L’orizzonte non lontano che ci indica l’Abruzzo

“Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i...
Trabocco (o trabucco) abruzzese per la pesca

“Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.”.

A dar retta a D’Annunzio, la stagione cangiante porterebbe nuova speranza per la pastorizia sulle rive del mare. Poi, oggi, invece, guardi il mare, nella tua mente, lo fissi e pensi che proprio su ogni costa di questo Paese si è imperniata l’immagine stereotipata e priva di senso di una invasione che viene come dall’altra parte della Manica verso la Normandia.

Pare di scrutare l’orizzonte delle coste anche dall’Abruzzo, perché, nonostante la rotta degli albanesi sia finita da tempo e poi avesse come approdi quasi sempre porti pugliesi, nonostante non vi siano sbarchi di migranti dai Balcani verso le nostre coste adriatiche, ogni volta che si legge un sondaggio o, come oggi, un riepilogo elettorale vero e proprio, di voti contanti e percentualizzati, ebbene si vede il mare della Sicilia, del Mediterraneo più cruento che si innesta tutto nel voto che sta smettendo d’essere “di protesta” e che diventa “di rabbia”, di odio, di disprezzo.

Un voto che premia le forze più estreme della destra, quelle che emergono con maggiore forza di novità nell’essere comunque d’antico retaggio secessionista l’una e fascista l’altra: in mezzo stanno pattuglie di moderati cattolici e di padroni che tentano di rimanere aggrappati al carro del vincitore, anche se il vincitore poi a Roma governa con tutt’altra forza politica.

Un voto che, paradossalmente, premia le forze di estrema destra ma che penalizza anche forze neofasciste che, nonostante la nostra Costituzione lo vieti espressamente, nonostante sia reato dichiararsi “fascisti” di qualunque millennio, secolo o lustro, si presentano agli elettori e indietreggiano di oltre cinquemila voti rispetto alle politiche del 2018. Eppure si presentano, mentre noi comunisti, per alterne vicende, non riusciamo ad essere sulla scheda elettorale, a riprendere una consuetudine normalissima che, dal dopoguerra fino al 2008, è stata ininterrotta ed anzi manifestata con differenti impostazioni di programma, sia di breve che di lungo termine.

Ma in “terra d’Abruzzi”, per citare il Vate, accade forse di peggio rispetto alla nostra quasi endemica situazione di esclusione dal voto o di sconfitta storica che si trascina da più di un decennio (ma poi è davvero soltanto così poco il tempo d’origine e di durata della nostra debacle?): una forza di governo fa il salto dalla non-presentazione (si chiamava Lega Nord all’epoca…) al 27,5% dei consensi (164.154 voti rispetto ai 105.449 del 4 marzo 2018); l’altra forza governativa dalle stelle passa un po’ alle stalle, perdendo 190.000 voti nel giro di un anno e, se proprio vogliamo essere pietosi analisti, riducendo di 24.000 voti il divario con le regionali del 2015.

La coalizione del “vecchio” centrodestra si porta così vicina al 50%, una specie di rabboccato centrosinistra arriva secondo (con un PD che rispetto alle regionali del 2015 perde 110.000 voti (mentre rispetto alle politiche ha una flessione di 40.000 voti), seguono coloro che subiscono il vero schiaffo dai cittadini: essere al contempo “di lotta e di governo” è certamente un proposito nobile, bello. Però difficilmente si riesce in questo sistema economico a coniugare una lotta radicale con un governo altrettanto radicale.

Penso che noi comunisti, per esperienza, possiamo parlare di ciò con la dovuta contezza, sapendo che noi abbiamo sempre aspirato non a gestire questo capitalismo e tutte le sue dirette conseguenze sui governi nazionali e locali, ma con grande presunzione, che ci deriva da una altrettanto grande voglia e necessità storica di giustizia sociale, abbiamo provato a introdurre elementi di anticapitalismo dentro le legislazioni, per cambiarle in senso progressista, ben sapendo che si trattava di mero riformismo ma non dimenticando mai che questo non sarebbe divenuto il nostro orizzonte ultimo.

