Nuovo maccartismo ma università Usa assai più deboli

Quello che sta accadendo nelle università di ricerca americane ha un che di surreale. Bisogna assistere gli studenti a cui sono stati annullati i visti, fornire contatti di avvocati...

Quello che sta accadendo nelle università di ricerca americane ha un che di surreale. Bisogna assistere gli studenti a cui sono stati annullati i visti, fornire contatti di avvocati ai professori nel caso fossero arrestati, mentre gli uffici amministrativi sconsigliano a tutti gli stranieri di tornare a casa per le vacanze. Ai docenti di Barnard College, il governo ha chiesto via email di dichiarare se fossero ebrei o meno.

Intanto, migliaia di ricercatori si sono visti annullare fondi di ricerca federali già assegnati. La sola National Science Foundation ha cancellato più di quattrocento progetti in discipline Stem, inclusi quelli su temi sensibili come disinformazione e deepfakes. Molti di più i progetti cancellati in ambito medico, mentre le materie umanistiche sono state letteralmente spazzate via: cancellati circa mille progetti federali, l’85% di quelli esistenti.

È su questo sfondo che il governo ha iniziato ad agire direttamente contro singole università, minacciando di bloccarne le attività. La richiesta è chiara: le università devono cambiare i criteri di assunzione e immatricolazione, l’offerta dei corsi, e devono promuovere una «diversità di punti di vista», che in pratica significa inserire ideologi Maga nel corpo docente.

Columbia University ha ceduto per poi ricevere una serie di richieste ancora più inaudite delle precedenti. Il che ha convinto Harvard a usare una strategia diversa, e ingaggiare una battaglia legale che si preannuncia lunga e costosa. Intanto, sono entrate nel mirino le università pubbliche (che non dipendono dal governo federale ma dagli stati): a Madison e Berkeley sono in corso indagini su presunti e non meglio definiti abusi amministrativi.

Come in altri settori, le mosse scomposte del governo americano in materia di educazione e ricerca minano alla base lo stato di diritto, provocando caos e paura. Non che le università americane non siano mai state obiettivo di attacchi politici, basti pensare all’epoca del maccartismo.

Durante gli anni Cinquanta, le università vennero setacciate alla ricerca di spie o simpatizzanti comunisti, e almeno un centinaio di professori vennero licenziati in tronco per motivi politici, in violazione della loro libertà accademica. Quella paranoia anticomunista è stata paragonata, con qualche ragione, all’accusa di antisemitismo lanciata recentemente contro molte università e dipartimenti. Ma la situazione attuale, in realtà, è molto più preoccupante.

Durante il maccartismo le università erano colpite indirettamente, l’obiettivo era eliminare i «rossi», lì come in ogni altro ambito della vita pubblica. Oggi, l’antisemitismo, le politiche di equità e inclusione, e qualunque altro argomento verrà usato a breve, sono solo pretesti: l’obiettivo è l’università stessa. Un’università che il governo percepisce come irrimediabilmente liberal e cosmopolita, e quindi come un ostacolo per la creazione dell’etnostato e il pieno dispiegamento dell’ideologia Maga.

Gli anni Cinquanta, a ben vedere, sono stati un periodo d’oro per l’università americana. I finanziamenti federali alla ricerca sembravano non avere limiti, e lo shock che seguì al lancio dello Sputnik, nel 1957, consolidò l’integrazione tra industria della difesa, Pentagono, e ricerca universitaria. Le grandi università di ricerca ne uscirono rafforzate ed autorevoli. Il prezzo da pagare fu il silenzio sui temi politici: il mantra era quello della scienza neutrale.

L’ordine della guerra fredda inizia a scricchiolare nel 1964, con le proteste studentesche di Berkeley che, sullo sfondo della lotta per i diritti civili, denunciano il sistema militare-industriale di cui l’università è parte. Ronald Reagan diventa governatore della California, nel 1966, proprio con la promessa di restaurare l’ordine a Berkeley: le università cominciano a perdere autorità epistemica e ad essere descritte come bastioni di radicalismo politico. A partire dagli anni Settanta, alla reazione conservatrice si aggiungono le nuove politiche di austerità e il progressivo declino dei finanziamenti pubblici.

Oggi vediamo gli effetti di questo lungo processo di disgregamento. Il governo attacca un sistema universitario molto più debole di quello degli anni Cinquanta. È una debolezza strutturale: l’alleanza sancita dal progetto Manhattan è in crisi. Se l’atomica fu costruita da professori di università come Berkeley e Chicago, oggi ci sono nuovi attori in campo, a partire dai giganti di Silicon Valley. Sono loro a presidiare le frontiere delle nuove tecnologie strategiche – prima tra tutte l’Ia. L’università gioca ancora un ruolo in questo settore, ma non è più centrale. La ricerca è quasi sempre ibrida, accademia e industria si sono integrate al punto è che difficile riconoscerne i confini.

Le università di ricerca sono state uno dei pilastri della potenza americana nel ventesimo secolo, e il loro apogeo coincide con l’era atomica. Caduto l’ordine della guerra fredda, le università non devono solo difendersi dagli attacchi politici delle forze reazionarie, ma immaginare di nuovo il loro ruolo nella società americana. Un ruolo che tenga conto del riequilibrio dei rapporti di forza globali e della trasformazione del capitalismo tecnologico. Per le università pubbliche, in particolare, la domanda sempre più urgente è: che cosa significa essere al servizio dei cittadini?

MASSIMO MAZZOTTI

da il manifesto.it

Foto di Czapp Árpád

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