Nexus

Yuval Noah Harari aveva già sorpreso con “Da animali a dei. Breve storia dell’umanità” (2014), sempre edito da Bompiani. Ora torna a sorprenderci, per la chiarezza della sua esposizione...

Yuval Noah Harari aveva già sorpreso con “Da animali a dei. Breve storia dell’umanità” (2014), sempre edito da Bompiani.

Ora torna a sorprenderci, per la chiarezza della sua esposizione di argomenti che non rispondono, ma provano almeno a porsi nuovi interrogativi che facciano evolvere dubbi e che, soprattutto, eliminino una volta per tutte una sequela di false informazioni tanto nella proiezione dell’ieri storico quanto nella strettissima attualità dell’oggi.

La sorpresa narrativa, argomentativa e certamente antropologica è tutta contenuta nel suo nuovo libro: “Nexus. Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’IA” (2024). Dove l’acronimo finale del sottotitolo sta, ovviamente, per “Intelligenza artificiale“.

Si apre tutta una serie di scenari indefiniti e, talvolta, indefinibili in un presente che è strattonato da un futuro incedente, attanagliato dallo spettro delle crisi globali e della sovrapopolazione. Il numero, infatti, è una delle questioni che riguardano la storia dell’umanità e di quell’animalità dell’essere umano da cui noi stessi ci siamo separati pensandoci e mettendoci in pratica nella vita di ogni giorno come superiori rispetto alle altre specie.

Dimenticando volutamente che noi siamo parte di quelle altre specie. Abbiamo un’intelligenza raffinata, quando vogliamo farla funzionare in questo senso. Ed abbiamo la capacità della coscienza dell’autocoscienza. Questo, come diceva Stephen Hawking, ci rende davvero molto speciali nella complessità di un universo che, ancora oggi, visti i nostri limiti oggettivi, ci appare disabitato.

La nostra solitudine nel sistema solare, nella Via Lattea e nella incommensurabile estensione dell’esistente, ha trovato un lenimento nella concretizzazione micromondiale di noi medesimi: dalla proiezione nell’universo, che smarrisce e vertiginizza tutto, al calarsi nella quotidianità miserevole di un mondo che abbiamo antropizzato e reso schiavo dei nostri bisogni primari e di tutta una serie di bisogni fittizi che oggi, per comodità e per abitudine al privilegio, abbiamo innalzato al livelli superiore.

Yuval Noah Harari riprende più volte questa contestualizzazione interstellare, perché è l’ambiente in cui, lo si voglia prendere in considerazione oppure provare a prescinderne, il tutto ha una sua collocazione ben precisa e che, tuttavia, il più delle volte sfugge alla nostra comprensione.

Tanto più oggi, nella cosiddetta “modernità“, il rapporto tra informazione e verità si fa sempre più confuso e induce e sospettare di qualunque affermazione: soprattutto di quelle fatte dagli enti internazionali, dalle grandi centrali tanto della rappresentanza istituzionale quanto del potere economico.

La teorizzazione dei complotti si nutre di una fantasia indegna dei migliori scrittori di romanzi del filone, quando di altri che vi si connettono seppure indirettamente: si va dal “deep state” americano fino a complotti giudaico-massonici, sperimentazioni transumane, e via dicendo. Il periodo pandemico ha dato una spinta propulsiva, una vera e propria accelerazione tanto nella produzione massiva di questi para-contenuti e para-pensieri, quanto all’involuzione immaginifica che ne è seguita su vasta scala.

Piuttosto interessante è l’ispirazione originale ed originaria del libro che fa la storia delle “reti di informazione” che, sia nei tempi passati sia oggi, seguono le rotte commerciali e si avvantaggiano reciprocamente per diffondersi entrambi, notizie e merci, influenze politiche e condizionamenti economici, su uno spazio pressoché globale. Si potrebbero trovare molte differenze tra il presente ed il passato quando si opera un raffronto tra informazione, verità e potere. Ed in effetti, basta pensare al fatto che, nei secoli e nei millenni trascorsi, la comunicazione avveniva sempre dal vertice alla base.

Le notizie erano di dominio pubblico nel momento in cui il sovrano e la sua corte decidevano che se ne poteva parlare e, quindi, da loro partiva l’input affinché nel regno si conoscesse ciò che si doveva sapere. È evidente che qualcosa sfuggiva comunque alla canalizzazione delle informazioni predisposta per il mantenimento saldo delle redini di comando tramite la sudditanza cieca obbedienza della popolazione. Anche perché, pur non esistendo la cronaca propriamente detta, le storie venivano tramandate.

E le storie in questione erano, il più delle volte, leggende, miti, epopee che avevano, al pari della mitologia ellenica, un substrato psicologico che intendeva ispirare l’essere umano alla realizzazione di un benessere sociale che, per poter essere tale, necessitava del mantenimento dei privilegi di chi deteneva il potere.

Con tutte le differenze del caso, tra secolo e secolo, tra ere e passaggi storici da un ciclo all’altro dei domini su vaste porzioni di terre conosciute, è sufficientemente evidente la trattazione della verità come “verità di Stato“, più che “oggettiva“.

Oggi, la velocità con cui le informazioni si propagano ha posto limiti di non poco conto alla manipolabilità dell’informazione che, comunque, proprio perché questa agisce su una scala sempre maggiore, verso miliardi e miliardi di esseri umani, ha rinnovate capacità di condizionamento sociale di massa e singolare al tempo stesso.

