Nato a Buenos Aires nel 1936, Jorge Mario Bergoglio, poco più che ventenne, entra nella Compagnia di Gesù, viene ordinato prete nel 1969. Si ispira alla teologia del popolo che presenta forti contenuti sociali ma molte distanze dalla teologia della liberazione.
Negli anni della dittatura Bergoglio governa la Compagnia di Gesù evitando collusioni con il regime ma anche vigilando su possibili slanci rivoluzionari da parte dell’Ordine. Nel 2013 diviene il primo pontefice gesuita e argentino, prende il nome di Francesco, ispirato al Santo dei poveri di Assisi, un inedito nella millenaria storia della Chiesa.
Ci pare che i segni più rilevanti del pontificato appena concluso siano stati la riscrittura dell’agenda pastorale e il rovesciamento della gerarchia delle urgenze della Chiesa, in sintonia con il mondo, tutto il mondo.
Chi conosce la storia teologica del peccato nel mondo occidentale, sa che nel medioevo latino in cima ai vizi capitali troneggiavano la superbia e l’avarizia; la lussuria, nell’ordine delle colpe, era solo terza. In tempi recenti – a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II, la Chiesa aveva rivolto un’attenzione eccessiva (direi ossessiva) ai temi della sessualità, dell’aborto e degli strumenti di procreazione o di regolazione delle nascite. Si è trattato di una reazione ai processi di secolarizzazione.
Scristianizzazione, liberazione sessuale, modernità e rifiuto della gerarchia sono stati letti come un unico piano inclinato verso la catastrofe, da arginare invocando l’ordine “naturale”, di fatto coincidente con quello professato e difeso dalla Chiesa.
Francesco, con intelligenza, ha scelto di rivoltare l’ordine del discorso ecclesiastico e ha imposto come questione cardine del suo pontificato la crisi di senso che attraversa la comunità globale dei viventi. Se di peccati ha parlato nel corso del regno, si è trattato di colpe sociali, non individuali o sessuali. Colpe come la distruzione del pianeta, il culto del denaro (la nuova veste idolatrica dell’avarizia), la forsennata competizione individuale (una forma di calvinismo volgare), l’abbandono dei poveri, la crisi demografica combinata con il rifiuto dei migranti e il rischio di un nuovo conflitto mondiale dalle conseguenze terribili.
Rivolgendosi a tutti, e non tanto al clero o ai fedeli, Bergoglio ha intuito che la fine delle grandi narrazioni e delle teologie politiche del Novecento ha lasciato un vuoto di significati che il semplice appello al liberalismo non è in grado di colmare.
Francesco ha cercato una volta per tutte di de-latinizzare e de-occidentalizzare la Chiesa romana; pastore interessato alle pecore più che alle proposizioni dottrinali e all’ortoprassi liturgica, alla sofferenza più che ai dogmi, il suo progetto è stato quello di impedire alla Chiesa una triste e duplice sorte, quella di ridursi a un insieme di sette carismatiche di certo zelanti, ma fanatiche (il destino degli Stati Uniti e di altre parti del mondo cristiano) e la sorte di fare della tradizione cattolica una cappellania militare dell’Occidente in declino.
È questo che molti hanno rimproverato a Bergoglio anche dopo la morte: la denuncia della “guerra mondiale a pezzi” e il rifiuto di farsi arruolare da una parte del globo – fin qui la più ricca e potente – che sta cercando nella religione il supporto ideologico per alimentare conflitti di schietto carattere imperiale, mentre vive come se Dio non esistesse.
E’ vero che la Chiesa le cose che Francesco diceva sui poveri, gli immigrati, le guerre e il capitalismo le ha sempre affermate. Certo oggi le ribadisce con un’enfasi diversa, sia perché una parte del mondo occidentale è più disponibile a prestarvi attenzione a causa della fase di difficoltà economiche e politiche che sta attraversando, sia, e soprattutto, perché si è finalmente (per la Chiesa) tolto di mezzo quello che è stato il suo grande avversario storico nel ‘’secolo breve’’, e cioè il comunismo.
