Opinioni di un clown

Il duro confronto con la realtà della guerra, con l’infamia del presente che è figlia del recente passato olocaustico, entro i confini di una memoria che è elaborazione di...

Il duro confronto con la realtà della guerra, con l’infamia del presente che è figlia del recente passato olocaustico, entro i confini di una memoria che è elaborazione di un lutto nazionale che riguarda tutte e tutti. Rimaniamo, dopo il “Il tamburo di latta” della settimana scorsa, sempre in Germania, sempre immersi nella grigio-scura scena del fondo di un tragedia spettacolare, perché unica (si spera) nella Storia dell’umanità. Dalla fine del Secondo conflitto mondiale alla ricostruzione, al “miracolo tedesco” che è la premessa di una ricollocazione borghese ad ovest.

La nazione è divisa, prostrata, si ricompone pezzo dopo pezzo: materialmente, sgomberando prima le tonnellate di cumuli di macerie che sono divenute le città; moralmente, tentando la presa di consapevolezza di quanto è accaduto. Poteva essere sotto gli occhi di ciascuno? Poteva essere invisibile? Poteva quella Germania, di Hitler, del nazionalsocialismo, essere così ingannevole da riuscire a celare ai tedeschi l’orrore dei campi di concentramento e di sterminio? Forse ha potuto. Molti sapevano, molti hanno taciuto, altri invece non sono stati zitti.

Le maschere che sono state indossate allora non sono poi tanto differenti da quelle che proprio il ceto borghese ha deciso di mettersi alla fine del conflitto, quando una società avrebbe dovuto comunque esistere e continuare ad essere quella nazione che era stata esaltata sopra tutto e tutti e che era finita nel fango creato dalle piogge acide di temporali fatti di nuvole dalla pesantezza del piombo. Heinrich Böll mette, in quella che è una delle più geniali e applaudite sue opere, “Opinioni di un clown” (Oscar Mondadori, nuova edizione 2023), una punta di speranza unita ad una di scetticismo, lasciando che le due sensazioni si mescolino per dare vita ad un nuovo sentimento.

Quello della sincerità con sé stessi: non nascondersi più, non fingere che le cose non siano avvenute o non avvengano. Hans Schnier è un pagliaccio che non fa ridere. Di famiglia benestante, fidanzato con Maria, fervente cattolica, si affida al mascheramento per poter essere apertamente ciò che sente di essere: cristallino nei confronti del resto del mondo. Ed è per questo che non risulta, forse, nemmeno tanto simpatico al lettore, alla lettrice. Böll non vuole che lo sia del tutto, almeno. Perché il giovane clown non vuole poi proprio far ridere.

Hans ha qualche tratto di anticonformismo, perché si distacca dalla famiglia, viene lasciato dalla fidanzata che non sopporta la sua distanza dal cattolicesimo e dalla fede; non ha successo nell’arte recitativa e la sua è una narrazione sarcastica, piena di rabbia, di ira, di contrarietà. Soprattutto nei confronti di una normalità borghese che pensa di poter superare le atrocità di pochi anni prima con una rimessa in ordine della formalità legale, del benessere sociale, della sicurezza economica, della ritrovata fede in Dio.

In un appartamento vuoto, pieno soltanto delle sue opinioni, accompagnate da sorsi di cognac e da qualche tirata di sigaretta, Hans, in sole tre ore (l’arco temporale in cui si svolge il romanzo), esprime tutta la sua distanza da una nuova era in cui il militarismo si impianta in Germania sulle aste delle bandiere dei ricostruttori alleati, mentre il cattolicesimo di Colonia imperversa come nuova base etica, come nuova morale dominante, soprattutto nelle relazioni interpersonali. Lui, un ventottenne squattrinato e protestante, divenuto ateo, soffoca le sue ambizioni in una coerenza che non gli è propria.

Eppure non può fare a meno di sfogarsi, di soliloquiare, di far uscire fuori da sé ciò che lo opprime e lo appiattisce: zoppica, claudica per via di un ginocchio che gli duole. La sua ragazza, dopo anni, lo ha lasciato e la sua famiglia gli fa profferte di denaro a patto che segua una seria scuola di recitazione e non vaghi per le vie di Bonn a fare il pagliaccio da strada, ciondolando qua e là, senza arte né una vera e propria parte. La maschera però gli è utile: solo così può essere sincero e non tralasciare nulla del suo malessere, del rancore, della rabbia. Forse non dell’odio, ma solo forse…

Il suo amore per Maria è assoluto, altrettanto sincero. Un amore “monogamo“, ma non nel senso più comune e consueto del termine. Non un “solo” amore. Ma un amore soltanto: niente altro che un vero sentimento di devozione che non imprigiona nel rito matrimoniale cattolico o comunque religioso. Così osservate le cose, ad Hans pare troppo soffocante l’idea di doversi sposare. Eppure lui si ritiene il marito di Maria: l’ha sposata così, volendole bene e non pensandosi senza lei. La contraddizione è evidente, ma è nulla in confronto a tutte quelle che il cattolicesimo porta con sé da millenni.

Böll le mette in fila, una per una, denunciando un irrigidimento sociale in merito: una accettazione passiva di una nuova fede nazionale che si aggrappa alla speranza e che rimuove molto semplicisticamente, ed opportunisticamente, il recente tragico passato tedesco. Il clown, pur essendo esso stesso la rappresentazione materiale, fisica, mentale e visiva della dissimulazione, dell’inganno, dell’identità segreta che è frutto di un inconscio che di volta in volta crea il conscio sofferente, è capace di essere altrimenti vero, spontaneo e lucidamente obiettivo riguardo ciò che gli sta intorno.

