Marketa Lazarová. È quasi Primavera

Il socialismo dal volto umano e il più bel film ceco di sempre
Corso cinema n. 135

Il farfaraccio, genere di piante classificata dal botanico Philip Miller a cui si deve anche il nome scientifico “Petasites Miller”, è tra i primi fiori che sbocciano in primavera. Dopo la Prima guerra mondiale un gruppo di artisti cechi e slovacchi fondarono un movimento di rinascita culturale che decisero di chiamare Devětsil, il nome boemo del fiore, metafora del loro spirito innovatore. Il movimento attingeva dal futurismo, dal surrealismo, dal cubismo, dal poetismo, dall’espressionismo, dal Proletkult. Tra i fondatori Karel Teige artista e teorico che, in tema di avanguardie, insegnò anche alla Bauhaus a Dessau; Jaroslav Seifert poeta e giornalista primo ceco a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1984; Adolf Hoffmeister pittore, disegnatore, fumettista e scenografo; Vladislav Vančura poeta e scrittore, il massimo rappresentante dell’espressionismo ceco e della corrente proletaria del movimento.

1. Vladislav Vančura

Il Devětsil, che vedeva tra i suoi rappresentati anche l’attore George Voskovec (poi apparso ne La parola ai giurati), cessò la sua attività collettiva nel 1930, ma l’arte dei protagonisti continuò anche negli anni successivi. Poi arrivarono i nazisti e gli stessi artisti vennero censurati, perseguitati o costretti alla fuga. Tragica la fine di Vančura, militante del Komunistická Strana Československa (Partito Comunista di Cecoslovacchia, KSČ), che nel 1942 venne torturato e ucciso dalla Gestapo.

LA NUOVA ONDA

All’inizio degli anni Sessanta un gruppo di giovani che si erano formati prevalentemente alla Filmová a televizní fakulta Akademie múzických umění v Praze (Scuola di cinema e televisione dell’Accademia delle Arti Performative di Praga, FAMU) decisero di rifarsi esplicitamente al Devětsil per cambiare il cinema con una “nuova onda”, la Nová vlna.

Ad animarla una generazione di autori “profondamente critica nei confronti del potere burocratico, aperta al dibattito ideologico e politico, insofferente della tradizione, incerta e dubbiosa ma cosciente della propria funzione di rottura degli schemi culturali tramandati e passivamente accettati” (Rondolino). Tra loro, oltre a Milan Kundera che diventerà immortale grazie al romanzo “Nesnesitelná lehkost bytí” (“L’insostenibile leggerezza dell’essere”), i cineasti Miloš Forman, che poi ebbe un certo successo anche oltreoceano (Qualcuno volò sul nido del cuculo, Amadeus), Štefan Uher e Věra Chytilová autori dei film che inaugurarono il movimento, rispettivamente Slnko v sieti (Il sole nella rete, 1962) e Pytel blech (Un sacco di pulci, 1962) e Sedmikrásky (Margheritine, 1966), Ján Kadár e Elmar Klos autori di Obchod na korze (Il negozio al corso, 1965) Oscar come Miglior film straniero nel 1966, Jiří Menzel regista che ottenne lo stesso riconoscimento due anni dopo per il suo Ostře sledované vlaky (Treni strettamente sorvegliati, 1966) e František Vláčil che nel 1967 unì idealmente i due movimenti artistici, Devětsil e Nová vlna, portando sul grande schermo l’opera più significativa di Vladislav Vančura, Marketa Lazarová.

2. František Vláčil

I film della Nová vlna si distaccavano sia dalla storia del cinema del Paese sia dalle pellicole prodotte nel resto del blocco socialista (un discorso a parte meriterebbe la Polonia). La Cecoslovacchia e Praga in particolare, infatti, non furono impermeabili alle culture degli anni Sessanta. Anzi, in qualche modo le anticiparono. Ad esempio, tra il 1960 e il 1962 il Presidente della nazione e Segretario del Partito Comunista di Cecoslovacchia Antonín Novotný, stalinista osservante, fu costretto ad autorizzare l’apertura di locali jazz e a far entrare il rock in Cecoslovacchia che venne prontamente ribattezzato “rock socialista” tra i gruppi più noti gli Olympic, i Golden Kids, Blue Effect e The Plastic People of the Universe. Non mancarono neanche le oceaniche manifestazioni studentesche, le prime risalivano addirittura alla fine degli anni Cinquanta, che ebbero il loro culmine il 18 febbraio 1965 quando Allen Ginsberg, poeta simbolo della beat generation, salì sul palco del dissacrante carnevale degli studenti, per poi sfilare, a modo suo, al corteo del Primo maggio, poco prima di essere allontanato dal Paese.