Piuttosto utile è il raffronto, e magari la lettura comparata, tra la fatica editoriale di Harari e un approfondimento molto circostanziato sui fenomeni delle “fantasie di complotto” fatto da Wu Ming 1: “La Q di Qomplotto – Qanon e dintorni” (edizioni Alegre, 2021) racconta, senza disincanto alcuno, senza rassegnazione alla manipolazione delle informazioni che divengono “fake news“, il nascere, l’età matura e anche la fine di queste inesistenti verità che si espandono in men che non si dica.

Harari mette l’accento sulla pervasività di una tendenza all’autodistruzione da parte di una umanità in continua lotta fratricida; mentre l’informazione diventa quasi secondaria rispetto alla concreta veridicità dei fatti. Gli accadimenti sembrano essere informati dalla stampa e non viceversa.

Le cronache sono artefatte non da interpretazioni singolari dell’autore, ma da filoni di narrazioni che sostituiscono ciò che realmente è avvenuto o, più elementarmente, ciò che sta avvenendo.

Mentre la tecnologia dovrebbe consentirci di avere quasi subitaneamente una finestra sulla realtà locale e globale, spesso proprio mediante l’utilizzo dei social e dei tanti mezzi che ci permettono di interagire qui ed ora con decine e decine di contatti, quello che è reale (e per questo, almeno in un primo approccio) vero, riscontrabile oggettivamente su un piano ontologico, subisce una torsione distorsiva tramite fraintendimenti a volte indotti e, altre volte, spontanea cortocircuitale creazione di auto-trabocchetti.

Siamo noi stessi, vittime di questi processi più grandi della singolarità di ciascuno, induttori di altre disinformazioni che, non c’è tema di smentita, sono una delle armi di propaganda che i moderni poteri che reggono le grandi potenze statali e i grandi agglomerati economico-finanziari, utilizzano per avere un controllo piuttosto preciso delle istintualità di massa. Hariri non nega che l’utilizzo delle informazioni da parte del potere non abbia anche dei nobili fini.

Ma la ricerca ci porta ad una conferma del fatto che, sempre più, sono gli innumerevoli esempi negativi, piuttosto di quelli che prendono spunto da una attitudine sociale, civile e morale.

Dalla preistoria ad oggi, lo studio “breve” della storia dell’informazione e delle reti che ha seguito nel corso dell’ultramillenario cammino umano, approda all’ultima pagina moderna di questa epica infinita: qui il confronto tra notizia, comunicazione e verità si fa ologrammatico.

L’Intelligenza artificiale è il capitolo non finale di un fantascientifico rapporto che abbiamo già oggi, ed ancora di più avremo nel futuro, con figure, immagini, rappresentazioni artistiche e fotografiche, nonché con video e filmati inesistenti ma riscontrabili al di là della concezione di raffigurazione mediata dalla mente dell’uomo. Mente che è capace di creare una tecnologia in grado di inventare e rendere quasi reale ciò che, proprio nella realtà, è inesistente perché non corrisponde a nulla e nessuno.

La si potrebbe quasi definire una “programmazione dell’irreale” in un mondo in cui la crisi del reale è istintivamente il crollo delle nostre certezze, il dramma dell’irragionevolezza che si strutturalizza nella dimensione di un potere prevaricante tutto e tutti; di cui le guerre sono sempre la prosecuzione e, anzi, oggi pure l’anticipazione di mutamenti regressivi, perché non portano ad un miglioramento delle condizioni di vita per noi, per gli altri esseri senzienti e, tanto meno, per la natura.

Harari attribuisce, in parte, anche al flusso costante, incessante e sempre più torrenziale di informazioni (e disinformazioni) la complicità nel processo autodistruttivo umano e dis-umano. Ma trae spunto da ciò per evitare il facile rifugio nella rassegnazione contemplativa dello scorrere degli eventi. Non tutto è perduto e non tutto è da buttare.

I “sapiens” hanno un compito davanti a loro: rimediare a tutti i danni fatti in due, tre, quattromila anni; ma soprattutto negli ultimi tre secoli e, in particolare, nel Novecento, quello che ci è più prossimo. La breve storia delle reti di informazione si può considerare come un utile manuale di sociologia applicata per iniziare un viaggio a ritroso nel tempo, spostandosi in un presente-futuro discontinuo e potenzialmente distopico.

Le contraddizioni riscontrabili tra sistema dell’informazione e sistema di potere appaiono evidenti ogni giorno. Per poter dominare su miliardi di persone e per continuare l’opera di antropocentrizzazione del pianeta, il capitalismo liberista si serve di una favolistica che è vendita di fumo, ma pur sempre vendita di qualcosa è. Coloro che vogliono distogliere la critica da una osservazione attenta in merito, utilizzano quelle fantasie complottiste di cui si faceva cenno.

Nonostante ci si possa sentire circondati da un mondo di false notizie e di inganni, i mezzi per conoscere le verità ci sono. Sono gli stessi utilizzati dai calcolatori di fake news: la controrisposta deve essere proprio così. Uguale ma di segno esattamente opposto in una prospettazione tutt’altro che semplice della ricomposizione delle fratture sociali, di quelle tra interi popoli e Stati e, per di più, nella cornice del disastro ambientale.

Un viaggio verso l’ignoto può spaventare se si conosce molto poco di sé stessi, della propria provenienza. Quindi della propria origine. La lettura del libro di Harari è, quindi, un modo per rifuggire qualche ansia sull’oggi e qualche timore più solido e importante su ciò che un domani sarà…

NEXUS
BREVE STORIA DELLE RETI DI INFORMAZIONE DALL’ETÀ DELLA PIETRA ALL’IA
YUVAL NOAH HARARI
BOMBIANI, 2024
€ 25,00

MARCO SFERINI

9 ottobre 2024

foto: particolare della copertina del libro


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