Due posizioni diverse e molto distanti nella maggioranza italiana sul ReArm Europe, che mantiene il nome bellicoso perché la proposta FdI di ribattezzarlo Defend Eu è piaciuta solo al Pd. Un europarlamento con l’elmetto l’ha cestinata senza un dubbio. Fi e FdI votano il piano, la Lega lo boccia e non c’erano dubbi. Sulla risoluzione Ucraina le posizioni diventano tre. Scontati il sì di Fi e il no della Lega, tutt’altro che scontata l’astensione di FdI: è la prima volta che si sfila da un sostegno a Kiev e a modo suo è una pietra miliare. Il testo vibra mazzate su Trump.
La premier non ha alcuna intenzione di partecipare allo sgarbo. Il capogruppo Procaccini si oppone: «Qui più che aiutare l’Ucraina si diffonde odio per gli Usa». Propone di rinviare il voto, giusto il tempo per vedere come va a finire l’accordo Usa-Ucraina raggiunto a Gedda. Sarebbe un’ipotesi ragionevole ma quando spirano i venti di guerra per la ragionevolezza non c’è posto. Finisce nella spazzatura anche questa proposta e FdI sceglie un’astensione il cui significato va oltre lo specifico episodio.
La spaccatura a Strasburgo è senza conseguenze. Era già successo e non una sola volta. Queste disavventure la destra italiana ha imparato a gestirle come nessun altro al mondo e il voto sul piano di riarmo aveva valore solo consultivo. La presidente in armi ha già deciso che per difendere la democrazia conviene ignorarla. Decide la generalessa, l’intendenza seguirà.
Ma la settimana prossima, nel dibattito alle Camere con mozioni finali sulle comunicazione di Meloni prima del Consiglio europeo, il fattaccio non si può ripetere. Una cosa è il parlamento europeo, tutt’altra quello di casa. Una divisione della maggioranza sull’unico tema che conti un questo momento nel mondo avvierebbe il conto alla rovescia per il governo. Non subito ma neppure troppo in là.
Urge trovare una soluzione, una formula che permetta alla Lega di votare le comunicazioni della premier e non è che sia facile con Salvini che bersaglia von der Leyen e il suo piano più puntuale di un esattore. Ieri ha puntato l’arco non, come al solito, sulla «follia bellica», ma sul portafogli: «Prima di riarmare l’Europa parliamo di riarmo dell’esercito italiano facendo lavorare aziende italiane.
Non voglio arricchire tedeschi e francesi sulla pelle dei miei figli e nipoti». Il capo leghista in realtà non ha alcuna intenzione di rischiare la rottura e altrettanto dicasi per la premier e per l’azzurro Tajani. Ma come evitare la lacerazione in aula, con tanto di diretta tv, è un altro paio di maniche. Nella maggioranza tutti, proprio tutti, sbandierano tranquille certezze: «Troveremo sicuramente una via». Però nessuno ha idea di quale possa essere la succitata via.
Alla ricerca della formula magica stanno lavorando gli Esteri, la Difesa e gli Affari europei. L’ultima parola, lo sanno tutti, sarà però di palazzo Chigi. Subito prima del dibattito ci sarà sabato la conferenza in call di tutti i leader europei, convocata dall’inglese Starmer e potrebbe avere il suo peso. Meloni non ha ancora deciso se partecipare o meno, anche se la bilancia pende più sul no.
«Se deve essere la ratifica di una missione a cui l’Italia non ha alcuna intenzione di partecipare inutile presenziare», commentano da palazzo Chigi e proprio questo la conferenza dovrebbe essere. In ogni caso la presa di distanza dalla missione che fa impazzire Macron sarà utile per compattare la maggioranza.
In aula la premier punterà probabilmente su comunicazioni molto prudenti, senza calcare la mano contro «l’aggressione russa», generosa nel riconoscere gli sforzi di Trump per la pace, puntigliosa nel chiarire che lo sforzo per la difesa non dovrà andare a detrimento di sanità, istruzione o welfare in Italia, orientata sì a sostenere il Piano ma senza prendere impegni troppo espliciti e vincolanti. Insomma un discorso nel quale anche Salvini, con tanta buona volontà, potrà riconoscersi.
Ma la manovra non sarà gratuita. Già con l’astensione di ieri di Fdi la premier ha marcato una distanza sin qui inaudita rispetto al resto dell’Europa. Restare in mezzo diventa per lei sempre più difficile: quando la febbre bellica dilaga le cose vanno così.
ANDREA COLOMBO
Foto di Pixabay