Anche il cinema stava cambiando. Le pellicole della “nuova onda”, prodotte comunque dall’industria di Stato, parlavano di giovani, di problemi esistenziali, di conflitti generazionali attraverso una lente grottesca, affrontando situazioni surreali e ricorrendo ad un inedito humor nero. Tra i film, prevalentemente girati in bianco e nero e interpretati da attori non professionisti, anche diverse trasposizioni di opere letterarie che mantenevano comunque una critica alla società e alla Cecoslovacchia dell’epoca.

FRANTIŠEK VLÁČIL E MARKETA LAZAROVÁ

František Vláčil fu tra i protagonisti culturali di quella Cecoslovacchia. Nato a Český Těšín il 19 febbraio 1924, dopo aver studiato cinema, realizzò diversi cortometraggi per l’esercito prima di passare agli studi Barrandov, all’epoca gestiti direttamente dallo Stato, tuttora tra i più grandi d’Europa (anche il recente Nosferatu è stato girato li). Dopo un breve apprendistato Vláčil, amante di Buñuel, Bergman, Bresson, diresse due importanti lungometraggi, Holubice (La colomba bianca, 1960) premiato a Venezia, e Ďáblova past (1961), quindi si concentrò sul romanzo storico “Marketa Lazarová” (pubblicato in Italia nel 1997 da Adelphi col titolo “Il cavalier bandito e la sposa del cielo”) scritto dal già citato Vladislav Vančura e dedicato alla memoria di Jiří Mahen scrittore ceco morto suicida dopo l’occupazione nazista.

Ambientato nel Medioevo durante la transizione dal paganesimo al cristianesimo, il libro narra lo scontro violento e sanguinoso tra briganti, proprietari terrieri (in ceco Zeman, nome che agli appassionati di calcio ricorda qualcosa) e nobili dove i confini tra bene e male sono labili e dove si erge solo la purezza di una ragazza, Marketa Lazarová.

Un testo non semplice linguisticamente che impegnò per oltre tre anni Vláčil e lo sceneggiatore František Pavlíček, membro del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cecoslovacchia. Le riprese iniziarono nel 1964 e si conclusero nel 1966. Un totale di 548 giorni in diversi luoghi della Cecoslovacchia da Lánská obora a Mrtvý luh fino al castello di Klokočín. Fu la più grande produzione della storia del cinema cecoslovacco che da un budget iniziale di 7 milioni di corone passò ad un costo finale di quasi 13 milioni (set e costumi vennero utilizzati anche per successive produzioni). Uno sforamento che impedì al regista di realizzare le cosiddette “Královské obrazy” (“Scene regie”) in cui Vláčil avrebbe raccontato anche lo scontro tra il re ceco Venceslao I di Boemia e il figlio Ottocaro. Il 24 novembre del 1967 uscì Marketa Lazarová.

