Non basta un avviso di garanzia per revocare il sostegno a Matteo Ricci. Giuseppe Conte convoca una conferenza stampa per confermare l’alleanza con centrosinistra. La notizia è attesa, da alcuni iscritti persino anticipata con tanto di dettagli nei commenti social alla diretta streaming. Ma rappresenta un’indicazione che ha anche un valore nazionale, seppure tra qualche distinguo, perché Conte ha sempre la necessità di ribadire l’identità dei 5 Stelle per non deludere una parte della base e per coltivare la sua specificità, a maggior ragione in una prospettiva di alleanza.
Tuttavia, e questa è forse la cosa più importante, intraprende un altro passettino che allontana il Movimento 5 Stelle da epoche precedenti. Quando, se non proprio il concetto di coalizione elettorale tout court, bastava uno stormir di fascicolo giudiziario per dettare la linea politica. Ora invece scattano i distinguo. «L’impegno di tutelare la legalità dell’idea pubblica nel Dna dei 5 Stelle è una vocazione costitutiva e insopprimibile – spiega – Per questo abbiamo esaminato tutti gli elementi che riguardano il caso Ricci. Non ci sono ragioni, per quel che oggi sappiamo, per chiedere un passo indietro. Abbiamo letto e riletto l’avviso di garanzia e possiamo riassumere che non ci sono elementi a carico della sua colpevolezza».
Ricci incassa, accetta i passaggi sul codice etico e rilancia l’alleanza: «Concordo con lui nel rafforzare i presidi di legalità, trasparenza e di controllo su affidamenti diretti, nomine e consulenze. Ringrazio il Movimento 5 Stelle, adesso riparte la campagna. Cambiamo le Marche insieme».
Ma attenzione: Conte non apre su tutta la linea. Dopo l’estate gli iscritti dovranno riconfermargli fiducia e lui ci tiene a dire che, da statuto, «i territori contano» e che non c’è alcuna eterodirezione da Roma, tanto che la stessa scelta su Ricci, puntualizza, è stata presa di concerto con i pentastellati marchigiani. Questo vale per la Toscana, che andrà al voto subito dopo le Marche, a metà ottobre. «Per noi è un sacrificio notevole – spiega – Come possiamo sostenere Giani dopo cinque anni di opposizione?». Poi però, di fronte all’insistenza dei cronisti quasi si lascia sfuggire un’apertura, dice che non bisogna trarre conclusioni affrettata e fa capire che i giochi sono aperti: «Bisogna riflettere e capire se ci sono le condizioni».
A questo punto fornisce un altro elemento quasi di autoconsapevolezza. Dopo anni passati a disquisire del radicamento locale dei 5 Stelle o a promettere una migliore struttura diffusa, l’avvocato quasi prende atto che il M5S è un «movimento d’opinione». Ciò significa che quando sigla accordi territoriali deve confrontarsi con «signori delle tessere» e con dirigenti locali che sono diversi a seconda delle regioni. Ma precisa di non ragionare in base a bilancini, nega che esista uno scambio tra la candidatura di Roberto Fico in Campania: «Significherebbe che il Movimento 5 Stelle fa mercimonio e significherebbe che sono un buffone».
Insomma, Conte riferisce di «un dialogo leale, serio, effettivo, efficace, quotidiano e la voglia di misurarci ogni giorno con i nostri potenziali alleati per consolidare un progetto serio e credibile», non chiude neppure alla futuribile «tenda moderata» (copyright l’amico Goffredo Bettini), riprende il refrain contro l’«alleanza organica» ma assicura di essere in campo per battere la destra: «La nostra base ha scelto, noi siamo una forza politica progressista e indipendente perciò non ci si può legare mani e piedi con gli alleati. Nessuno metta in dubbio però la nostra autentica determinazione a creare una alternativa a questo governo è disastroso. Ma dobbiamo chiarire: la nostra preoccupazione non è solo andare al governo tutti insieme, ma cosa facciamo il giorno dopo per non deludere le attese degli italiani. E per fare questo, sarà necessario che i compagni di viaggio siano affidabili».
Criticando la destra che a colpi di decreto smantella i controlli sulla legalità, cita il caso della norma che elimina l’incompatibilità di ruoli tra dirigenti della pubblica amministrazione o membri di consigli d’amministrazione di società in house degli enti locali e cariche elettive o amministrative.
Da qui rivendica la richiesta di dimissioni del sindaco di Milano Beppe Sala, altro punto dolente nei rapporti col Pd. Lo fa ricordando che Giancarlo Tancredi, l’assessore alla rigenerazione urbana indagato e ora dimissionario, prima di entrare in giunta era un funzionario di Palazzo Marino. «Sala si è trovato al centro di un far west edilizio a Milano – scandisce – Ha fatto la città per super ricchi. E poi hanno confezionato una norma SalvaMilano, portata al centrodestra che subito l’ha recepita e con la condivisione del Pd in una prima fase. Quella norma avrebbe salvato il pregresso ma avrebbe esteso questo far west a tutta l’Italia. Che progetto di alternativa a Meloni portiamo, se questo è il modello?».
GIULIANO SANTORO
foto: screenshot tv







