Alla chiusura di questo giornale mancava qualche ora alla cerimonia progettata da Trump per firmare la mega-finanziaria che renderà il paese a sua immagine e somiglianza. E proprio nell’Independence Day, ha disposto il sorvolo della Casa bianca da “splendidi” cacciabombardieri.
Per molti americani, forse la maggioranza, il 249mo anniversario passerà invece alla storia come il più infausto dei “4th of July”.
Per dirne una, non c’era bisogno di esibire l’armamentario per sottolineare la trasformazione degli Stati uniti in regime militare. Quel passaggio è sancito dalla legge che oltre al mastodontico trasferimento di ricchezza dal basso vero l’alto, dota la famigerata Ice, agenzia preposta alla grande deportazione, di un bilancio smisurato (45 miliardi di dollari).
Il nuovo budget pone l’agenzia migratoria al 16mo posto nella graduatoria degli eserciti mondiali (dopo Canada e prima dell’Italia), risorse decuplicate che permetteranno di dilagare agli scherani mascherati che da un mese seminano il panico sulle strade, e al riparo da giudici e tribunali di porsi ormai come una polizia segreta a disposizione del presidente. Parallelamente viene finanziato (via appalti a privati) un gulag di campi di prigionia progettati all’insegna della crudeltà, secondo il modello dell’alleato salvadoregno.
Preventivamente esentato da responsabilità un Trump plenipotenziario riassume caratteri tipici dello stato totalitario: il culto della personalità che lo sostiene, l’identificazione del sovrano con lo stato e l’immunità dallo stato di diritto.
La “grande meravigliosa” legge finanziaria infatti sancisce infatti anche la fine effettiva della giurisdizione dei tribunali, soprattutto abbinata alla sentenza della Corte suprema che alla vigilia ha sostanzialmente abdicato a ogni controllo del ramo giudiziario sul potere esecutivo (tanto per puntualizzare, ieri i togati hanno dato a Trump facoltà di deportare il primo contingente multinazionale di espulsi nel Sudan del sud).
Il pacchetto promette ora di sprigionare davvero a piena forza la carica di violenza a fior di pelle nel paese dopo dieci anni di incitamento trumpiano, e impone una domanda ineludibile sullo stato del diritto costituzionale in una nazione in cui – pur con tutte le lacune – la costituzione ha costituito un pilastro dello stato. Le forze fanatiche e integraliste che animano la coalizione Trump non hanno fatto segreto dell’intenzione di «decostruire lo stato» e questa settimana sono stati assestati colpi forse fatali allo stato sociale e, con un’altra sentenza rivelatrice, quella contro lo ius soli, al cuore dei diritti garantiti dal 14mo emendamento.
Quell’articolo della costituzione estendeva la cittadinanza agli schiavi emancipati dopo la guerra civile e quindi a chiunque nascesse sul suolo nazionale, ma enunciava soprattutto la “equal protection under the law” – la dottrina primaria dei diritti che proteggono il cittadino dai soprusi arbitrari dello Stato. L’emendamento è stato alla base di tutto il moderno progresso civile del paese, dall’emancipazione promulgata da Lincoln alle riforme sindacali e al welfare state di Roosevelt, ai diritti civili sotto Kennedy e Johnson (e Martin Luther King) e a quelli successivi. Anche la caduta di Nixon è stata un esempio paradigmatico del concetto di uguaglianza di fronte alla legge contenuto nell’emendamento.
Il trionfo di Trump è di negare ora definitivamente quel teorema e porsi come sovrano incontestato in grado di minacciare di arresto o deportazione avversari, giornalisti e semplici cittadini, di estendere la deportazione ai cittadini naturalizzati (eventualmente anche se candidati a sindaco di New York, come il socialista Zohran Mamdani). La sua trasformazione in autocrate è compiuta e nei mesi a venire, mentre alla sociopatia narcisista si somma la perdita di lucidità, si prefigura un ulteriore deriva verso un “American Mobutu”, tiranno senile più simile a un re, in opposizione al quale la nazione era nata.
Per molti, forse la maggioranza degli americani, si è quindi trattato di un 4 di luglio infausto, celebrato in un America irriconoscibile. E per quei molti si impone ormai ineludibile la domanda di cosa stia producendo questa mutazione genetica fatta di lager coi coccodrilli e polizia segreta in cui lo stato torna a porsi come protettore e persecutore temuto da cittadini alla sua mercé.
Al 250esimo anno dalla fondazione si affaccia un’America integralista, apocalittica e feroce, che ha un progetto chiaro per l’esportazione attraverso un’internazionale populista, di un modello che adotta prevaricazione e prepotenza come lingua franca di nuovi nazionalismi sovranisti. Lo scorso mese, per dire, ha visto conferenze Cpac (gli stati generali del sovranismo trumpista) in Polonia ed Ungheria.
Agli americani la mutazione è ben chiara. Sembrerebbe esserlo meno per la processione di politici e cariche istituzionali accorse all’ambasciata americana di Roma per dire – nel giorno in cui si inaugurava la “Alcatraz dei coccodrilli” – che questi Usa sono “nazione sorella” che vede il mondo allo stesso modo.
LUCA CELADA
Foto di John-Mark Smith