3. Marketa Lazarová (1967)

Il clan Kozlík, che vive di razzie e saccheggi, è guidato dal patriarca Kozlík (Josef Kemr), un uomo feroce e autoritario, affiancato dai figli Mikoláš (František Velecký) e Adam (Ivan Palúch), soprannominato “braccio solo”. Durante una delle loro incursioni, in un rigido inverno, Mikoláš e Adam attaccano un convoglio, catturando Kristián (Vlastimil Harapes), figlio di un nobile sassone destinato a diventare vescovo di Hennau, e massacrando molti dei suoi accompagnatori. Il padre di Kristián riesce a fuggire e avverte il re, scatenando la reazione dell’esercito guidato dal Capitano Pivo (Zdeněk Kryzánek). Consapevole della rappresaglia imminente, Kozlík cerca alleati per difendersi e invia Mikoláš dal vicino Lazar (Michal Kožuch), capo di un clan rivale più incline al cristianesimo, per chiedergli aiuto contro il re. Lazar, uomo pavido e devoto, rifiuta e fa pestare a sangue Mikoláš, sperando di preservare la pace con le autorità. Furioso per il rifiuto, Mikoláš torna con i membri del suo clan, rapisce Marketa (Magda Vášáryová), la giovane figlia di Lazar destinata al convento, e dà sfogo alla sua vendetta: violenta Marketa, incendia il villaggio e fa crocifiggere Lazar sulla porta d’ingresso, segnando l’inizio di una faida insanabile tra i due clan. Marketa, inizialmente terrorizzata e umiliata, incarna una figura pura e innocente, simbolo di un cristianesimo ideale in contrasto con la brutalità del mondo che la circonda. Eppure, il suo destino prende una piega inattesa: col tempo, sviluppa un legame complesso con Mikoláš, che alterna violenza a una forma distorta di protezione nei suoi confronti. Parallelamente, si intreccia la storia di Alexandra (Pavla Polášková), sorella di Mikoláš e Adam, che si innamora di Kristián, il prigioniero sassone. Selvaggia e passionale, Alexandra rappresenta il paganesimo del clan Kozlík, e la sua relazione con Kristián aggiunge un ulteriore strato di conflitto interno. Adam, a cui il padre aveva mozzato un braccio per punire un rapporto incestuoso con la sorella, diventa una figura tragica, dilaniato tra la lealtà al clan e una gelosia tormentata che lo spinge verso desideri di vendetta personali. Nel frattempo, il monaco itinerante Bernard (Vladimír Menšík, personaggio assente nel romanzo), funge da testimone e narratore, offrendo riflessioni mistiche sugli eventi e incarnando una voce cristiana in un mondo dominato dal caos. Il re invia il Capitano Pivo e il suo vice Sovička (Zdeněk Řehoř) per annientare il clan Kozlík e liberare Kristián. L’esercito reale attacca Roháček, la roccaforte dei Kozlík, in una battaglia brutale che decima il clan. Kozlík viene catturato, mentre i suoi figli lottano per sopravvivere. Kristián, liberato, torna al suo mondo segnato dagli eventi; Alexandra affronta un destino incerto (nel romanzo si suicida); Adam muore nello scontro. Mikoláš, invece, vaga con Marketa, ormai legata a lui. In questo clima di morte, la ragazza torna dapprima dal padre, che la ripudia per il suo “peccato” e il legame col nemico, poi fugge dal convento, disgustata dall’ipocrisia ecclesiastica, proprio mentre Mikoláš muore in battaglia. Il monaco Bernard riflette sulla fragilità umana e sulla lotta tra bene e male, mentre la neve continua a coprire una terra devastata da violenza e odio. Marketa, unica luce in un mondo destinato alla rovina, rimane sola, sospesa tra un passato distrutto e un futuro incerto.

4. la purezza di Marketa Lazarová

Diviso in due parti, Straba e Agnus Dei, Marketa Lazarová è un affascinante affresco storico epico e sanguinoso (Vláčil anticipò l’azione di due secoli rispetto al romanzo). “Il ritratto di un mondo bestiale in cui a farla da padrone è sempre il più forte, dove il bene e il male sono indistinti e non esiste alcun tipo di compassione ne tra i pagani ne sotto il tetto di una chiesa. In mezzo alle torture e ai soprusi spicca la presenza angelica di Marketa Lazarová” (Mereghetti). Indimenticabili alcune scene: dalla prima comparsa di Marketa che stringe una colomba al petto alle distese innevate (la natura selvaggia è una protagonista in più), fino al finale che alterna il rientro della protagonista in convento e la morte in battaglia dell’amato.

Realizzato con grande raffinatezza grazie alla regia, che rimanda ad Andrej Tarkovskij, alla fotografia curata da Bedřich Baťka e alla musica scritta da Zdeněk Liška che riprende temi medioevali, il film rappresenta anche una critica a potere e religione in cui il regista parlò anche del periodo di cambiamento che la Cecoslovacchia stava vivendo.