Il tristissimo buffone dice ciò che il suo autore pensa sulla nuova Germania postbellica. “Povero diavolo molto semplice, sincero e privo di complicazioni“, intriso di una vitalità un po’ bohémienne che non è lo stile di vita che intende avere Maria, viene lasciato dalla ragazza. Non ha un pfenning che sia uno e così inizia una serie di telefonate che sono, poi, il cuore del romanzo stesso: ad amici, parenti, conoscenti… Gli servono soldi, gli serve un appiglio per poter sperare ancora di essere il pagliaccio che può far ridere, avere successo, trovare un posto nella solitudine dell’esistenza, nel vuoto che lo circonda.

La maschera, nonostante tutto, non cede alla voglia, al desiderio di smascherare il mondo che è in ricostruzione: la piaggeria borghese nei confronti dei nuovi padroni, della Chiesa cattolica, del diritto e della morale, dell’ordine militare e civile, di un cambiamento che somiglia tanto al passato: non quello hitleriano, ma quello democratico, liberale che permette la libertà di espressione, che costringe all’adeguamento per interesse. La dittatura è spregevole, la democrazia è una delusione. Maria gli preferisce la sicurezza di una vita omologata al sistema e, così, scompare dalla sua vita.

Dalla sua situazione disastrosa, Hans non trae da subito quella che si potrebbe definire, in una favola un po’ metafisica come questa che, al contempo, è un libro di denuncia esistenziale, la morale della storia: lui sa di essere ai margini ma non sconfitto. La sua non è una caduta irreversibile. Siede sugli scalini della stazione di Bonn, dopo esservi arrivato con il suo incerto passo, imbraccia la chitarra e si mette a suonare dei canti religiosi. Mette in terra il cappello e attende gli spiccioli dei viaggiatori e dei passanti. La famiglia ricca è alle sue spalle.

L’amore è alle sue spalle, ma spera comunque sempre di ritrovarlo. Quell’amore lì, quello per Maria. Anzi, Maria in quanto suo amore. La fine della storia segna la perdita del “ritmo” quotidiano: quell’automatismo dei comportamenti che non pare tale nel momento in cui si vuole bene a qualcuno e si mette da parte la monotonia dei riti quotidiani. Come arrivare alla stazione, prendere il biglietto dalla tasca, porgerlo al controllore, scendere dal treno, andare all’edicola a comperare l’edizione della sera e poi a casa o per le vie della città

Hans dice: per cinque anni non ho fatto che viaggiare, nell’arrivare in un luogo e nell’andare in altri luoghi. Ha potuto vedere la trasformazione della Germania, il suo uniformarsi al nuovo mondo la cui era è appena cominciata. Züpfner lo ha sostituito nel cuore della ragazza e lui non ha più una bussola del sentimento: ma non rinuncia a denunciare, con le sue opinioni nella solitudine della stanza, ciò che questo conformismo produce. Una desertificazione dell’animo, della voglia di esistere oltre l’esistibile, oltre l’essere per sembrare, al di là del principio freudiano di piacere. Ma senza connotarsi come istinto suicidario.

Hans vive, continua a vivere e intende vivere. Non solamente esistere. Ma farlo sinceramente, con la sua maschera di clown, pur aderendovi sempre più e finendo per confondersi con essa: questa sua obiettività marcata, questa sua indefessa religione della verace schiettezza, come è ovvio, in un mondo di mezze o di false verità, gli procurerà non poche lacerazioni e inconvenienti. La precarietà di vita del clown, ossia di Hans, è ciò che gli conferisce – se è permesso usare questa espressione senza cadere in fraintendimenti – una sorta di superiorità morale rispetto agli altri. Il suo essere completamente divincolato dalle convenzioni sociali lo rende un viaggiatore a tutto tondo.

Non solo in giro per la vecchia Europa, grande cimitero degli ideali e dei materialismi di ogni tipo, ma del proprio a zonzo nell’animo, del suo essere energicamente duttile, capace di reinventarsi e di dare perimetro ad un personale schema esistenziale oltre le conformità, la religione, il bisogno (che pure è parte primaria del suo disagio). Quello di Böll è un mondo laico, indubbiamente, dove la critica alla religione è evidente. Ma non è il mondo dell’intolleranza ateistica. Semmai è il luogo del disincanto rispetto alla credulità su cui emergono prepotenti i dogmi dell’esistenza.

Hans e il suo autore, un tutt’uno (o quasi), non ridicolizzano chi crede in Dio, chi è cattolico, ma di certo non provano nei loro confronti ammirazione. Non c’è un giudizio sprezzante, dall’alto in basso, eticamente contrapposto alla morale cristiana. Tuttavia una riflessione è permessa al lettore e alla lettrice alla fine del libro, proprio in questa direzione: una vita felice (o la ricerca di un’esistenza simile) è possibile anche senza artefatti e presupposti metafisici.

OPINIONI DI UN CLOWN
HEINRICH BÖLL
OSCAR MONDADORI, 2023
€ 14,00

MARCO SFERINI

11 giugno 2025

foto: particolare della copertina del libro


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