È proprio la scomparsa del comunismo ad aver determinato, a partire dall’enciclica Centesimus Annus di Wojtyła (1991), un rilancio della critica cattolica agli eccessi del sistema; colpevole delle ingiustizie del mondo è quella struttura dominata dal primato del denaro che collega tutte le esclusioni, rende schiavi, ruba la libertà, mitizza il progresso infinito e l’efficienza incondizionata, il capitalismo insomma. Un biasimo che però non si traduce certo in un sistematico sostegno alle forze di sinistra o in un incoraggiamento alla lotta di classe e men che mai in una qualche forma di simpatia per il socialismo.
La limitazione degli eccessi del capitalismo e il miglioramento delle condizioni sociali devono essere la conseguenza, all’interno del tradizionale approccio interclassista e consensuale della dottrina sociale della Chiesa, fatto proprio da papa Francesco, di una conversione spirituale delle élite economiche e politiche mondiali che conduca i ricchi e i potenti a scoprire le ragioni della solidarietà e dell’altruismo. Aspettando che questo prodigio si produca.
Da un punto di vista dottrinario, si potrebbe introdurre la definizione di “intransigentismo moderato”. Francesco, fermamente contrario anche al suicidio assistito, in questi dodici anni ha più volte descritto l’aborto come un omicidio e chi lo pratica come un sicario. Non ha esitato a intervenire, anche tramite la Segreteria di Stato vaticana, quando in Italia si discuteva il Ddl Zan, richiamando lo Stato italiano ai suoi doveri previsti dal concordato.
Quanto all’idea che una coppia omosessuale possa essere considerata famiglia, la sua posizione è rimasta sempre molto chiara: pur riconoscendo l’esistenza di diversi tipi di famiglia, l’unica che riflette l’immagine di Dio è quella tra uomo e donna. Sul ruolo delle donne nella Chiesa e sull’accoglienza delle persone LGBT, Francesco ha mostrato apertura, ma senza mai riconoscerne pienamente la soggettività.
Resta inoltre particolarmente delicata la questione del celibato e della formazione nei seminari, fattori centrali nel fenomeno degli abusi nella Chiesa; va ricordato che il Catechismo, anche dopo Francesco, continua a definire l’omosessualità come una “inclinazione oggettivamente disordinata”.
Ecco, possiamo dire, nel migliore dei casi, che la chiesa di Francesco puniva ancora il peccato ma aveva misericordia del peccatore.
EXCURSUS: -Non è l’infiltrazione di gay in seminario a determinare la deriva bensì è la vita seminariale chiusa, sessuofobica, gravata di sensi di colpa e di clandestinità, di nociva pretesa di castità, a favorire modalità distorte della sessualità, tanto etero quanto omosessuali.
Il problema non è nell’orientamento omo od etero delle pulsioni, ma nell’esercitarle con violenza ed abuso su creature in posizione subordinata di debolezza. Bisogna ricordare che l’omosessualità – proprio come l’eterosessualità – non è una categoria, ma un dato fenomenico che in misura maggiore o minore riguarda tutti e di per sé non dice nulla o quasi di una persona. Dietro un comportamento omo od etero ci può essere di tutto: patologia, perversione, repressione e anche normalità.
Per valutare l’armonia e la maturità di un individuo i criteri devono essere altri, quali la capacità di integrare dentro di sé pulsioni e sentimenti e di riconoscere l’altro (o l’altra) nella sua interezza e alterità. In breve, nella capacità di amare-.
Infine, che Francesco fosse un Papa rivoluzionario, nell’accezione politica del termine è una grande sciocchezza buona solo per fascio-populisti e qualche giornale immondizia che lo hanno ritenuto un Papa marxista.
Papa Francesco ha impersonato in questi tempi bui e tristi la nostra perduta coscienza morale e ha ricordato che lo straniero che bussa alla nostra porta è un’occasione benedetta per l’incontro con Gesù Cristo ; da qui quell’appello di Papa Francesco a tutte le parrocchie, istituti religiosi e monasteri ad accogliere almeno una famiglia di immigrati o rifugiati, richiamando che uno stato di diritto autentico si dimostra proprio nel trattamento dignitoso che tutte le persone meritano, specialmente quelle più povere ed emarginate.
Il cattolico che invita ad alzare muri verso chi fugge da guerra e fame, lo ha ripetuto più volte il Papa, deve rivedere la sua fede alla luce del Vangelo e fare un salto di umanità nelle sue scelte morali.
LUCA PAROLDO BONI
27 giugno 2025
Particolare della foto di Annett_Klingner da Pixabay