LA PRIMAVERA DI PRAGA E LA NORMALIZZAZIONE

Cambiamento che si concretizzò anche a livello politico con l’elezione il 5 gennaio del 1968 di Alexander Dubček a Segretario del Partito Comunista di Cecoslovacchia che sotto lo slogan “Socialismus s lidskou tváří” (“Socialismo dal volto umano”) avviò nel marzo di quell’irripetibile ’68 una serie di riforme radicali: la libertà di stampa e la soppressione della censura, una decentralizzazione dell’economia, una maggiore democratizzazione all’interno del Partito Comunista, la riabilitazione delle vittime del “processo Slánský” (quattordici alti funzionari del Partito accusati ingiustamente di cospirazione e condannati, undici a morte), la libertà di associazione e di movimento, la riforma dello Stato per dare maggiore autonomia alla Slovacchia e alla Repubblica Ceca. In poche parole era la Primavera di Praga.

5. Alexander Dubček

In quel clima Marketa Lazarová, oltre ad essere visto da oltre un milione di spettatori (fu il film più visto nell’anno), fece incetta di premi in patria. Vinse il Premio del Ministero della Cultura cecoslovacco come opera artistica inventiva, ottenne il riconoscimento di stato Klement Gottwald per la sceneggiatura e anche un premio per la musica. Allo stesso František Vláčil venne conferito il titolo di “Zasloužilý umělec”, artista meritevole. Ma poi il film venne ritirato dalle sale.

Le riforme di Dubček, che comunque non mettevano in discussione le alleanze internazionali della Cecoslovacchia o il ruolo guida del Partito Comunista nella società, erano state accolte con entusiasmo dalla popolazione, meno dall’Unione Sovietica che, sollecitata da Varsavia e Berlino Est, e in maniera minore da Sofia e Budapest, che temevano che quella Primavera potesse arrivare anche nei loro paesi, decise di intervenire. Prima, dopo diverse riunioni nel Politburo, venne “richiamato” formalmente Dubček, poi, scattò l'”operazione Danubio”. Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 centocinquantamila soldati e tremila carro armati invasero la Cecoslovacchia.

6. Jan Palach

Dubček invitò la popolazione ad una resistenza non violenta, ma poi dovette capitolare. Rinchiuso in un posto imprecisato dell’attuale Ucraina e drogato, venne costretto ad un’abiura delle riforme intraprese. Rimase formalmente al potere fino all’aprile del 1969 per poi essere sostituito da Gustáv Husák che avviò il più classico dei processi di “normalizzazione”. A nulla valsero gesti estremi come quello, tra gli altri, del giovane Jan Palach, divenuto simbolo della Primavera, che si diede fuoco come forma di estrema protesta.

Con la “normalizzazione” vennero cancellate tutte le riforme di Dubček e soppresso quel vivace clima culturale. Furono, ovviamente, perseguitati gli autori di quella stagione e perfino i firmatari del “Dva tisíce slov” (“Il manifesto delle 2000 parole”), un appello pubblicato sul settimanale letterario “Literární listy” il 27 giugno 1968, scritto dal comunista romantico Ludvik Vaculik e sottoscritto da centomila tra intellettuali, sportivi, operai, cittadini comuni in cui si elogiava e si difendeva la Primavera. Tra loro anche volti noti come il mezzofondista Emil Zatopek e la ginnasta Věra Čáslavská, quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi di Città del Messico, cui venne, di fatto, cancellata l’esistenza.

