Nelle lacrime di Tolstoj il rispetto per il dolore (sia vicino che lontano)

Sull’autore un libro illustrato di Kat’ja Gušcina edito da Rizzoli con una prefazione di Paolo Nori

Di questi tempi le rotte turistiche non includono Mosca, ridiventata nel 2022 la capitale dell’«impero del male», com’era l’Urss nel 1983 per Ronald Reagan e com’è la Russia per molti oggi in Occidente, quasi che un paese e il suo presidente fossero tutt’uno (eppure dovremmo saperlo, qui in Italia e negli Stati Uniti e in tanti altri posti, che così non è).

Ma immaginando che si arrivi presto alla pace duratura da tutti a parole invocata, e di nuovo i voli per Mosca si riempiano di turisti smaniosi di conoscere la città, c’è un posto che i futuri ipotetici viaggiatori non dovranno mancare, ed è la casa dove Tolstoj visse con la sua famiglia dal 1882 al 1901 e che è uguale, dentro e fuori, a quella che si vede nei sussultanti filmati dell’epoca.

Fino a una ventina d’anni fa, in ogni stanza della casa c’erano certe anziane signore che si stenterebbe a definire guardiane – piuttosto attempate vestali della memoria di Lev Nikolaevic, di cui conoscevano ogni abitudine, per esempio indicando con un sorriso i piatti di diversa misura sulla tavola apparecchiata: più piccoli per lui e per i figli che lo avevano seguito nel vegetarianesimo, più grandi per i caparbi carnivori, la moglie Sof’ja Andreevna in testa.

È probabile che le vecchie vestali abbiano da allora raggiunto il loro nume e non è dato sapere se chi le ha sostituite abbia per Tolstoj la stessa miscela di venerazione e malizia che si prova per un nonno adorato, di cui si amano pure puntigli e stramberie.

Ma qualcosa del genere, senza andare a Mosca, si trova in un libro, 100 cose che fanno piangere Tolstoj, approdato nelle librerie italiane per merito di Rizzoli che lo ha pubblicato (pp. 128, euro 21), di Paolo Nori, autore della prefazione, che l’ha intercettato e affidato a Sofia Cacchi, sua allieva in un corso di traduzione (la quale ha fatto un egregio lavoro), e soprattutto di Kat’ja Gušcina, ventinovenne artista e cartografa di Nižnij Novgorod, che l’ha ideato, scritto e illustrato, mescolando foto d’archivio e disegni, ogni pagina colorata da goccine o goccione azzurre – le lacrime di Tolstoj, appunto.

Nell’originale russo il libro era destinato (come altri di Gušcina: sul dissidente Sacharov, su Maksim Gorkij, sulle dicerie al tempo degli zar) a un pubblico di bambini, e difatti è stato segnalato nel 2023 alla Children’s Book Fair di Bologna. Giustamente, però, da noi Rizzoli lo propone a lettori di tutte le età, un po’ perché di certo pochi bambini italiani conoscono l’autore di Guerra e pace, e un po’ perché questo è un libro che può piacere anche agli adulti – anzi, a loro forse più che ai bambini.

Come dice il titolo, 100 cose che fanno piangere Tolstoj è un elenco di fatti e situazioni in cui sappiamo che Tolstoj si è commosso e ha sparso lacrime: a volte lo ha scritto lui stesso nei suoi libri autobiografici o nei suoi diari, a volte lo hanno raccontato le persone che lo hanno conosciuto e frequentato.

E brava e paziente è stata Kat’ja Gušcina che ha raccolto tutti questi episodi, ma bravissimo, diciamolo, è stato Lev Nikolaevic, che non ha nascosto di essere un frignone (o gnolone, per dirla con Nori) neanche quando le cause del pianto erano poco nobili: aver perso alle carte, avere spiato per gelosia Sof’ja Andreevna, perfino avere riso fino alle lacrime prendendo in giro Gorkij.

È interessante (oltre che molto divertente), questo libro, perché ci ricorda che non è vero che boys don’t cry, e non era vero neanche cento o duecento anni fa; e pure che non è vero che i maschi frignoni – cioè, come si dice adesso, che esprimono le loro emozioni – sono per questo più rispettosi per le emozioni di chi sta loro vicino, come potrebbe attestare, fosse ancora viva, Sof’ja Andreevna.

E infine, che si può essere grandi scrittori, i più grandi che si possano immaginare, e nella vita quotidiana altalenare fra sentimenti sublimi e tremende meschinità, e di conseguenza che i libri vanno letti per ciò che c’è scritto, e non per la biografia di chi li ha scritti (osservazione banalissima, ma di questi tempi non troppo scontata).

Sicuro è però che per Tolstoj, pronto a sciogliersi in lacrime per le ingiustizie e le sofferenze vicine e lontane, oggi i motivi per piangere non mancherebbero.

MARIA TERESA CARBONE

da il manifesto.it

foto: screenshot particolare della copertina del libro

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