I Cinquestelle oggi, da forza ibrida, interclassista e per niente rivoluzionaria, scientemente votata alla battaglia dell'”onestà” politica come madre di tutte le battaglie per figurare uno stravolgimento sociale impossibile se pensato e cercato soltanto puntando ad una incorrutibilità permanente, scontano un dualismo inconciliabile ancor più se interno al sistema in tutto e per tutto: nemmeno il sogno li salva.

Le contraddizioni emerse con il “Contratto di governo” le scontano solo loro perché la bandiera della coerenza è la loro stella polare e troppi errori, troppa sudditanza ad un alleato che, al tempo, aveva la metà dei loro consensi e che oggi, invece, da solo, vale più di loro, traina con te il centrodestra e arriva ad essere vicino alla somma di tutte le liste che un PD mascherato da non-PD ha messo in campo in Abruzzo.

Cosa ci dice la giocata elettorale regionale appena passata? Che il governo reggerà per concessione salviniana e che, comunque, anche la questione processuale e dell’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno sarà una partita interessante da osservare, perché non potrà non essere lambita da quanto avvenuto, dal mutamento dei rapporti di forza interni ad una maggioranza che ora, per parte pentastellata, sembra puntare di più su un rilievo mediatico della persona del presidente del consiglio piuttosto che su Di Battista.

Ma, al di là di queste considerazioni comuni, banali e da chiacchiericcio di giornale nazional-popolare, non si può non tenere conto di un altro dato estremamente importante della consultazione abruzzese: la sinistra.

La sinistra, quindi non il PD (è bene precisarlo ogni volta), si è presentata frantumata e in parte nell’alleanza di centrosinistra con la lista “Progressisti per Legnini” e per quanto riguarda Rifondazione Comunista e Sinistra Anticapitalista, si è assistito ad una mancata partecipazione alla tornata elettorale per molteplici fattori: la rottura di un tavolo di trattativa con Sinistra italiana all’ultimo momento e la sua confluenza nell’area di centrosinistra e, ultimo ma non ultimo, il problema della raccolta delle firme da effettuare in tempi ristrettissimi.

Dobbiamo tenere in considerazione anche questi aspetti tecnici perché oggi sono dirimenti vista la riduzione delle nostre forze organizzative, seppur Rifondazione sia oggi ancora l’unica forza comunista presente su tutto il territorio nazionale fattivamente, con circoli, federazioni e quindi con una struttura “di base” che lo è in tutti i sensi e che può avere un ruolo anche nella costruzione dell’alleanza politica ed elettorale per le europee prossime.

Nemmeno “Potere al popolo!” si è presentato al voto in Abruzzo. E non è certamente un dato che riempie di soddisfazione o una vittoria constatare ciò, quando vi sono poi forze fasciste che, invece di essere al di fuori del patto costituzionale propriamente espresso nella quotidianità, quindi anche e soprattutto nel contesto del rapporto tra cittadini elettori e rappresentanti eletti, sono più che tollerate in virtù di un revisionismo storico e politico che deriva dallo sdoganamento dei “ragazzi di Salò” di ormai tanto, troppo tempo fa.

Nelle regionali del 2015 la lista capeggiata da Maurizio Acerbo, che comprendeva anche Rifondazione Comunista, ottenne un non trascurabile 3% con 20.250 voti. Quei consensi alle politiche del 2018, se consideriamo “Potere al popolo!” un equivalente sostituto della lista civica regionale, si ridussero a 7.811 pari all’1%.

Dunque la strada è, come sempre, tutta in salita, oggi ancora di più visto l’allargarsi del perimetro del sovranismo e di una interpretazione delle istituzioni piegata alla discriminazione, all’odio, al crudelismo che si diffonde come nuova etica dominante tra la popolazione (per fortuna non tutta e nemmeno la maggioranza assoluta) che rimane comunque insoddisfatta e che esprime questo profondo disagio tramite la mediazione sindacale necessaria, imprescindibile e obbligatoriamente ripetibile visto che il governo non darà tregua sul fronte economico e nemmeno su quello dei diritti civili, dei diritti più semplicemente umani.

MARCO SFERINI

12 febbraio 2019

foto tratta da Pixabay

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