7. targa commemorativa dedicata a František Vláčil

Ripercussioni anche per i protagonisti di quella stagione cinematografica: Miloš Forman e Ján Kadár emigrarono negli Stati Uniti, Věra Chytilová e Elmar Klos smisero di fare cinema. Continuò, pur tra mille ostacoli, František Vláčil che, dopo il ritiro forzato di Marketa Lazarová, che nel frattempo aveva avuto un minimo di distribuzione internazionale vincendo anche il premio come Miglior film al Festival internazionale del cinema di Mar del Plata (negli USA uscì, tagliato di un’ora, nel 1974, in Italia non è mai uscito e si è visto solo all’interno di alcune rassegne. Oggi esiste una versione per l’home video curata da Criterion), venne allontanato dal Partito Comunista e di conseguenza dagli studi Barrandov. Non solo. Gli fu per anni impedito di girare dei lungometraggi. Realizzò così solo alcuni cortometraggi per la Krátký film, tra questi Praha secesní (1974), prima di tornare a dirigere un film lungo nel 1977, Dým bramborové nate (Fumo di cime di patate), in cui parlò della “normalizzazione” riportando sullo schermo Rudolf Hrušínský, attore tra i primi firmatari del “manifesto delle 2000 parole” e per questo bandito dai set per anni. Una piccola rivincita. Quindi, nel 1978, diresse Stíny horkého léta (Le ombre di una calda estate), film ambientato dopo la seconda guerra mondiale in cui un gruppo di soldati nazisti ucraini tiene in ostaggio una famiglia in una fattoria della Moravia, che si aggiudicò il Globo di cristallo al Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary.

Ma forse la soddisfazione più grande František Vláčil, che complice la “normalizzazione” era finito in una spirale di alcol, aveva tentato due volte il suicidio ed era stato ricoverato in un ospedale psichiatrico, la ottenne nel 1998 quando un gruppo di critici ed esperti cinematografici elessero Marketa Lazarová come miglior film ceco e slovacco di sempre. Giusto in tempo, perché il regista si spense il 28 gennaio dell’anno successivo.

8. Marketa Lazarová visto da Davide Sacco

È Marketa Lazarová? L’attrice che la interpretò, Magdaléna Vášáryová (Banská Štiavnica, 26 agosto 1948) dopo aver debuttato con Vlácil, recitò con successo in altri film della Nová vlna. Tra questi, da segnalare, Vtáčkovia, siroty a blázni (Uccelli, orfani e folli, 1969) diretto da Juraj Jakubisko, film che affrontò, con toni surreali, il processo di “normalizzazione” che seguì la Primavera di Praga. Per questo la pellicola venne prontamente censurata, il regista relegato ai cortometraggi e lei espulsa dall’Università Comenio di Bratislava dove stava studiando sociologia. Magdaléna Vášáryová continuò, nonostante tutto, a recitare anche negli anni successivi, al punto da essere nominata, nel 1988, artista meritevole. Poi con la Rivoluzione di velluto intraprese una intensa carriera politica e diplomatica. Dal 1990 al 1993 fu, infatti, ambasciatrice della Cecoslovacchia in Austria, poi, dopo essersi legata politicamente al presidente della Slovacchia Mikuláš Dzurinda, ambasciatrice in Polonia dal 2000 al 2005. Quindi Segretaria di Stato e parlamentare nel 2006.

Tornando al cinema, la critica al potere e la follia dello stesso, raccontata con stili e temi diversi dai film della Nová vlna, venne spazzata via. La “normalizzazione” prevedeva in fondo che tutti dovessero divenire dei robot, la parola cecoslovacca più famosa al mondo divenuta di uso comune grazie al drammaturgo Karel Čapek. Ma quella stagione non potrà mai essere cancellata poiché, come recitò una frase anonima apparsa sui muri di Praga, “La primavera sarà bellissima e quando la colza tornerà a fiorire di giallo la verità trionferà”.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Dizionario del comunismo del XX secolo” a cura di Silvio Pons e Robert Service – Einaudi
“Il socialismo dal volto umano. Autobiografia di un rivoluzionario” di Alexander Dubcek, a cura di J. Hochman – Editori Riuniti
“Buffa racconta 1968” – Sky
“Il cavalier bandito e la sposa del cielo” (“Marketa Lazarová”) di Vladislav Vančura – Adelphi
“Cinema cecoslovacco Cinema ceco: 1933-2010” di Ricardo Luiz de Souza – Edizioni Sapienza
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2023” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

L’immagine di copertina è realizzata per La sinistra quotidiana da Davide Sacco
Le immagini sono di proprietà dei legittimi proprietari e sono riportate in questo articolo solo a titolo illustrativo
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