Il bastone e la carota rancida. La propaganda del governo sulle migrazioni, vessillo identitario delle destre nazionaliste, oltre all’impianto securitario del progetto albanese, alla retorica degli scafisti da «inseguire nel globo terraqueo» (come da celebre frase di Giorgia Meloni) prevede anche la riorganizzazione degli ingressi per lavoro.
Già all’indomani dell’insediamento dell’esecutivo, il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti e le associazioni datoriali avevano fatto capire che le frasi da campagna elettorale («Basta ingressi nel nostro paese») erano inadeguate davanti alla presa d’atto che serve forza lavoro per mandare avanti la produzione italiana. Ed ecco che il governo arriva al suo secondo decreto flussi, approvato ieri dal consiglio dei Ministri, ampliando il numero degli ammessi: 500 mila lavoratori stranieri nel triennio 2026/2028.
Il primo decreto era stato un fallimento, tanto che nel corso della legislatura era stato più volte modificato ma senza intervenire sulle dinamiche distorsive della procedura, ancorata alla lotteria del clic day e a una burocratizzazione elevata.
Con il risultato che la stragrande maggioranza delle persone che avevano fatto richiesta è rimasta senza contratto, senza regolarizzazione, senza diritti: nel 2024 solo il 7,8% dei lavoratori entrati in Italia attraverso il decreto flussi ha ottenuto sia il permesso di soggiorno che un impiego stabile: sono state 9.331 le domande accolte dalle prefetture, su un totale di 119.890 quote assegnate nel corso dell’anno, secondo l’analisi della campagna Ero straniero (promossa da A Buon Diritto Onlus, ActionAid, Asgi, Federazione Chiese Evangeliche Italiane, Oxfam, Arci, Cnca, Cild, Fondazione Angelo Abriani) elaborata sui dati del Viminale.
«Il sistema non funziona e non solo per il mancato soddisfacimento delle esigenze del mondo produttivo, ma anche rispetto alla possibilità di garantire canali di ingresso accessibili e praticabili, con tutte le tutele previste alle persone straniere che intendono venire a lavorare in Italia – spiegano gli estensori della campagna – Dalla nostra analisi dei dati degli ultimi decreti flussi emerge chiaramente che solo una parte, esigua, delle persone entrate con i clic day degli ultimi anni ha oggi un contratto e un permesso di soggiorno. Il resto, molto probabilmente, vive nel nostro Paese nella totale precarietà e senza documenti, a rischio sfruttamento».
Il nuovo Dpcm stabilisce che gli ingressi dei lavoratori extracomunitari siano suddivisi in 164.850 quote per il 2026, 165.850 per il 2027 e 166.850 per il 2028. Per settore, invece, ci saranno 76.850 ingressi per ciascuno dei tre anni per il lavoro subordinato non stagionale e per il lavoro autonomo; per gli stagionali 88.000 per il 2026, 89.000 per il 2027 e 90.000 per il 2028, e infine per colf e badanti 13.600 per il 2026, 14.000 per il 2027 e 14.200 per il 2028.
Inoltre, ci saranno «quote preferenziali per lavoratori ad alta qualifica e provenienti da Paesi partner che informano sui rischi dell’immigrazione irregolare», rende noto l’esecutivo, e cioè con gli stessi paesi con cui sono stati fatti accordi per i rimpatri. «Il principio guida – sostengono dal Cdm – è calibrare i flussi sul fabbisogno reale del mercato e sulla capacità di accoglienza a livello locale, favorendo i canali regolari e scoraggiando quelli illeciti». Spiegazione che, però, non ha convinto le formazioni di estrema destra, come Casapound, che hanno parlato di «invasione legalizzata».
Le cifre sono in linea con quanto richiesto dalle categorie degli edili e degli agricoltori, settori a maggioranza di manodopera straniera. Ma i meccanismi che creano la disparità tra domande pervenute e domande accolte non è stato modificato. Lo nota anche Coldiretti, organizzazione non di certo ostile al governo Meloni. «Uno dei problemi principali del meccanismo del decreto era legato al fatto che i lavoratori ricevevano spesso il nulla osta quando le attività di raccolta erano terminate – spiegano dall’organizzazione degli imprenditori agricoli – ora deve seguire il definitivo superamento del clic day permettendo alle imprese di presentare le richieste durante tutto l’anno, in base alle reali esigenze stagionali».
«Decidere di aumentare e programmare le quote d’ingresso – è il commento di Ero Straniero al manifesto – è un fatto positivo, ma non basta né al paese che ha bisogno di un sistema di ingressi per lavoro flessibile efficace, né a lavoratori e lavoratrici, se non riescono poi a stabilirsi nel nostro paese e lavorare con tutte le tutele».
Per i giuristi dell’associazione «serve con urgenza un permesso di soggiorno temporaneo per le decine di migliaia di persone entrate col decreto flussi ma che poi sono rimaste senza documenti perché non sono state assunte dall’azienda che le ha chiamate a lavorare. Solo questo può mettere fine alle irregolarità che questo stesso sistema crea». Ma, insistono, questo «sistema non solo va scardinato, a partire dal clic day, ma va totalmente superato».
Perplessità anche nelle opposizioni: «Non basta aumentare le quote – ragiona Stefano Vaccari, capogruppo Pd in commissione ecomafie – serve una legge che consideri l’immigrazione una risorsa programmando flussi e rapporti bilaterali. Lavoratori formati, con paghe dignitose e tutele sanitarie sono le precondizioni per contrastare il lavoro irregolare e il caporalato».
«L’ennesimo decreto flussi inutile senza riforma della Bossi-Fini», ha chiosato il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
LUCIANA CIMINO
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