomo sanno fare), si rispondesse che da una parte c’è un gruppo di uomini e donne che non vuole avere accanto altri uomini e altre donne in tutto simili a loro tranne che per origine culturale e religiosa. E, per questo, i primi oggi sterminano i secondi. Nel nome di quella sicurezza che lo Stato ebraico non avrà mai fino a che governerà col terrore le finte equidistanze che intendono separarlo dalla schiera di nemici che lo circondano.

Gli attacchi portati proprio in queste ore alla Siria ne sono la dimostrazione. Sono certo che se le comunità ebraiche dovessero leggere questo pezzo, direbbero di primo acchito che io sono un antisemita, un nemico di Israele e, quindi, stabilendo un sillogismo molto in uso oggi, sono per conseguenza un amico di Hamas. Niente di più falso e lontano dalla realtà. Antisemitismo e antisionismo sono due concetti e due pratiche che non possono essere accomunate: non fosse altro perché la Storia ha dimostrato che si può essere antisionisti essendo ebrei ma non si può essere antisemiti se si è ebrei.

Molti ebrei e molti cittadini israeliani si oppongono al nazionalismo iper-religioso della destra di governo rappresentata da Netanyahu, Smotrich e altri leader dei partiti più rivoluzionari in chiave imperialista, militaristi all’ennesima potenza e teorizzatori della predilezione divina del popolo ebraico come fonte del diritto più o meno internazionale, al posto persino della Dichiarazione universale dei diritti umani. Trump vuole trasformare Gaza in una sorta di nuovo bordello e casa da gioco-vacanze, un po’ come era Cuba prima dell’avvento della rivoluzione castrista.

L’Europa non muove un muscolo facciale e non fiata più davanti alla vile aggressione israeliana contro i palestinesi. Il genocidio viene minimizzato e lo si definisce più o meno così: «Genocidio è stato quello degli ebrei… quello di Gaza è un’orribile strage ripetuta ogni giorno, non è un genocidio, il genocidio è un’altra cosa». Fatte le debite differenze in termini numerici (dai sei milioni di ebrei sterminati dal Terzo Reich ai cinquantamila palestinesi assassinati nel giro di una anno e mezzo…), forse quello di Hitler era un piano da attuarsi in un solo giorno? 

Non sono occorsi molti anni di politiche repressive, di internamenti, di esclusioni dalla vita pubblica e di spersonalizzazione progressiva degli ebrei tedeschi di allora per passare da Dachau a Sobibor, Auschwitz e Treblinka. Chi ha lavorato per decenni nella meticolosa e giusta affermazione del principio della memoria come elemento per la ricostruzione di una coscienza civile, morale, sociale e politica dalla Germania postbellica all’intera Europa, guardando ad un mondo senza più guerre di aggressione, oggi dovrebbe, proprio in nome di quella lotta e di quei princìpi, riconoscere che gli ebrei di ieri sono i palestinesi di oggi.

Un vile atto terroristico non può divenire – a meno che non lo si sia già studiato per tempo – un pretesto per scatenare un’azione di annientamento di tutto ciò che c’è a Gaza e per continuare con maggiore impulso l’espansionismo israeliano in Cisgiordania, facendo leva sull’evidente razzismo colonialista, sull’ostilità aggressiva e prepotente di quelle settecentomila persone che sono state impiantate lì dai governi dello Stato ebraico e che, quindi, non sono nemmeno più una sfida aperta alla realizzazione dello Stato di Palestina, ma un presidio permanente per impedire che tutto questo avvenga.

Dal palco del grande concerto del Primo Maggio a Roma, una band che – lo confesso – non avevo mai ascoltato, i “Patagarri“, ha inneggiato alla libertà della Palestina sulle note di una nota melodia popolare ebraica, l'”Hāvā Nāgīlā” (che significa “Rallegriamoci”). La comunità ebraica di Roma ha definito tutto ciò uno spettacolo “macabro“. Hanno risposto molto bene i giovani cantautori: macabro è chi uccide uomini, donne, anziani e bambini innocenti ogni giorno a dispetto delle più elementari nozioni del diritto umano. Se vogliamo, dell’essere e rimanere umani.

Ecco, è proprio questo che è incomprensibile per me: come non vedere che sulle note di una canzone ebraica si può anche far risuonare un grido di giustizia per un popolo oggettivamente messo nella condizione di non esistere quasi più nei prossimi anni…? Perché tutto deve essere sempre diviso con un colpo di accetta che separa nettamente e senza alcun appello il bene totale dal male totale? Chi opera questa distinzione preconcettuale, che prescinde appunto dalle tante sfumature della realtà, agisce per estremismi uguali e contrari al tempo stesso.

Hamas da un lato, il governo israeliano dall’altro. Sono entrambi nemici della pace, della riconciliazione tra due popoli che può avvenire soltanto nel momento in cui un elemento di marcata laicità interverrà nel dibattito politico e sociale del Medio Oriente e non solo, quindi, del conflitto israelo-palestinese. Il problema è, a ben vedere, molto più ampio di quello che si può immaginare e che ci fanno immaginare seguendo la narrazione comune dicotomica tra buoni da un lato e cattivi dall’altro.

Le comunità ebraiche e quelle palestinesi di tutto il mondo dovrebbero invece parlarsi e stabilire dei contatti permanente e indurre i loro simili in Medio Oriente a cambiare il modus operandi nell’opposizione, anzitutto, agli estremismi che, complici gli interessi del grande capitalismo internazionale e regionale, influiscono in quanto a corruzione morale e pratica in quella che dovrebbe essere una buona amministrazione democratica da un lato e una costruzione di un nascente Stato altrettanto democratico dall’altro.

Non è un mistero che la corruzione sia dilagata tanto negli ambienti politici israeliani quanto in quelli palestinesi. Indubbiamente si pecca un po’ di ingenuità nel proporre tutto ciò: ma con coscienza. Con consapevolezza. Perché non ci si vuole arrendere all’inevitabile ginepraio di sporchi interessi che devastano le vite di milioni e milioni di persone innocenti, annientano comunità intere, distruggono l’ambiente naturale, depredano le risorse e cancellano la speranza di un futuro per giovani generazioni che, se sopravviveranno a tutto questo, cresceranno nell’odio e nel rancore.

E questo cortocircuito non avrà mai fine… I Patagarri hanno chiuso così il loro comunicato in risposta alla comunità ebraica di Roma: «Mettiamoci allora d’accordo su quali sono le parole giuste per chiedere che i bambini non muoiano più, che gli ospedali non vengano più bombardati, senza essere accusati di invocare la distruzione del popolo israeliano, senza finire in questa trappola retorica dell’antisemitismo, accusati per tramite di sofismi insopportabili, mentre la gente continua a morire». Meglio di così non lo si poteva scrivere.

MARCO SFERINI

3 maggio 2025

foto: screenshot tv

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